L’Australia tra gli Stati Uniti e il Mare della Cina

L’Australia è praticamente un continente, posizionato in una posizione geografica cruciale che lo rende un alleato strategico per diversi partner, anche per le due grandi potenze che si contendono la supremazia globale: Stati Uniti e Cina. Una nazione giovanissima che si appoggia alle relazioni con le due locomotive globali.

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Se l’alleanza con gli Usa è una realtà storica, quella con la Cina è decisamente più recente, ma non per questo meno importante. Con gli americani l’intesa è principalmente di tipo strategico e militare, col Dragone invece la cooperazione è economica.
Nella sua breve storia, l’Australia ha sempre cercato di modellare la sua condotta in base alla “potenza” mondiale del momento. Se nei primi anni del ‘900 questa potenza era la Gran Bretagna coloniale, gli inglesi sono stati progressivamente sostituiti dagli Stati Uniti. Nella potenza egemone gli australiani hanno sempre cercato appoggio esterno per tutelare una posizione strategica difficilmente difendibile in autonomia.

Il primo importante trattato militare a cui ha preso parte risale al 1951 quando è entrata a far parte dell’ANZUS, accordo di mutua difesa a cui partecipavano gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda. Questo ha sancito l’inizio di una stretta cooperazione strategica in particolare con gli Usa che si è rafforzata progressivamente nel corso del tempo. L’Australia ha infatti partecipato a diversi conflitti promossi dall’alleato statunitense, fornendo truppe nella guerra del Vietnam, nella Guerra del Golfo e infine in Iraq e Afghanistan.
Per L’Australia è vantaggioso avere un alleato così forte dal punto di vista militare che può sfruttare per avere accesso a capacità, tecnologie e strumenti necessari alla sua difesa. Un esempio in tal senso sono le esercitazioni combinate che si svolgono periodicamente tra gli alleati. 

L’alleanza Usa-Australia ha un terreno fertile nella comunanza di valori democratici, sociali e culturali tra i due paesi. Al di là del supporto militare fornito in passato, i due partner sono legati da uno stretto rapporto per quel che riguarda l’intelligence. Infatti nel centro dell’Australia, nella città di Alice Springs, si trova una base chiamata Pine Gap nella quale vengono raccolti e gestiti un’enorme quantità di dati nell’ambito del SIGINT (Signal Intellicence). 

Quest’alleanza conosce anche dei rovesci della medaglia, essere un alleato degli americani comporta spesso mettersi in gioco e supportare le politiche degli USA nella propria zona di interesse, quali l’Oceano Pacifico e Indiano lo sono ampiamente. Questo supporto “necessario” costa molto all’Australia in termini politici, di visibilità e interventismo oltre che a livello economico. Il rischio principale è quello di minare indirettamente i rapporti con stati “non amici” degli Usa, ma verso i quali l’Australia potrebbe avere degli interessi.

La politica interventista americana, sempre sostenuta dall’Australia, non è stata ricambiata quando Canberra ha chiesto supporto nel 1964 nella valutazione di un intervento in Malesia e nel 1999 quando gli Usa non hanno praticamente supportato l’Australia a Timor Est.

Questo è uno dei motivi che ha portato all’apertura del paese alla Cina, con cui l’Australia ha stretto una relazione commerciale. Dal punto di vista storico, un progressivo riavvicinamento all’Asia è nato dopo il fallimento della guerra del Vietnam che ha portato a una svolta con il riconoscimento diplomatico nel 1972. 

Oltre alla Cina, l’Australia ha intrapreso eccellenti e rilevanti rapporti con il Giappone e la Corea del Sud. Il Sol Levante è un alleato di punto ed è stato il primo partner commerciale di Canberra per oltre 40 anni, fino a quando è stato recentemente sostituito dal Dragone rosso. Nel decennio che va dal 1996 al 2006 gli scambi tra Australia e Cina sono aumentati del 19,1% all’anno rendendo quest’ultima il primo partner in assoluto per rapporti commerciali. Questo è anche dovuto al fatto che l’Australia può compensare la richiesta di materie prime – come bauxite, titanio e uranio – fondamentali per la moderna industria tecnologica cinese.

Nel 2006 i due paesi hanno firmato un accordo che ha concesso alla Cina un accesso privilegiato all’uranio australiano, mentre al 2002 risale la firma per lo sfruttamento cinese del gas naturale del subcontinente. Nel 2015 è stato poi firmato un accordo tra i due partner che regola il libero scambio, chiamato Chafta, China-Australia Free Trade Agreement, che ha dato nuovo impulso e ha intensificato gli scambi in molti settori.

