Dios, ETA y Real Sociedad

«No nos metemos en politica».

È un commento lapidario, in lingua castigliana, ma che spesso e volentieri è stato pronunciato in territorio euskera, Paesi baschi. Per decenni questa frase è stata ripetuta da presidenti, dirigenti e giocatori della Real Sociedad, la squadra di calcio di San Sebastián. La traduzione letterale italiana sarebbe “Non ci mettiamo in politica”, il ché vuole significare che l’universo della Real Sociedad ha sempre preso le distanze da quel mondo, cercando il più possibile di non volersi immischiare in faccende troppo più importanti di una partita di calcio. E, ovviamente, per decenni, quando si è trattato di politica e di Paesi baschi una sigla, composta da tre lettere, ha rivestito un ruolo da protagonista assoluta: ETA.

«Gora Euskal Herria Askatuta!»

Non è il motto finale ma la dichiarazione che lo precede decisamente poco lapidaria, pronunciata da una voce femminile incappucciata, in una lingua lontanissima dal castigliano anche cronologicamente – il basco è un idioma preindoeuropeo, una delle ultime lingue precedenti l’arrivo del greco e del latino sul nostro continente – sconvolgeva la notte del 5 settembre di 10 anni fa. Non c’è in questo articolo la pretesa di spiegare il fenomeno ETA (acronimo di Euskadi Ta Askatasuna, letteralmente “Paese basco e libertà”), quanto sottolineare come il 5 settembre 2010, con un video diffuso dalla BBC, alcuni esponenti dell’organizzazione armata indipendentista dichiararono che non avrebbero più effettuato azioni armate nella loro campagna di liberazione e di indipendenza dal resto della penisola iberica.

L’annuncio nella tarda estate di un decennio fa ha rappresentato il primo passo che ha portato alla conclusione di un’interminabile stagione di lotta armata e all’avvio di un definitivo processo di pace. La cessazione definitiva di ogni attività armata venne proclamata il 20 ottobre del 2011, mentre il 3 maggio 2018, un video-messaggio del latitante Josu Urrutikoetxea annunciava «di aver smantellato tutte le nostre strutture operative e si è conclusa qualsiasi attività dell’ETA».

La conta ufficiale dei morti dall’inizio dell’attività di ETA nel 1958 parla di 822 decessi, di cui 341 civili e 481 membri della Polizia e dei servizi militari. A cui si devono aggiungere un ampio numero di personaggi di finzione letteraria e cinematografica.

Perché credi che sono ancora viva? Ho bisogno di quel perdono. Lo voglio e lo pretendo, e fino a quando non lo avrò non penso di morire

Anche il Txato è una vittima di ETA. Era un padre, un aita per i suoi due figli, ma anche un cipayo, una spia per i patrioti che sostengono una patria basca indipendente, gli abertzale. E’ stato freddato in un giorno di pioggia fuori di casa, in nome di una causa che da dieci anni è stata abbandonata ma che ha lasciato strascichi che costituiscono la trama di Patria, il romanzo di Fernando Aramburu ambientato negli anni di piombo post-franchismo in una città rurale della Guipúzcoa, il “profondo Euskadi” terreno prediletto dell’ETA.

A San Sebastián, il capoluogo della Guipúzcoa, spesso l’atmosfera nelle strade è gioiosa. C’è un giorno d’inverno in cui, nonostante il gelido vento atlantico proveniente dal mare, a Donostia (il nome basco della città) c’è una voglia maggiore di festeggiare. Il 20 gennaio è infatti la giornata del santo patrono e la festa cittadina comincia esattamente a mezzanotte, quando nella Konstituzio Plaza il sindaco di turno innalza la bandiera con i colori dell’araldica cittadina e dà il via alle ventiquattro ore più importanti dell’anno, quando nei vicoli cittadini va in scena la celeberrima Tamborrada (castigliano) o Danborrada (basco). La fonetica ci viene incontro e la cerimonia è ovviamente una marcia accompagnata dal rullo di tamburi, a cui partecipano attivamente (cioè suonando lo strumento) migliaia di donostiensi, adulti e bambini, uomini e donne (queste ultime solamente dal 1980).

