A noi della #cultura non ce ne frega un cazzo

L’impatto che il coronavirus ha avuto sulle nostre vite è praticamente impossibile da quantificare. Da quando è esploso con l’urto travolgente di una deflagrazione è cambiato tutto o quasi. Abbiamo dovuto imparare a costruire una nuova normalità, diverse abitudini, ridisegnare giornate e rapporti, tutto in pochissimo tempo.
Il 15 Luglio l’assessore al welfare Giulio Gallera, per comunicarci lo stop dell’uso delle mascherine all’aperto ci ricordava che: “Il virus c’è. Sarà diverso, sarà inferiore, ma c’è. Non dobbiamo abbandonare l’idea che la nostra normalità deve essere una normalità diversa”.

Una normalità a tal punto diversa che non sembra neppure normale, che dopo canti e inni, ora prende coscienza della crisi che ha colpiti tantissimi settori, soprattutto quello della cultura. Improvvisamente, decine di concerti, festival e spettacoli sono stati cancellati, intere produzioni azzerate, teatri in ginocchio, musicisti fermi.
In pochi mesi la pandemia ha generato una crisi che ha travolto l’intera industria della musica, e non solo di quella dal vivo. Il blocco dei concerti e dei festival, grandi e piccoli, ha creato danni che secondo Assomusica si possono stimare intorno ai 40 milioni di euro, con oltre tremila concerti cancellati o rinviati.

Riaperto il teatro Odeo di Erode Attico ai piedi dell’Acropoli di Atene © Petros Giannakouris/AP

Stesso problema che sta vivendo il settore museale statale che ha subito una perdita netta di circa 20 milioni di euro al mese. A fare i conti con AgCult è Antonio Tarasco, direttore del Servizio I della Direzione generale Musei del Ministero dei Beni culturali e del Turismo, che giudica “niente affatto felice l’impatto del Covid-19 sul sistema dei musei statali. Noi abbiamo una modalità di produzione dei ricavi basata principalmente sulla biglietteria. Pertanto, l’interruzione del servizio comporta immediatamente la soppressione di circa il 90% delle entrate”, spiega il dirigente Mibact e aggiunge “L’emergenza Coronavirus oggi si riflette sul patrimonio culturale in termini fortemente negativi. La chiusura imposta dai provvedimenti governativi sta infatti determinando, come in ogni altro settore economico-produttivo italiano, perdite ingenti”.

I lavoratori di questo mondo sono legati al fatto che si riparta, che si “alzi il sipario”: una lunghissima schiera fatta di attori, ballerini ma anche registi, scenografi, tecnici del suono e delle luci, costumisti, musicisti solo per citarne alcuni. Migliaia di persone che improvvisamente si sono trovate a non avere alcun reddito e, soprattutto, a non sapere quando e se potranno riprendere la loro attività.
Ma la realtà è che a noi tutti interessa relativamente poco della cultura e di chi ci lavora, o almeno ci interessa giusto il tempo di un flashmob in Piazza del Duomo a Milano, o di un post su facebook con la foto dei biglietti di un concerto al quale non potremo andare. Ci interessa di più il flame. La polemica. Scrivere il post più accattivante. Rompere il cazzo.
E così, quando Chiara Ferragni realizza un photoshoot per Vogue agli Uffizi c’è subito chi grida allo scandalo.

Protesta dei lavoratori dello spettacolo a Torino © ansa.it

Una valanga di critiche si è riversata sull’imprenditrice Cremonese, sul suo abbigliamento definito poco adeguato, sul fatto che abbia deciso di farsi scattare una foto davanti “La Nascita di Venere” coprendo quindi il “capolavoro” di Botticelli e altre cazzate da minus habens.

Pochissimi invece si sono interrogati su quanto questo possa aver portato beneficio all’arte e alla cultura tutta.
È sotto gli occhi di tutti quanto i musei italiani siano ancora in difficoltà nella comunicazione sui social network e questo si che è un problema oggi, come si è potuto verificare nei mesi di chiusura per l’emergenza Covid, quando c’è stata una rapida, ma ancora improvvisata iperproduzione di contenuti digitali, che ha mostrato tutte le potenzialità ma anche tutto il nostro ritardo in questo campo.

Alcuni dei commenti sotto il post degli Uffizi © instagram.com/uffizigalleries

Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali (dati 2016), il 52% dei musei possiede un account sui social network ma solo il 13% è presente nei tre più diffusi: infatti il 51% ha una pagina Facebook, il 31% un account Twitter e solo il 15% è presente sulla piattaforma di Instagram. A queste percentuali si aggiunge che solo il 19% dei musei offre il wi-fi gratuito. L’Istat indica «tassi di adozione più ridotti, inferiori al 20%, per i servizi digitali legati alla fruizione delle collezioni, sia online (ad esempio, catalogo accessibile online e possibilità di visita virtuale), sia onsite (come QR-code e sistemi di prossimità, app per dispositivi mobile)».

