Diabolik, il caleidoscopico fascino del male

I fratelli Manetti hanno già messo le mani avanti, specificando che hanno pensato poco o punto a Mario Bava, il grande regista italiano che nel 1968 firmò il primo e unico film ispirato a Diabolik. Innanzitutto perché aprire un confronto con Bava non è salutare per nessuno. In secondo luogo perché, per sua stessa ammissione, il maestro del brivido all’italiana non aveva voluto codificare fedelmente il personaggio delle sorelle Giussani.

Locandina del film di Mario Bava

Diabolik è un fumetto apparentemente semplice e spiegarne il successo a oltre mezzo secolo di distanza lo è meno; a maggior ragione ci si domanda come mai, visto l’aere tenebroso del personaggio, l’ambientazione dalle geometrie chic, il rapporto di coppia costruito su un universo iconografico hollywoodiano, la versione cinematografica che ne è stata tratta finora sia soltanto una.

Bava non era nuovo a un certo codice estetico, per certi versi aveva i modi di un elegante interior designer: organizzare gli spazi interni era cosa sua, basti pensare al bellissimo Sei donne per l’assassino, forse il suo risultato più alto da un punto di vista artistico e cromatico in senso lato, almeno per la raffinatezza e la classe della messa in scena.

Dice Alberto Pezzotta del Diabolik di Bava: “visivamente prodigioso: un reperto di modernariato dove s’incrociano pop-art, optical-art, psichedelia, futurismo e liberty in un’orgia di coloracci.” Troppa grazia? Il maestro si era accontentato di un prodotto quasi sperimentale che comunque, senza scintillare, nemmeno sfigurava poi tanto nel panorama di quella filmografia.

Locandina del film in uscita a fine 2020

Scontata l’idoneità fisica e fisiognomica dei due protagonisti scelti per questa prova ennesima – Luca Marinelli e Miriam Leone – la sfida interessante sarà vedere Mastandrea vestire i panni di Ginko, in un ruolo ricoperto al tempo dall’ormai compianto Michel Piccoli, non certo in una delle interpretazioni della vita, per dirla fuori dai denti. Al tempo Phillip Law passò per inespressivo: il suo Diabolik avrebbe certamente potuto essere qualcosa in più, almeno in termini di fascino. Marisa Mell, resa bellissima e soprattutto biondissima per l’occasione, mostrò un’audacia erotica considerevole per il tempo. Oggi invece la trasgressione e il nudo non stupirebbero più nessuno, anzi il contrario; forse per questo c’è quasi da auspicarsi una Eva Kant più misteriosa, meno svestita e dunque più fedele al fumetto: d’altronde che bisogno ne avrebbe Miriam Leone?

La questione non si limita a ciò. Nel fumetto l’erotismo di coppia si evince con grande margine e solo dall’affiatamento dei due personaggi, ma non viene mai ostentato esplicitamente. Ciò che si tace è reso esplicito dall’ovvietà? O forse no: in fondo sembrò a molti che le Giussani volessero creare un personaggio redento da una donna, che lo aveva cambiato (ma non troppo), e in fondo pressoché casto nella sua monogamia ascetica e ombrosa. Ai tempi – il fumetto nasce nel 1961 – probabilmente scene più accese non avrebbero passato la censura.

Al di là di questo c’è da pensare con difficoltà che le sorelle Giussani, esponenti di una borghesia milanese d’altri tempi, avrebbero accolto con favore manifestazioni “esuberanti” dell’eros, anche quando poi gli anni passarono e la liberazione sessuale divenne un fardello. Se l’eros latita, la violenza negli albi non è mai mancata. Tanto che il fumetto fu criticato da padri e madri di famiglia, convinti che Diabolik avesse tutti i caratteri di un prodotto che potesse traviare i ragazzi.

Riuscirà il film a non far passare Diabolik per le maglie del giustificazionismo, come spesso avviene nelle definizioni copiose del personaggio? Diabolik non è Robin Hood e il suo compiere il male non è finalizzato a un grande disegno sociale: la sua eversione è mero individualismo. Checché se ne dica rimane – a distanza di lustri e decenni e albo dopo albo – un individualista, un egoista, un criminale il cui scopo nella vita non è certamente quello di farsi portatore di una giustizia sociale. È vero che ruba ai ricchi, ma a chi dovrebbe rubare se non a loro? Conoscete indigenti che dispongono di gioielli e corone da mettere in mostra in serate di gala?

Altra sfida del lungometraggio pertiene la fedeltà al fumetto. Bava scegliere una libera e caleidoscopica ambientazione che rendeva il tutto un po’ kitsch, ma se teniamo a mente l’opera letteraria ci troviamo di fronte a un’iconografia più scarna e tenebrosa, rafforzata dal prodigio chiaroscurale del bianco-nero.

Robert Taylor

Il rapporto tra il fumetto e il Cinema però non si esaurisce qua. Il viso di Diabolik viene da lontano, più precisamente dalla Hollywood Classica. Non era d’altronde una novità che i personaggi del fumetto, come quelli della letteratura, trovassero nel Cinema i tratti paterni. James Bond era stato pensato con il volto di Cary Grant. Tex Willer, nato nel 1948, con quello di Gary Cooper (almeno nelle iniziali intenzioni di Aurelio Galleppini: ma poi la sua mascella si fece più quadrata); le sorelle Giussani avevano concepito quest’uomo perverso rifacendosi ai tratti apollinei di Robert Taylor che nel 1961, quando nacque il personaggio, aveva già dato il suo meglio a Hollywood; negli anni 40 era stato, oltre che marito di Barbara Stanwyck, una delle stelle di punta del firmamento hollywoodiano, forse l’unico divo maschile in grado di rivaleggiare con Tryone Power.

Luigi Luca è nato a Milano nel 1992, ha studiato Storia e si è specializzato in Editoria. Lavora nella comunicazione digitale. È un cinefilo da sempre e si è dedicato alla materia da autodidatta, con un focus sulle cinematografie nazionali francese e statunitense.

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