Anche questa è Storia nostra

«A quanti, in questi 50 anni dalla liberazione, hanno trovato il coraggio di testimoniare la propria esperienza e quella dei loro compagni»

Italo Tibaldi

L’ordine arriva direttamente dal Capo Supremo delle Forze Alleate in Europa, Dwight D Eisenhower: «bisogna liberare una seconda volta il campo di concentramento di Mauthausen», perché i fotografi dell’US Army Signal Corp documentino ogni dettaglio dell’orrore nazista.

Il primo americano a mettere effettivamente piede nel campo, che prende il nome dall’omonimo paese a pochi chilometri da Linz, in Austria, è il sergente Albert J. Kosiek. A capo di uno sparuto gruppo di soldati dell’11° divisione del III corpo d’Armata americano, accompagnati da Louis Haefliger, rappresentante della Croce Rossa all’interno del campo, l’unico ad avere il permesso di trasportare viveri all’interno del campo. E’ il 5 maggio 1945. Il giorno successivo i mezzi cingolati americani sono accolti da una moltitudine di uomini, festanti, emaciati, avvolti da stracci, sconvolti e da uno striscione, approntato dagli internati spagnoli che recitava: “Gli spagnoli antifascisti salutano le forze di liberazione”. Mauthausen accoglie i suoi liberatori.

Arrivo delle truppe americane, 5 maggio 1945. © USHMM
Un soldato americano saluta i prigionieri liberati, 6 maggio 1945. © USHMM

Dopo Dachau, Mauthausen è il principale campo di concentramento, precisamente un Arbeitslager, un campo di annientamento attraverso il lavoro coatto. Entra in funzione l’8 agosto 1938, il giorno dell’arrivo dei primi prigionieri. La scelta del luogo non è casuale: la zona è famosa per le sue cave di granito, fondamentali per la costruzione dei monumentali edifici nazisti. L’estrazione è interamente gestita dalla DEST (Deutsche Erd- und Steinwerke GmbH). Il campo è l’unico ad essere classificato come Lagerstufe III, secondo una circolare inviata il 2 gennaio 1941 da Reinhard Heydrich, è destinato a «detenuti contro i quali sono state mosse gravi accuse, in particolare coloro che abbiano subito condanne penali e nel contempo debbano considerarsi asociali cioè virtualmente impossibili da rieducare […]» e a questo si deve la massima durezza delle condizioni di detenzione degli internati.

La direzione è affidata a Franz Zereis, scelto direttamente da Theodor Eicke capo dell’Istanza centrale di controllo e gestione del sistema concentrazionario (Inspekteur der Konzentrationslager und SS-Wachverbände), ossia il massimo organo decisionale ed ispettivo di tutta la «galassia concentrazionaria» nazista. Zereis prende il comando del campo, in compagnia della famiglia, il 17 febbraio 1939. E’ conosciuto per i suoi metodi brutali e il suo senso di “giustizia e ordine” che non tarderà a sperimentare sugli internati.

Heinrich Himmler, accompagnato dal comandante Franz Zereis (seconda da sinistra), ispeziona Mauthausen, aprile 1941. © USHMM

A Mauthausen vengono deportati in totale 190 mila uomini, in maggioranza polacchi, sovietici e ungheresi ma anche spagnoli, francesi, greci e italiani per un totale di 40 nazionalità differenti attestate negli archivi del campo. Più di 120 mila le morti calcolate e svariate le modalità di assassinio: fucilazioni, iniezioni letali, botte, freddo, asfissia, sfruttamento spietato attraverso la manodopera e fame. Quest’ultima è la causa principale dell’alto tasso di mortalità del campo; mediamente è calcolato che fossero 2.000 i morti a settimana, col comando del campo che aveva appositamente studiato una dieta ipocalorica insufficiente per il fabbisogno giornaliero degli internati.

Mauthausen non possiede un complesso di camere a gas simile a quello dei centri di annientamento polacchi di Birkenau, Sobibor o Treblinka, né strumenti particolari per l’eccidio di massa; questo perché il campo nasce come centro di sterminio, scientifico e sistematico, attraverso il lavoro coatto. A partire dal maggio 1940 il campo è dotato di quattro forni crematori per l’eliminazione dei corpi, forniti dalla ditta Heinrich KORI GmbH di Berlino, nota per avere costruito i forni del Konzentrationslager di Lublin-Majdanek e dalla J.A. Topf und Söhne di Erfurt, installatrice dei forni di Birkenau e Buchenwald.