Negli ultimi anni la situazione sta gradualmente migliorando, ma siamo ancora lontani da un livello soddisfacente. Non è, però, solo il dato quantitativo a preoccupare, con una presenza sui social network ancora ridotta, ma soprattutto quello qualitativo, relativo all’uso che se ne fa.

Mentre i musei e il mondo della cultura cercano di ripartire, se la Ferragni (di cui mi frega poco, ma sempre un po’ di più dei tromboni critici d’arte e di chi commenta sui social) o altre persone famose mettono a disposizione la loro notorietà per stimolare in qualche modo l’interesse per il patrimonio culturale, la cosa non dovrebbe provocare scandalo e sterili polemiche ma casomai andrebbe accolta con interesse, e magari ben indirizzata, orientata e compresa.

Chiara Ferragni e Eike Schmidt durante la visita © firenze.repubblica.it

E infatti, come volevasi dimostrare, dopo il post degli Uffizi con la Ferragni, ben 9.312 visitatori sono accorsi in Galleria tra venerdì e domenica scorsi: +24% rispetto a quello precedente, quando erano stati 7.511.
“Ma non solo – aggiunge il direttore Eike Schmidt – oltre al dato della crescita generale, che per la prima volta dalla riapertura post lockdown testimonial indica più di 3000 persone al giorno di sabato e domenica, annotiamo con immenso piacere un vero e proprio boom di giovani in museo: da venerdì a domenica abbiamo avuto tremilaseicento tra bambini e ragazzi fino a 25 anni. Nel weekend passato erano stati 2.839: dunque, stavolta sono venuti a trovarci 761 ragazzi in più, con un aumento del 27%. In questo fine settimana abbiamo visto, letto e sentito un sacco di tuttologi che ci hanno insegnato di tutto e di più. Alla luce di questi numeri – scherza Schmidt – posso solo dire che mi dispiace per loro …”.

Tra l’altro, già nel 2018 la coppia Beyoncé e Jay-Z, o meglio Mr e Mrs Carter, dal momento che questa storia ha a che fare con il video girato per Apeshit, il primo singolo dell album Everything is love firmato dalla coppia come The Carters, girarono un video al Louvre, facendo un po’ ciò che volevano di fronte a pezzi di storia dell’arte come la Nike di Samotracia, Venere di Milo, la Grande Sfinge di Tanis o la Pietà di Rosso Fiorentino. Non solo, il celebre museo di Parigi organizzò un tour specifico delle diciassette opere che i Carters scelsero per fare da sfondo alla loro musica, intitolato Jay-Z et Beyoncé au Louvre.

Anche lì la stampa- in questo caso francese – polemizzò chiedendosi se fosse necessario prestarsi a eventi di questo tipo e anche in questo caso a nessuno importò nulla e anzi, l’iniziativa: Jay-Z et Beyoncé au Louvre ebbe un enorme successo.

Sono dati oggettivi, numerici e indiscutibili che mostrano il potenziale di un mezzo – i social- che se usato con intelligenza rappresenta un’occasione perfetta per creare dinamiche adatte ad una diffusione della conoscenza orizzontale, anziché una conoscenza distribuita verticalmente lungo l’organigramma aziendale e frega poco se qualcuno rompe le palle e vorrebbero vedere i musei come enormi cantine polverose e silenziose interrotte solo da un colpo di tosse ogni tanto o se semplicemente l’attacco alla Ferragni e ai The Carters sia un modo per sentirsi un pochino più intellettuali o semplicemente se serva a tenere il mondo dell’arte in una campana di vetro, lontana dalle mani e dagli occhi di chi suppone non essere all’altezza di goderne appieno.

Di sicuro c’è che tutto questo tam tam mediatico ha portato enorme respiro e giovamento a tutti: al mondo dell’arte, agli appassionati e al personaggio Ferragni.
Agli altri lasciamo la presunzione e l’arroganza sui social.

Milanese, classe 1987, come il pallone d'oro di Gullit, il lancio della Soyuz TM-2 e Yo! Bum Rush the Snow dei Public Enemy. In fissa con le Ipa, il rap, i film di Tarantino e altre 3/4 cose. Scrivo per sfogo, per mettere ordine. Sono i miei esercizi di stile

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