Carlo Giuliani, tifoso romanista in terra genoana

È una calda mattina di fine luglio. Nonostante la brezza che soffia su Genova, l’aria sulla città è opprimente. I fatti di pochi giorni prima sono ancora impressi nella memoria dei genovesi e incisi sulle mura delle case, ma quel 25 luglio 2001 è il giorno del pianto e della rabbia per tutti coloro che ricorderanno sempre Carlo Giuliani con un cappellino in testa e un sorriso, e non con un estintore in mano e il volto coperto. 

Davanti al cimitero monumentale di Staglieno, dove sono sepolti diversi figli illustri della città, si raduna una folla di un migliaio di persone per ricordare il 23enne ucciso negli scontri del G8.

Una cerimonia sobria, composta, ma piena di dolore. Sono numerosi gli interventi che ricordano Carlo: un ragazzo gentile, sorridente e voglioso di scoprire il mondo. Accanto al piccolo palco la bara, coperta di fronde verdi e da una bandiera della Roma, la squadra di cui era tifoso. 

Carletto, come lo chiamavano gli amici, veniva da Piazza Manin, nei quartieri borghesi, e allo stesso tempo viveva i vicoli: stava bene sia con gli amici ricchi che con i ragazzi del Campetto. Frequentava i centri sociali, tra cui lo Zapata, la parrocchia di San Bernardino per giocare a calcetto e il circolo Mascherona dell’Arci.

E poi, quando poteva, girava l’Italia al seguito della sua Roma. «Non puoi collocarlo o identificarlo», racconta Pino, responsabile dell’Anlaids genovese, «Carlo voleva conoscere la vita, voleva sbatterci le corna contro, voleva provare. Non solo sentir raccontare.»[1].

I ragazzi dei vicoli qui, «dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi»[2], spendono le giornate tra birre e fumo. Frequentano i bar di piazza delle Erbe e l’osteria degli Azenetti, dove davanti ad una caraffa di vino, si parla per ore di calcio e ci si infuria contro chi mostra simpatia per la Sampdoria: i vicoli sono frontiere genoane.

L’immenso Fabrizio De André racconta i vicoli di Genova.


Non per Carlo, però, che tifava Roma, la squadra della città dove è nato. Un “estraneo” rispettato, perché il mondo ultras ha i suoi patti, le sue fedeltà e le sue regole non scritte. Fra queste la lealtà per la maglia: un valore vero per i ragazzi del tifo.

A Piazza Alimonda, infatti, nell’interminabile pellegrinaggio sul luogo della sua uccisione vengono deposte magliette e sciarpe giallorosse, ma anche adesivi del Genoa.

Questi sono i territori di Carlo Giuliani e dei suoi amici. Sono quartieri rovesciati, dove degrado e bellezza si mescolano. Dei vicoli è anche Edoardo Parodi, amico fin dai tempi del liceo scientifico di Carlo, a cui lo accomuna la passione per il calcio.

La mitica Gradinata Nord dello Stadio Marassi di Genova, casa degli ultras del Genoa. – Fonte: Twitter

Poteva esserci anche lui a Piazza Alimonda, ma si era allontanato da Genova come avevano fatto numerosi suoi concittadini, per seguire il ritiro del suo Genoa. L’omicidio dell’amico lo segna a tal punto da portarlo a presidiare i luoghi in cui si incontravano.

Fino al 2 febbraio 2002, quando parte per Zurigo per partecipare ad una manifestazione contro il WTO. Al ritorno avrebbe dovuto fermarsi a Como per seguire la trasferta del Grifone insieme al suo amico Mattia Vassalli.

Solo che, allo Stadio Sinigallia, Edoardo non ci arriverà mai. Mattia lo troverà morto nel letto per colpa di una miocardite acuta, forse provocata, in un fisico già debilitato dal dolore, dai lacrimogeni di tipo CS – con un gas urticante per la pelle e le muscose – utilizzati dalla polizia svizzera nelle cariche contro i manifestanti.

Il pugno chiuso verso il cielo, un urlo di dolore, un compagno che rimane dentro il cuore. Ciao Edo.

I compagni rossoblu

La targa che ricorda Edoardo Parodi nella gradinata nord dello Stadio Marassi di Genova.