Dal punto di vista economico l’Australia si affida tantissimo all’interlocutore cinese. Basti pensare che la Cina riceve circa un terzo delle esportazioni australiane che nel 2018-2019 sono arrivate a raggiungere la cifra di circa 170 miliardi di dollari statunitensi. Numeri che dimostrano come l’Australia non possa prescindere dalla nuova superpotenza in campo economico. Possiamo serenamente affermare che per l’Australia la Cina è tanto importante a livello economico di quanto non lo siano gli Stati Uniti per le questioni di strategia militare. 

La zona di influenza australiana a livello strategico è compresa tra l’oceano Pacifico e Indiano. In questo spazio ricade il Mare della Cina in cui l’Australia ha un’influenza fondamentale per come è strutturato il sistema di alleanze americane e cinesi in Asia. 
Quest’area è già stata territorio di scontro tra Cina e Stati Uniti. Sin dagli anni ’90 la Cina cercò di prevalere con le potenze locali rivendicando vari possedimenti nel Mar cinese. Il motivo è strategico visto che il mare è ricco di risorse naturali e anche le potenze che insistono nell’area ne rivendicano la proprietà. 

Gli Stati Uniti sono la potenza che tra le altre è maggiormente contraria alle prese di posizioni della Cina che rivendicano il possedimento di circa il 90% delle vie marittime del mare, utili anche come vie di passaggio da sfruttare per una maggiore facilità nel commercio. 

Per la prima volta questa controversia fu analizzata e giudicata da un Tribunale che nel 2016 diede torto alla Cina nella vicenda delle acque territoriali prese illegalmente, decisione ovviamente supportata dagli Stati Uniti. La Cina reclama il possedimento di alcune formazioni insulari, la Spratly e le Paracels, sulla quale ha anche costruito installazioni di natura militare. Di contorno, ambisce anche all’estensione dell’influenza su alcuni stati della Micronesia che attualmente sono assistiti dagli Stati Uniti per quanto riguarda la politica di sicurezza e di difesa. Lo scopo di queste mire strategiche sarebbe sfidare gli Usa contendendo quella parte di territorio dell’Oceano Pacifico. 

Nel campo internazionale è utile sottolineare che gli Stati Uniti e l’Australia partecipano ad un trattato di sicurezza quadrilaterale con il Giappone e l’India chiamato Quad, Quadrilateral Security Dialogue. Gli incontri sono stati avviati nel 2007, per poi interrompersi e riprendere nel novembre 2017 a Manila, nelle Filippine. Un anno dopo si è tenuto un altro incontro a Singapore a margine dell’incontro dell’Asean, in cui funzionari di ogni paese hanno discusso di comune accordo su come deve esserci un “Indo-Pacifico libero e aperto” in linea con i loro interessi strategici nella regione. 

I motivi veri dietro agli interessi su questa zona sono economici e strategici, con l’India e il Giappone che hanno storicamente dispute con la Cina. Grazie all’iniziativa della Belt and Road Initiative, il paese di Xi Jinping ha stretto una collaborazione con molti paesi che si trovano in posizioni strategiche cruciali, su tutti un esempio è il Pakistan, e questo fa temere ai paesi del Quad di vedere “ristretto” il loro margine di azione.

Tra i quattro del Quad, solo l’Australia guarda di buon occhio la Cina per questioni meramente commerciali, mantenendo di fatto il piede in due scarpe.
La ripresa dei colloqui del Quad potrebbe rivelarsi una buona mossa per l’Australia, perché secondo fonti internazionali il paese potrebbe avvicinarsi all’India per sostituire la Cina come partner e allontanarsi viste le tensioni aperte su più campi.

Ci sono due dossier caldi che causano frizioni tra Cina e Australia: Taiwan e Hong Kong.
Nel primo caso la Cina rivendica da anni il possedimento dell’isola che già da qualche tempo è indipendente e riveste il ruolo di alleata storica degli Stati Uniti nell’area. Gli Stati Uniti, che hanno diversi accordi con Taiwan, non permetterebbero così facilmente di perdere un loro “caposaldo” nell’area e pertanto un eventuale scontro sarebbe delicato per entrambi gli schieramenti. Di conseguenza, anche l’Australia sarebbe interessata ad un conflitto perché più o meno velatamente intrattiene rapporti commerciali con Taipei. Si troverebbe pertanto in mezzo ad una situazione spinosa in cui tutte le parti schierate sono suoi alleati e pertanto dovrebbe scegliere da che parte schierarsi. Grazie ad un approccio molto pragmatico, sembra che l’Australia dovrebbe scegliere la neutralità in caso di conflitto, ma non è nemmeno escluso che essa appoggi il suo storico alleato americano.  

Su Hong Kong la situazione è diversa. Lo scacco cinese sulla legge per l’estradizione potrebbe minare la libertà di espressione della popolazione dell’isola a favore di Pechino e creare degli sconvolgimenti e dei peggioramenti nelle relazioni internazionali con i paesi occidentali che vedono da sempre Hong Kong come un partner economico rilevante. In questo contesto l’Australia si pone come difensore dei diritti democratici di Hong Kong, in sinergia con l’alleato americano.

