
Cambiamento climatico ed effetti speciali
Ricordate quando il cambiamento climatico era divertente? Un espediente di trama per romanzi di fantascienza e film apocalittici ricchi d’azione? Ecco, era così prima di trascorrere il mese di giugno più caldo mai registrato. Prima delle trombe d’aria nell’Adriatic. Delle malattie tropicali che si diffondono fino al nord Italia. E delle “bombe d’acqua” sempre più frequenti tra i titoli dei giornali.
Già da piccoli, abbiamo capito che la nostra specie ha un impatto distruttivo sull’ambiente. Ma abbiamo anche creduto, fiduciosamente, che quell’impatto fosse reversibile. Attraverso piccole accortezze come non lasciare cartacce dopo un picnic, o badare all’acqua che si usa per fare la doccia.

Guardavamo film d’animazione come Ferngully, dalla trama semplice e dall’ambientazione fantasy, in cui il principale antagonista è un mostro amorfo creato dalla deforestazione sfrenata e dall’inquinamento. Il messaggio era idealista. Nel film, la foresta devastata dalle macchine poteva essere risanata.
Nel campo dell’animazione, un regista molto attento alle tematiche ambientaliste è Hayao Miyazaki. Che è notoriamente un pessimista, con una visione nerissima del nostro futuro. Eppure, pellicole come Principessa Mononoke, La città incantata e Ponyo sulla scogliera rappresentano l’inquinamento delle acque e lo sfruttamento del suolo come calamità su scala ridotta. Eventi di cui l’uomo può essere sia colpevole che riparatore.
Invece, mentre noi assimilavamo questi speranzosi messaggi ecologisti, la scienza gridava a gran voce, da anni, che il problema era su scala globale. E che ci sarebbe voluto ben più del gesto benintenzionato di un singolo, o anche di un’intera comunità, per invertire la tendenza.

L’industria dello spettacolo ha preso il messaggio di allarme degli scienziati e ne ha fatto una scenografia per film adrenalinici. I ghiacciai si sciolgono? Eccovi Waterworld, film post-apocalittico ambientato in un mondo ricoperto dagli oceani. Il clima potrebbe alterarsi in modo catastrofico? Arriva The Day After Tomorrow, in cui l’alterazione dei mari provoca una nuova e repentina era glaciale. Poco importa che il futuro prospettato da questi film non somigli per niente alle previsioni degli scienziati.
Le storie sul cambiamento climatico sono, paradossalmente, meno efficaci a raccontarlo di quelle in cui il cambiamento climatico è sì rilevante, ma i temi fondamentali sono altri. Per esempio, il fumetto Snowpiercer (adattato in un film e poi in una serie televisiva) è incentrato su tematiche di disparità sociale e lotta di classe. Ma è la sua ambientazione a colpire l’immaginazione: un treno lanciato a folle velocità attraverso un mondo ghiacciato.
O ancora, la serie cinematografica di Mad Max. Il cui immaginario nel corso degli anni ha attraversato la crisi petrolifera e la minaccia atomica della guerra fredda per approdare alle preoccupazioni moderne per un futuro apocalittico.
Nella finzione, ecosistemi che collassano e clima impazzito funzionano meglio quando restano sullo sfondo. Quando servono a stimolare nelle nostre coscienze di spettatori il dubbio strisciante che le mirabolanti avventure dei protagonisti non siano poi così lontane dalla nostra realtà.
E questo spunto di riflessione colpisce nel segno quando è accompagnato da temi sociali e provocazioni politiche, travestiti da iperboli fantascientifiche. Che ci costringono a guardare con più attenzione il mondo che ci circonda. A parlare del cambiamento che osserviamo, a cercare un confronto.

Gli esempi sono tanti: si va da pellicole cult come Blade Runner a opere nostrane recentissime come il romanzo grafico Troppo facile amarti in vacanza. Il film satirico Don’t Look Up ci ha raccontato la corsa insensata dell’umanità verso l’autodistruzione con una metafora, senza mai parlare apertamente di cambiamento climatico. Mentre i romanzi di Jeff VanderMeer, invece, ne parlano senza mezzi termini, sia nella fantascientifica saga di Annientamento (da cui è stato anche tratto un film) sia nel suo ultimo libro Colibrì Salamandra.
Attraverso i media più diversi, gli artisti ci costringono a prendere atto del collegamento indissolubile tra i mali della nostra società e la distruzione che provochiamo nell’ambiente che ci circonda.
Come si riflette questa presa di coscienza nell’intrattenimento? Con opere sempre più fataliste, in cui un futuro di morte e distruzione è dato per certo. In Interstellar, l’umanità non cerca più di salvare il mondo, ma di abbandonarlo. Lasciarsi alle spalle un pianeta distrutto è un tema ricorrente, ormai. Lo troviamo anche nel film d’animazione Wall-E, e nella serie Lost In Space. Il cambiamento climatico non è più un giocattolone per action movies hollywoodiani. Piuttosto è una catarsi, un modo per elaborare l’ansia per l’avvenire attraverso le storie.

Ma queste storie hanno un impatto significativo su di noi? Possono alimentare il dialogo, certamente. Ma sono in grado di spingere noi, lettori passivi e spettatori distratti, a prestare attenzione, a cercare un cambiamento di rotta?
Nella finzione, sempre più spesso, non c’è un lieto fine per la Terra. A volte, nemmeno per l’umanità. E nella realtà? Siamo davvero all’ultimo atto? O siamo solo all’inizio di un nuovo capitolo?
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