Continuano a far discutere le dichiarazioni di Roman Protasevich
Rimangono puntati i riflettori sul caso Roman Protasevich, il giornalista dissidente arrestato dalle forze del governo lo scorso 23 maggio, dopo che il suo volo diretto a Vilnius è stato dirottato nella capitale bielorussa di Minsk.
Al governo dal 1994, Alexander Lukashenko è considerato “l’ultimo dittatore d’Europa”. Dopo le elezioni dello scorso 9 agosto, il popolo bielorusso è insorto in nome della democrazia, accusando l’attuale presidente di brogli e manipolazioni. Dopo quasi un anno, però, nulla è cambiato, a parte il fatto che i dissidenti raccolgono sempre più adesioni e che il governo è pronto a tutto pur di far tacere le loro voci.
Come molti altri giornalisti, per sfuggire alle violenze da parte del governo nei confronti di chi si oppone e fa resistenza, nel 2019 Roman Protasevich si era trasferito all’estero, in Polonia, dove aveva chiesto anche asilo politico. Dissidente fin dagli anni dell’adolescenza, nel 2015 aveva fondato insieme al collega Stepan Putilo il canale di informazione indipendente Nexta, e da novembre era diventato l’amministratore del canale Telegram Belarus of the Brain. È stata una figura chiave nell’organizzazione delle proteste e nella divulgazione di notizie controcorrente rispetto a quelle condivise dai canali filogovernativi. Per questo motivo, era considerato uno dei principali nemici dello Stato da parte di Lukashenko stesso.
Il 3 giugno, Protasevich ha fatto la sua seconda apparizione televisiva dall’arresto. Durante l’intervista, il giovane ha ritirato le sue accuse contro il presidente Lukashenko, dichiarando il suo “assoluto rispetto” e definendolo “un uomo con le palle d’acciaio”. Si è poi detto pentito di aver alimentato le proteste contro il suo governo. Nonostante i suoi oppositori la definiscano una farsa, l’intervista ha lanciato un nuovo allarme tra i suoi collaboratori che hanno ribadito la loro preoccupazione per il giornalista.
Protasevich in torture “interview” video says he was mistaken about Lukashenko. “He’s a man with steel balls,” he says.
— Oliver Carroll (@olliecarroll) June 3, 2021
These aren’t his words of course.
And nor is the interviewer a journalist. Certainly not a member of a profession I recognise. pic.twitter.com/bADMxTCbSa
Protasevich era già stato protagonista di un video divulgato dal governo il giorno successivo al suo arresto. Aveva dichiarato di stare bene. Tuttavia, anche in quell’occasione, i genitori del giornalista e il collega Putilo, avevano affermato che, nonostante il trucco, “i segni delle ferite sono evidenti e si capisce che il suo naso è stato fratturato”. Inoltre, avevano espresso apprensione circa la pressione psicologica a cui il giovane sarebbe sottoposto da parte del governo.
Al momento, la situazione in cui si trovano i media indipendenti è critica. I maggiori canali sono bloccati, molti giornalisti sono detenuti e altri si trovano costretti a partire. “Questo ci fa capire che la libertà di stampa in Bielorussia è in condizioni critiche. Siamo tutti in pericolo.” Ha dichiarato Putilo.
Le repressioni contro i giornalisti indipendenti in Bielorussia sono quindi lontane da una fine. Il mese scorso due detenuti si sono tolti la vita in carcere. Uno di questi ha lasciato scritte le ragioni: le pressioni ricevute dal governo. Sebbene gran parte dei giornalisti indipendenti si trovi ora all’Estero, Olga Erokhina, caporedattrice di Belsat, ha affermato che, dopo i recenti avvenimenti, non si sente più sicura neanche in Polonia. “Il governo è pronto a tutto pur di fermarci. Quindi sì, adesso ho paura e ho paura per i miei giornalisti”.
Nonostante le tensioni sempre più forti, i media indipendenti sono determinati a portare avanti la loro causa. “Dopo tutto quello che sta succedendo e dopo quanto accaduto a Protasevich, tutte le piattaforme di informazione indipendenti bielorusse hanno deciso di non competere più fra di loro. Al contrario, abbiamo deciso di collaborare, di aiutarci in tutto. Combattiamo tutti la stessa battaglia: quella per la libertà e per la verità” afferma Erokhina.
Durante la conferenza stampa tenuta il 27 maggio, Stepan Putilo ha invitato i media di tutto il mondo a parlare di più della situazione in cui si trova il paese e a condividere tutte le informazioni utili a far capitolare il “terrorista che ha preso il potere con la forza e che, quindi, non è degno di essere chiamato presidente”. Ha inoltre raccomandato a chiunque di diffidare da quello che viene condiviso e dichiarato dal governo. Infine, il caporedattore di Nexta ha richiamato l’attenzione internazionale esprimendo la sua gratitudine a tutti coloro che hanno preso una posizione nella vicenda, ma anche esortando i capi di Stato ad adottare misure più decisive e restrittive nei confronti di Lukashenko e invitandoli a isolare il regime sotto qualsiasi punto di vista. A tal proposito, il 4 giugno, l’Unione Europea ha ufficializzato all’unanimità le sanzioni che vietano alle compagnie aeree bielorusse di accedere agli spazi aerei dei paesi facenti parte dell’UE. Ha raccomandato inoltre a questi ultimi di non sorvolare il territorio bielorusso.
In un’intervista rilasciata a L’Espresso, Valentin Stefanovich, vicepresidente di Viasna, la principale ONG bielorussa in difesa dei diritti umani, afferma che le misure prese dall’Europa sono “un’arma a doppio taglio”. Con queste nuove restrizioni, infatti, i cittadini bielorussi non potranno più uscire dal paese, in quanto a loro è già vietato attraversare la frontiera per via terrena. Ha inoltre dichiarato che chiunque si esprima liberamente è in pericolo nel paese. La sua ONG è infatti da tempo nel mirino del governo che a settembre ha arrestato la responsabile della squadra dei volontari.
Dallo scoppio delle rivoluzioni contro il presidente Lukashenko lo scorso agosto, 73 fra piattaforme e canali di informazione indipendenti sono stati bloccati. Il più recente, Tut.by, è stato chiuso il 18 maggio e i giornalisti arrestati. Lo scorso 31 maggio, il ministro dell’Informazione ha dichiarato che nel paese non ci possono essere media indipendenti, implicando, quindi, che chiunque non lavori per la propaganda rappresenta un nemico per le autorità e per lo Stato.