La presa di posizione nel Mare della Cina da parte del Dragone desta preoccupazione tra gli attori internazionali. Questa mossa ha spinto alcuni paesi a stringersi ancora di più agli Usa, è il caso delle Filippine, situate proprio al centro del Mare cinese del Sud, e del Giappone, uno dei maggiori attori dell’area per rilevanza.
È inevitabile che l’Australia sia preoccupata dalla strategia cinese nel Mare della Cina e per questo sta continuando a impegnarsi per cercare di aumentare il proprio peso strategico. Nel corso degli anni ha cercato di ottenere il consenso di paesi strategicamente importanti con degli aiuti finanziari sempre più onerosi, una politica che assimila l’Australia alle due superpotenze. L’obiettivo non è di certo mettersi contro Pechino ma quanto meno cercare di acquisire una maggiore considerazione. 

Un altro campo di scontro è certamente quello tecnologico.
Qualche mese fa l’Australia è stata vittima di un potente attacco informatico che ha colpito contemporaneamente alcune infrastrutture vitali del paese tra cui industrie, organizzazioni politiche, sanità, istruzione e altre ancora. Il premier Morrison in un discorso ha sottolineato che, data la complessità di questo attacco si può trattare solamente di un potente attore statale. Non ha pubblicamente puntato il dito contro la Cina ma si pensa che il riferimento implicito fosse rivolto proprio al dragone rosso.

L’Australia si è schierata a favore degli Stati Uniti nel bando dell’azienda cinese Huawei per la realizzazione delle reti 5G. A luglio del 2020 Canberra ha espresso la sua vicinanza agli Usa dichiarandosi pronto a scendere in campo per indagare sulle azioni dell’azienda cinese Tik Tok, già in “guerra” con Washington, per il timore che condividesse con Pechino i dati privati degli utenti. Se il premier Morrison ha dichiarato di “monitorare Tik Tok molto da vicino”, con una risposta tramite il Global Times, la Cina ha accusato gli australiani di essere ancora una volta i “burattini degli Usa”.

I rapporti tra i due paesi occidentali procedono in modo spedito, tanto che negli ultimi giorni di luglio 2020 i vertici australiani hanno incontrato quelli statunitensi nell’ambito delle annuali consultazioni dell’AUSMIN, tenutesi a Washington, meeting a cui hanno partecipato i ministri degli esteri e della difesa. Il tema attorno al quale sono ruotate le consultazioni è il ruolo dell’Australia nella cooperazione con gli Stati Uniti a trecentosessanta gradi. I due paesi hanno inevitabilmente parlato della situazione internazionale sul Covid-19 che sta creando grandi problemi specialmente al partner americano. A tal proposito, nei mesi passati si sono create delle tensioni tra Pechino e Canberra quando questi ultimi hanno chiesto alla Cina di far luce su un eventuale loro coinvolgimento nello scoppio della pandemia. Passi opposti sono stati fatti nel meeting di luglio in cui gli australiani hanno stavolta deciso di rimanere prudenti nelle dichiarazioni confermando la solidarietà all’alleato economico cinese. In quella sede il ministro degli Esteri australiano Payne ha dichiarato che l’Australia “non ha intenzione di danneggiare” le importanti relazioni con Pechino. 

Questa tensione ha avuto immediate ripercussioni nei confronti dell’Australia, tanto che la Cina ha reagito imponendo dei dazi su prodotti australiani come la carne e l’orzo e, a quanto sembra, cercando di dissuadere gli studenti cinesi a frequentare le università australiane. Al di là di questi tira e molla puramente politico strategici, la posizione australiana nei confronti degli alleati americani e cinesi rimane comunque delicata. 
La richiesta di Mike Pompeo di creare “una nuova alleanza delle democrazie” appare infatti un monito per l’Australia che dal canto suo conferma fermamente tramite che Canberra “non intenderà fare cose contrarie ai nostri interessi” e che in ogni situazione “l’Australia prenderà le proprie decisioni basate sui propri interessi e sicurezza nazionale.”

In definitiva i rapporti tra le tre potenze sono e saranno molto delicati in futuro, tali da giocarsi nei campi di interesse su menzionati. Le tensioni, gli interessi nazionali e le varie opportunità che si presenteranno sposteranno gli equilibri si spostino da una parte o dall’altra e l’Australia dovrà scegliere bene il lato da cui schierarsi.

Riccardo Luzzi, nato nel 1991, nel tempo libero amo viaggiare e scoprire nuovi posti conoscendo nuove persone! amo informarmi su ciò che mi circonda e scoprire le motivazioni dietro ad ogni fatto. Laureando in  Relazioni Internazionali.

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