Il calcio sbarca su Fortnite

La digitalizzazione ed i nuovi media stanno rivoluzionando il mondo della comunicazione, ormai da qualche anno. L’identità del brand sta assumendo sempre maggior importanza ed il calcio sta cercando di adeguarsi velocemente, consapevole dell’importanza che la comunicazione ha nel Terzo Millennio.
New Football Media” è lo speciale di Olympia che tocca diverse sfaccettature di questa tematica ormai sempre più variegata, e che pone continuamente nuovi interrogativi e nuove possibilità di espansione commerciale.

In principio furono le divise da gioco a diventare la casa degli sponsor commerciali. Il primo caso assoluto di un brand su una maglietta di una squadra professionistica fu quello dell’Eintracht Braunschweig, che nella stagione 1972/1973 inserì Jägermeister nel logo societario. In Italia, invece, l’apripista per questa nuova pratica fu il Perugia, che, per pagare i 700 milioni di lire necessari per il prestito del compianto Paolo Rossi, trovò un accordo con il pastificio umbro “Ponte“. Era la stagione 1979/1980 e, curiosamente, proprio il futuro eroe del Mundial 1982, era l’unico giocatore dei biancorossi a non poter esibire lo sponsor sulla maglia, a causa di un precedente accordo con la “Polenghi Lombardi“, un’altra azienda agroalimentare.

Da quella stagione sono passati oltre 40 anni e il mondo delle sponsorizzazioni sportive si è evoluto in maniera sostanziale, garantendo sempre maggiori introiti ai club. Basti pensare che oggi, ogni società, oltre allo sponsor tecnico e al main sponsor che compaiono sulle divise, ha tutta un’altra serie di partner commerciali che vanno dai media ai mezzi di trasporto, passando per le sponsorizzazione delle divise e dei centri di allenamento. Il mercato si è ampliato talmente tanto che non solo le aziende hanno iniziato a legarsi direttamente ai tornei, ma si è andati verso una sempre maggior fidelizzazione, che legasse indissolubilmente questo o quel marchio ad un team o ad una competizione. Se leggi Pirelli pensi all’Inter, se leggi Lete pensi al Napoli, TIM alla Serie A, Heineken alla Champions League, e così via.

In questo momento storico, però, stiamo assistendo ad un’ulteriore rivoluzione: i club hanno ormai compreso la potenza del proprio brand e lo stanno espandendo anche in ambiti extra calcistici. Nel gennaio 2021, infatti, le divise da gioco di 23 squadre da tutti i continenti sono state inserite tra le skin di Fortnite: il videogame che ha attraversato come un tornado il mondo del gaming online e si è ben presto riversato nella vita offline delle persone, come dimostra il balletto inscenato da Griezmann dopo il goal in finale di Coppa del Mondo contro la Croazia.

L’esultanza di Griezmann, durante i Mondiali 2018, è tratta dal famoso videogame Fortnite, che permette ai propri giocatori di ballare nel corso gioco.

Uscito nel 2017, Fortnite è un videogioco “sparatutto” sviluppato da Epic Games e diventato immediatamente un trend mondiale, tanto da raggiungere i 350 milioni di utenti registrati nel maggio del 2020. Il gioco, nel quale i gamer si ritrovano a sfidarsi contemporaneamente sulla stessa mappa, deve il suo successo a diversi elementi innovativi. Innanzitutto, il fatto che è completamente gratis e giocabile da qualsiasi tipo di dispositivo, dagli smartphone ai computer, passando per le console, ma soprattutto per essere un gioco davvero democratico. Infatti, nonostante sia possibile acquisire punti esperienza e salire di livello, questo non garantisce la possibilità di migliorare le abilità del proprio avatar (ad esempio, avere una mira migliore). È tutto nelle mani – e nel joystick del giocatore, anche perché all’inizio di ogni partita si parte senza armi. Quindi, anche da questo punto di vista, il gioco è democratico: avere un miglior livello di esperienza non garantisce armi più potenti, a differenza di quanto accade nella quasi totalità dei giochi “sparatuttoonline.

