Copa América 2001, la prima (e unica) volta della Colombia

La vittoria dell’Argentina, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di narrazione (è proprio il caso di dirlo) messianica, ha di fatto nascosto sotto il tappeto gran parte delle critiche piovute su una delle edizioni più controverse di sempre della Copa América.

Colombia maledetta

Quarantasettesima edizione che, inizialmente, si sarebbe dovuta disputare nell’estate del 2020, organizzata congiuntamente da Argentina e Colombia. È andata a finire che il presidente colombiano Ivan Duque, di fronte alle violente proteste che hanno scosso il paese in seguito al piano governativo di aumento delle imposte, si è visto costretto a ritirare la candidatura e che il ministero della salute argentino, spaventato dal rapido aumento dei contagi da Covid-19, ha seguito l’esempio qualche settimana dopo. Risultato: nessun ulteriore rinvio e il torneo si è giocato nel secondo paese al mondo per numero di contagi. Una soluzione di fortuna cui è seguito uno strascico di polemiche che – almeno in Brasile, complice forse anche la sconfitta in finale contro il rivale storico – non si sono ancora del tutto sopite.

Evidentemente, è la scelta della Colombia, come paese organizzatore, a non portare molta fortuna. Il paese andino è uno dei tre (Paraguay e Venezuela gli altri due) ad aver ospitato una sola edizione del torneo, a fronte per esempio delle nove dell’Argentina e delle sette di Cile e Uruguay. L’unico precedente risale esattamente a 20 anni fa: era il 29 luglio del 2001 quando un goal di Ivan Ramiro Cordoba permise ai cafeteros di alzare il trofeo (anche in questo caso l’unico finora) battendo per 1-0 il Messico in finale di fronte ai 43mila spettatori del Campín di Bogotà. L’epilogo di una di un’edizione tutt’altro che tranquilla, visto che anche allora il paese si trovava a vivere un momento a dir poco delicato.

Il goal (ovviamente di testa) con cui l’interista consegnò alla Colombia la sua prima e unica coppa.

La guerra alle FARC e al narcotraffico

La scelta della Conmebol, la Uefa sudamericana, è datata 1999. La federazione, pur conscia dei rischi legati al narcotraffico e alla guerriglia delle FARC, decise di dare una chance al paese governato allora dal conservatore Andrés Pastrana Arango, tra i primissimi ad aprire alla possibilità di un dialogo con i guerriglieri per mettere fine alle violenze. L’intero paese vide nell’assegnazione del torneo un’occasione storica per lasciarsi alle spalle vent’anni di sangue e disordini e i media avviarono una campagna di ampio respiro per offrire all’interno e all’esterno un’immagine del paese “ripulita”.

Le controversie dell’edizione 2001

I problemi, però, non tardarono a presentarsi. A metà giugno, a meno di un mese dalla data prevista per il fischio d’inizio (11 luglio), gli scontri fra le forze governative e le FARC subirono una sensibile escalation. E la , il 28 giugno, convocò d’urgenza una riunione per decidere il da farsi. La decisione al termine della camera di consiglio fu drastica: revoca dell’organizzazione alla Colombia per l’estrema gravità delle contingenze interne, con il Venezuela che si offrì di prendere il testimone.

Furono ore a dir poco convulse, al termine delle quali la massima federazione sudamericana declinò l’offerta giunta da Caracas, riassegnando il 30 giugno la manifestazione ai colombiani, posticipandola però di un anno. Fu allora che le autorità di Bogotà si opposero alla decisione, promettendo massime garanzie di sicurezza e facendo notare la difficoltà di conciliare nel 2002 il calendario della Copa América con quello dei Mondiali in programma in Giappone e Corea del Sud.

Nella confusione venutasi a creare e di fronte alle rassicurazioni del governo colombiano, il 5 luglio – a meno di una settimana dalla cerimonia d’apertura – la Conmebol mise finalmente la parola fine: Colombia.

La Tricolor di Faustino Asprilla scende in campo per la gara inaugurale contro il Venezuela [Archivo ETCE]

Un’edizione mutilata

Tutto risolto? Nemmeno per idea. Gran parte delle federazioni sudamericane insorsero, lamentando condizioni di sicurezza insufficienti: Brasile e Uruguay decisero di inviare in Colombia selezioni di secondo piano e il 6 luglio arrivò addirittura il forfait del Canada. Per sostituire i nordamericani si decise di coinvolgere in extremis il Costa Rica, alla seconda partecipazione al torneo dopo quella del 1997. Poi, il patatrac: il 10 luglio, a 24 ore dalla prima partita, anche l’Argentina ritirò la propria nazionale: alla base della decisione, tutt’altro che gradita al popolo albiceleste, le presunte minacce di morte ricevute da alcuni calciatori. Si trattava quindi di trovare in 72 ore (tante mancavano all’esordio del girone) un sostituto: la scelta cadde sull’Honduras che – contro ogni pronostico – accettò, facendo così il proprio esordio assoluto nella competizione.

Honduras storico

In realtà il selezionatore honduregno Ramón Maradiaga fu costretto a inseguire i propri calciatori, già in giro per il mondo per le vacanze, e la nazionale centroamericana venne trasportata in Colombia da un aereo dell’aviazione militare colombiana. Gli honduregni sbarcarono a Medellín la mattina dell’11 luglio ed esordirono la sera del 13.

La loro, peraltro, fu una Copa América indimenticabile, oltre che tuttora l’unica a cui presero parte: dopo la sconfitta all’esordio con il Costarica, inanellarono due vittorie con Bolivia e Uruguay, togliendosi addirittura lo sfizio di battere ai quarti di finale niente meno che un (seppure rimaneggiato) Brasile in crisi d’identità. La folle corsa della nazionale che non avrebbe nemmeno dovuto partecipare al torneo s’interruppe solo in semifinale al cospetto dei padroni di casa, ma i calci di rigore della finale di consolazione regalò comunque all’Honduras un bronzo storico.

In Sudamerica ci si può aspettare di tutto, in una Copa América all’insegna della follia a maggior ragione…

La follia sudamericana

A completare una delle edizioni più controverse e folli di sempre ci pensarono due paracadutisti che il giorno della finale, il 29 luglio, atterrarono sullo stadio di Bogotà al 5° minuto di gioco, in evidente ritardo rispetto alla cerimonia di chiusura pre-partita. Colpa del proverbiale traffico che intasa la capitale colombiana e degna rappresentazione della caotica assurdità del torneo.

La Colombia, come detto, si aggiudicherà quella Copa América 2001, interrompendo un digiuno lungo 56 anni. Nelle sette edizioni disputate da allora, però, non è più riuscita a ripetersi, fermandosi sempre prima della finale. Come paese ospitante, invece, avrebbe potuto prendersi la propria rivincita dimostrando di aver fatto passi da gigante sul piano della sicurezza. A impedirglielo una pandemia globale dalle conseguenze, anche sociali, devastanti.

Emiliano Mariotti è nato a Milano nel 1991, si è laureato in Storia e poi ha frequentato la Scuola di Giornalismo “Walter Tobagi”. Giornalista di nome ma comunicatore di fatto, sogna di scrivere come Gianni Mura ma si accontenterebbe di fare il corrispondente da Istanbul.

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