Al 1943, il campo principale di Mauthausen fu organizzato come una vera e propria centrale amministrativa nella quale si accoglievano i trasporti da tutta Europa e si operavano le procedura di selezione dei deportati ritenuti abili al lavoro, successivamente smistati verso i sottocampi di Gusen, Ebensee, Melk e Steyr, dove erano internati più del 75% dei prigionieri.

Prigionieri a lavoro nelle cave di granito. © USHMM
Sottocampo di Gusen. © Bundesarchiv

Dall’Italia partono in direzione Mauthausen 19 convogli, di cui 4 dalla stazione Centrale di Milano: il 18 febbraio, il 4, il 6 e l’8 marzo 1944. Un totale di 8.100 deportati «politici» italiani dei 32.820 che, grazie allo zelo delle SS e delle squadre saloine, furono deportati dall’Italia durante i venti mesi dell’occupazione nazista in 80 convogli, mediamente uno a settimana. Come ha notato Giuseppe Mayda in Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945. Militari, ebrei e politici nei lager del Terzo Reich, l’aggettivo politico è una «definizione non esattissima perché sembra alludere a persone sempre altamente ideologizzate, mentre toccò anche uomini, donne e giovani impegnati in una resistenza civile, spesso priva di puntuali connotazioni politiche». Mappare il numero dei deportati è impresa ardua perché buona parte della documentazione tedesca venne distrutta dal Comando centrale della Gestapo di Verona e, dopo la fine della guerra, le nuove istituzioni repubblicane sia attardarono, tra disinteresse e ignoranza dei fatti, a censire i reduci e creare uno schedario centralizzato che permettesse di ricostruire le vite di ogni deportato e celebrarne la memoria.

Il triangolo rosso, che nella realtà concentrazionaria nazista distingueva i prigionieri politici dagli altri, e che racchiudeva le iniziali nere IT (Italiener) che ne identificavano invece la nazionalità, era il segno distintivo cucito sulle casacche dei deportati politici italiani.

Tutte le vite dei deportati italiani a Mauthausen, sono storie di dissidenza più o meno silenziosa, non sempre politicamente orientate, ma in ogni caso controcorrenti. Ribellarsi all’oppressione nazifascista, nascondere e favorire la fuga di ebrei e partigiani, proteggere soldati renitenti alla leva e sbandati, partecipare a scioperi e serrate diventarono momenti fondamentali di una lotta non regolare, non convenzionale, violentissima, sbilanciata per le forze e le possibilità in campo.

Il Triangolo Rosso – Anpi Catania

Don Paolo Liggeri, è un sacerdote siciliano la cui vocazione si manifestò intorno ai ventuno anni. In concomitanza con la prima missione della Compagnia di San Paolo nell’isola, rimane «contagiato» da quella «dinamica e originale comunità spirituale», erede della tradizione di cristianesimo sociale del cardinal Andrea Ferrari, fondatore della Compagnia. È ordinato sacerdote a Milano nel 1935, nel settembre ’43 diventa fondatore e direttore del centro di ricovero «La Casa». Situato in via Mercalli, il ricovero offrì rifugio agli sfollati dei bombardamenti, ospitò giovani renitenti alla leva repubblichina, perseguitati politici e razziali, organizzò spedizioni di espatrio clandestino per ebrei e antifascisti e, con l’appoggio di Radio Vaticana, si occupò della registrazione e dell’invio di più di 171.200 messaggi ai famigliari di militari civili internati o dispersi. In questo periodo Don Liggeri intrattenne stretti rapporti con il cardinale di Milano Ildefonso Schuster e di Torino Maurilio Fossati, che gli raccomandarono numerose famiglie ebree da nascondere o aiutare nella fuga dall’Italia.

Il 24 marzo ’44 alcuni agenti dell’U.P.I. (Ufficio Politico Investigativo), accompagnati dal maresciallo delle SS Karl Koch, fecero irruzione nell’Istituto arrestando Don Liggeri e i 14 ebrei presenti in quel momento; dopo un breve interrogatorio, tutti assieme furono trasferiti nel braccio IV di San Vittore. Don Liggeri fu accusato di aver fornito aiuto a persone di fede ebraica e renitenti alla leva. Venne trasferito in diverse strutture detentive: prima al campo di transito di Fossoli, poi, nel luglio ’44, a Bolzano per poi. A fine agosto, insieme ad altri 6 sacerdoti, viene deportato a Mauthausen e quindi smistato nel sottocampo di Gusen. Nel dicembre ’44 viene sarà la volta della Germania, a Dachau, dove erano presenti ben 1400 preti di differenti nazionalità. Don Liggeri, classificato come Priester (sacerdote), fu assegnato alla baracca n. 26 dove erano presenti tra gli altri don Carlo Manziana, futuro Vescovo di Crema, Don Mauro Bonzi e Padre Giannantonio Agosti.

