Dal celebre film “Troy” al remake di Netflix “Troy: fall of a city”

Da qualche anno i dibattiti pubblici, specie quelli della community online, ruotano intorno al tema del politically correct. Ma che cos’è davvero? In tanti hanno pensato fosse la causa della cancel culture, altri credono che vieti o, in un certo senso, limiti la libertà d’espressione, per molti altri ancora è l’unico modo ammesso per potersi esprimere di fronte ad un pubblico, soprattutto a quello social. È un’estrema attenzione, quindi, ai modi in cui si esprime la propria opinione, soprattutto riguardo ad alcuni temi, molto importanti per le nuove generazioni. Purtroppo però molto spesso si rischia di non comprendere l’ironia, di non accettare la satira o di essere fortemente critici.

L’ondata del politicamente corretto non poteva non travolgere il mondo cinematografico, quello del grande schermo e quello delle piattaforme streaming. Da poco su Netflix, Troy: fall of a city è il remake del grande cult Troy, uscito nel 2004 e il ventennio interposto tra i due è tutt’altro che invisibile: l’inclusività regna sovrana sin dalle prime scene e il popolo greco è un melting pot.

Trailer di Troy: fall of a city

Pensando alla Grecia classica, il primo scenario che si immagina è una serie di casupole in pietra, abiti in velo bianchi, pelle candida e valorosi guerrieri; un luogo comune perfettamente incarnato dal film Troy e completamente ribaltato dal remake. La diversità etnica è la prima componente che emerge, risultando sicuramente fuori luogo, data l’impossibilità di così tante comunità differenti presenti in un’epoca lontana dal multiculturalismo. Un’altra caratteristica è la somiglianza dei paesaggi e dell’interno delle abitazioni a quelle della zona medio-orientale come fossero set preparati per la ripresa di un film religioso: nonostante la posizione geografica della Grecia, comunque vicina allo scenario orientale, alcuni dettagli presenti nel film, rimandano ad una storia ambientata nell’antica Mesopotamia, ad un passo biblico, senza alcuna traccia di elementi tipici della cultura ellenistica.

Ma ciò che più colpisce è il copione dei personaggi, soprattutto come questi siano stati pensati dagli sceneggiatori in funzione del politicamente corretto: Elena è una donna intraprendente, indipendente, una femminista greca, che scappa con il suo Paride non per volere degli Dei o per amore, ma dopo essersi resa conto di essere solo un trofeo che Menelao ostenta quando vuole. Paride è un ribelle, non rispettoso dei meccanismi sociali, degli accordi politici e delle dinamiche tipiche del periodo storico. Achille perde tutta l’importanza che ha nella storia e le famose divinità, responsabili dell’intreccio e della guerra, compaiono in pochissime scene.

L’immagine sovrastante riporta i due Achille a confronto: a sinistra David Gyasi nel remake, a destra Brad Pitt nel cult Troy. Source: prototema.gr

Quando si guarda Fall of a City, non si pensa di certo ad un nuovo Troy o al racconto omerico, piuttosto ad una versione moderna che prende spunto dalle vicende greche, rivisitate in chiave contemporanea. Sicuramente l’inclusività, il femminismo e l’uguaglianza sono concetti chiave della nostra società ed è molto importante parlarne; non possiamo, però, pensare che tutto ciò che ci riguarda dovrebbe per forza essere presente anche in un popolo vecchio di 2000 anni. Ecco perché questo remake risulta insolito e inverosimile.

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