A Genova, città divisa da una rivalità calcistica che ti entra nelle ossa, il tifo è storia. Anche tragica. Come nel 1995 quando, prima di un Genoa-Milan di Serie A, gli ultras rossoneri provocano uno scontro.

Vincenzo Spagnolo, tifoso della Fossa dei Grifoni che gli amici del centro sociale Zapata (lo stesso frequentato da Giuliani) chiamano Claudio Spagna, viene ucciso da una coltellata.

Nelle settimane seguenti diversi gruppi ultras danno vita ad una sorte di codice cavalleresco, che può essere riassunto con lo slogan «basta lame, basta infami». Le nuove “regole” prevedono che ci debba essere un buon motivo per lo scontro e debba svolgersi a mani nude, in numero pari e senza coinvolgere estranei.

Servizio successivo all’uccisione di Vincenzo Spagnolo.


Nel febbraio 2000 viene emanato un decreto per combattere le scritte nazifasciste negli stadi, che però riduce il problema politico delle organizzazioni neonaziste ad una questione di ordine pubblico.

Il testo di base pur garantendo maggior presenza, più poteri alla polizia e perquisizioni all’ingresso ancora più rigide, non ha permesso di scongiurare ulteriori episodi di violenza susseguitisi negli anni (non ultimo il caso dell’omicidio Raciti).

A Genova, durante i giorni del G8, si sono viste utilizzare le stesse tecniche di controllo delle partite di campionato: perquisizioni sistematiche e celerini alla stazione di partenza e di arrivo per scortare il gruppo “in trasferta”.

Chi, nei giorni successivi alle tragiche scene andate in mondovisione, parla di “gestione dell’ordine pubblico” sembra avere tutto l’interesse ad equiparare i cittadini che partecipano ad una manifestazione allo stereotipo dell’ultras violento.

Esponenti dei sindacati di Polizia parlano di aver individuato frange di tifosi violenti in azione. E se la piazza diventa curva, allora possono essere utilizzati gli stessi metodi. Infatti, come spiegano fonti dell’Arma, la maggior parte dei carabinieri presenti per le strade di Genova aveva solo l’esperienza di servizio allo stadio.

Negli stadi si deve comunque tornare ad appena un mese dell’omicidio di Carlo Giuliani. I questori avvisano gli ultras: con il nuovo decreto contro la violenza negli stadi ci sarà “tolleranza zero” e concludono dicendo di temere “infiltrazioni dei black-block“.

Ad agosto, la Serie A 2001/2002 si inaugura con una tensione alle stelle ed i tifosi di tutto il Paese che gridano “assassini” ai poliziotti. Le forze dell’ordine in tenuta antisommossa ricordano ancora troppo sinistramente le immagini dei fatti di luglio.

L’intero mondo ultras riversa la sua rabbia sulla polizia, perché su questo punto ogni rivalità o ideologia cessa. Come dimostra lo striscione esposto dagli Irriducibili, frangia della curva della Lazio con simpatie naziskin:

Ideali diversi: onore a Carlo Giuliani

I compagni delle curve di tutta Italia lo ricordano, perché in fondo era un ragazzo come loro: appassionato per la propria squadra, tanto da seguirla per gli stadi della penisola. Come accadde il 17 giugno 2000, un anno prima della sua morte, quando era andato all’Olimpico a vedere Totti nel Roma-Parma che diede lo Scudetto.

L’invasione di campo dello stadio Olimpico per la vittoria dello Scudetto.
Roma-Parma 3-1, 17 giugno 2001. – Fonte: Twitter

Finita l’ubriacatura della festa, era tornato a Genova con una bandiera giallorossa, afferrata nell’invasione di campo a fine partita. La stessa bandiera che ha coperto la bara di Carlo Giuliani davanti ai cancelli del cimitero. «Quello è stato l’ultimo giorno felice della sua vita»[1], ricorda Pino.

NOTE

[1] A. Semplici, Vita e morte di uno dei vicoli, in «Altreconomia», n° 20, luglio/agosto 2001.
[2] La città vecchia, di Fabrizio De André, 1965.

Giovanni è un milanese doc trapiantato a Roma, che non pensa minimamente di rinnegare la cotoletta fritta nel burro, come da tradizione meneghina. Vaticanista, che sogna di raccontare un conclave. Sottovoce sostiene che Guccini sia leggermente meglio di De André. Nel suo mondo ideale vorrebbe vedere Vinnie Jones marcare Neymar

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