Don Liggeri e alcuni dei suoi compagni di prigionia sono liberati il 29 aprile 1945 dall’esercito americano. La storia del sacerdote di origini siciliane ma con il cuore milanese non è l’unica: infatti, Liggeri fu uno dei 50 sacerdoti cattolici italiani arrestati e deportati, dal settembre 1943 all’aprile 1945, verso Dachau, Mauthausen e Flossenbürg, testimonianza di una Chiesa che ha deciso di non piegare la testa.

Fotografia di don Paolo Liggeri a Isola d’Istria, 1943. © Archivio Storico Diocesano di Milano

La violenza nazifascista e il campo di Mauthausen sono tratti comuni di un’altra storia, quella di Franco Ferrante. Magistrato impiegato presso la procura di Milano, nato in una famiglia di fervente appartenenza socialista. Il padre, giudice, si iscrive al Psi nel 1900 e mantiene la tessera fino all’avvento del fascismo.

A soli 31 anni, il 2 marzo 1944 intorno alle 2 di notte viene arrestato nella sua abitazione di via Baravalle dalla polizia politica della RSI e successivamente condotto al commissariato di Via Copernico e consegnato alle SS che, a loro volta, lo conducono provvisoriamente a San Vittore. La mattina del 4 marzo 1944 viene condotto alla Stazione Centrale di Milano dove, caricato su un carro-bestiame, è destinato al KZ di Mauthausen. Il convoglio sul quale viaggia assieme ad alcuni amici di famiglia catturati nella retata del 1 marzo, Luigi Vacchini e Luigi Brigada, è uno dei diversi trasporti che compiono una tappa intermedia nel campo di transito di Reichenau, nei sobborghi di Innsbruck. Dopo 10 giorni di sosta, il convoglio riparte alla volta dell’Austria.  

All’arrivo gli è assegnato il numero di matricola 57576 ed applicato il tristemente noto triangolo rosso con l’acronimo “IT” destinato ai dissidenti politici italiani e classificato come Staatsanwalt, Procuratore di Stato (Pubblico Ministero nel nostro ordinamento).

Liste di accesso al campo di Mauthausen del 13 marzo 1944. Al n.38 si riconosce il nominativo di Franco Ferrante. © KZ-Gedenkstätte Mauthausen / Mauthausen Memorial Archive

Il 9 aprile 1944, giorno di Pasqua, poco meno di un mese dopo il suo arrivo a Mauthausen è spostato nel sottocampo di Ebensee dove grazie alla conoscenza della lingua tedesca, acquisita durante un soggiorno a Berlino con borsa di studio nel 1936, divenne interprete ufficiale del gruppo italiano dei deportati oltre che aiuto-scrivano del campo. Viene liberato il 6 maggio 1945 dagli americani.

Fotografia di famiglia che ritrae Franco Ferrante.

Franco Ferrante si spiegherà con diversi dubbi le motivazioni del suo arresto. Stando ad un’intervista rilasciata nel 1997, ipotizza di essere stato consegnato alla polizia politica da un delatore, probabilmente un fascista della prima ora, forse un sansepolcrista, di cui però non si scoprirà mai l’identità.

Due sono le probabili motivazioni del suo arresto; la prima risiede nella profonda amicizia che legò la famiglia Ferrante a quella dei Sacerdote-Leipziger, Gustavo Sacerdote, scrittore, intellettuale e membro dell’accademia Humboldt di Berlino, sua moglie Amalia Leipziger e la sorella Luisa, le quali scamparono miracolosamente alla deportazione probabilmente per l’italianizzazione di una parte di cognome in Sacerdote-Lanzi.
La seconda, la più probabile anche in considerazione di esperienze simili testimoniate da altri deportati, è invece legata alla sua intensa attività antifascista contro l’occupazione nazista, tra inverno 1943 e primavera 1944, che si manifestò nell’organizzazione di numerosi scioperi e boicottaggi del Tribunale di Milano.

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