L’unico power up possibile riguarda le skin del proprio avatar, ovvero i vestiti ed il cappello indossato. Un potenziamento puramente decorativo, che ovviamente non garantisce alcun miglioramento delle abilità di gioco. Ed proprio in questo settore che il calcio si sta facendo strada.

Epic Games ha stretto delle partnership con ciascuna delle 23 società che hanno offerto i propri diritti per rappresentare le proprie divise nel videogame più famoso degli ultimi anni. Per fare in modo di non lasciare fuori nessun mercato, le squadre provengono da tutti i cinque continenti, anche se ovviamente c’è stata una predilezione per il calcio europeo. Nello specifico, i club selezionati sono stati: Manchester City, Seattle Sounders, Los Angeles Galaxy, Atlanta United, Santos, West Ham, Wolverhampton, Sevilla, Sporting Lisboa, Borussia Monchengladbach, FC Schalke 04, Wolfsburg, Rangers, Celtic Glasgow, Cerezo Osaka, Melbourne City, Sydney FC, Western Sydney Wanderers ed FC Bahia. Per l’Italia, invece, Inter, Milan, Juventus e Roma.

Un gameplay di Fortnite, con indosso la skin dell’AC Milan.

Per quanto questa iniziativa abbia suscitato un certo clamore su tutti i siti sportivi del nostro paese, il calcio non è stato il primo partner esterno a poter inserire l’abbigliamento ufficiale all’interno di Fortnite. Un primato che appartiene alla NFL – la lega di football americano degli Stati Uniti – che già nel novembre del 2018 aveva stretto un accordo con Epic Games per far apparire le divise di tutte 32 le franchigie tra le skin disponibili, dando addirittura al giocatore la possibilità di personalizzare il proprio numero di maglia. Un’ulteriore dimostrazione – se ce ne fosse bisogno – di come lo sport americano abbia una visione che guarda ben al di là del campo di gioco, riuscendo a sfruttare le grandi potenzialità di business della digitalizzazione. Non è un caso, infatti, che il calcio europeo stia guardando proprio alla NFL come modello per ampliare i ricavi: basti pensare che la lega americana, vantando 300 milioni di appassionati, produce utili per oltre 9 miliardi, mentre la Champions League con quasi 4 miliardi di appassionati produce per “appena” 3,2 miliardi.

Considerando il calcio giocato, si può dire che il mondo dei videogame altro non è che un mercato collaterale. Sicuramente in espansione ed inesplorato, ma che può garantire ricavi solamente in termini economici e di pubblicità. C’è da prendere in considerazione, però, un ulteriore elemento di novità, che cambia l’intera prospettiva di questa operazione sinergica tra il mondo del pallone e quello dei videogiochi: è la nascita dei campionati calcistici nazionali ed internazionali di eSport (electronic sports), come ad esempio la eSerie A. Infatti, numerosi club professionistici hanno creato la propria squadra ufficiale per partecipare ai principali tornei del mondo EA Global Series (EA è il produttore ufficiale del videogioco FIFA).

Alla luce del deciso tackle con cui i principali brand del calcio sono entrati nel mondo dei videogiochi, la partnership con Fortnite assume tutta un’altra prospettiva. Non è solo una semplice operazione di marketing per sfruttare un mercato ancora vergine, ma una precisa strategia che ha l’obiettivo di trasformare i club calcistici in brand riconoscibili anche nel mondo dei videogames e di attrarre sempre più giovani gamers verso gli eSport.

Giovanni è un milanese doc trapiantato a Roma, che non pensa minimamente di rinnegare la cotoletta fritta nel burro, come da tradizione meneghina. Vaticanista, che sogna di raccontare un conclave. Sottovoce sostiene che Guccini sia leggermente meglio di De André. Nel suo mondo ideale vorrebbe vedere Vinnie Jones marcare Neymar

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