In attesa della pressoché inevitabile sospensione del 2021, la Tamborrada più triste è stata quella del 1993, poiché un altro suono proveniente da un tamburo (ma di una pistola) rimbombò all’interno del ristorante Gaztelupe, la sera del 19 gennaio, una mezz’ora circa prima dell’inizio dei festeggiamenti. Il colpo di pistola fu improvviso, glaciale, alla nuca. Un’esecuzione in piena regola, nessuno dei presenti ebbe dubbi. Il corpo inerme di Josè Antonio Santamaria si riversò sul tavolo del ristorante, tra l’incredulità e lo stupore degli amici e commensali di José quella sera, che sarebbe dovuta essere di festa. Superfluo rimarcare che José Antonio Santamaria andò ad aggiornare la lista delle morti causate dall’ETA, diventando uno di quegli 822, tra civili e militari, che persero la vita tra il 1968 e il 2009.

«Nunca olvidaré que mientras nuestras vidas se rompían seguían los tambores».

Esattamente ventitré anni dopo, Nagore Santamaria, figlia di José Antonio, ricordò quei momenti, in particolare come l’allora sindaco socialista di Donostia, tale Odon Elorza, decise in maniera pilatesca di non interrompere la Tamborrada. Già, ma chi era Josè Antonio Santamaria? Un indizio può arrivare dal ristorante, poiché la Taberna Gaztelupe era uno dei templi del donostiarrismo, dove abbondavano le sciarpe blancoazul, che sono i colori dell’araldica donostiense, ma anche, ovviamente, i colori della Real Sociedad. Di fatto anche i tre attentatori – compreso Juan Antonio Olarra Guridi, l’esecutore materiale condannato a 28 anni di carcere nel 2007 – erano vestiti di bianco e blu, come la maggior parte dei donostiensi in quella sera di festa. La Tamborrada del 1993 fu la più triste perché a perdere la vita fu un ex calciatore della Real Sociedad, che vestì la camiseta del club dal 1964 al 1971. Giocava come difensore centrale e per la sua garra e il suo temperamento venne definito El Tigre.

Una volta appese le scarpette al chiodo El Tigre Santamaria cominciò una vita quasi antitetica rispetto a quella di un calciatore nella Liga degli anni ’70. Infatti, insieme ad altri soci in affari, decise di investire una discreta somma nell’apertura di un locale notturno a San Sebastián, la Discoteca Ku. Un tempio notturno divenuto ben presto un’autentica istituzione a Donostia, tant’è che il denaro accumulato permise a Santamaria di aprire una seconda discoteca, il Ku Ibiza, localizzato, ovviamente, in quella che già allora era l’isola di riferimento per i nottambuli del Mediterraneo. Il Ku entrò nel Guinnes dei primati come uno dei locali notturni più grandi del mondo, non male per uno che fino a qualche tempo prima trascorreva il tempo ad occuparsi delle caviglie degli attaccanti avversari. A Ibizia El Tigre fece una vita parecchio agiata e mondana, divenendo un grande amico di Roman Polanski, proprietario di una casa sull’isola, dove amava trascorrere i momenti di quiete tra un film e un altro.

Dopo una decade di successi, la discoteca cominciò a non rendere come un tempo ed El Tigre dovette venderla (per gli amanti del genere: oggi esiste ancora e si chiama Privilege Ibiza) riparandosi a Donostia. I guai, però, continuarono. Non fu mai negata una sua amicizia personale con i principali leader socialisti baschi, in particolare con Txiki Banegas, uno dei politici principali di quella stagione di intrighi e bombe. Al contrario, El Tigre, ha invece sempre negato qualsiasi contatto con il mondo del narcotraffico e della lotta armata, chiamandosi fuori (anche di fronte ai giudici, come per esempio il 25 novembre 1992, quando venne chiamato a smentire alcune accuse provenienti da un’inchiesta dell’Egin, uno dei principali quotidiani baschi) da trame che potrebbero strizzare l’occhio a un romanzo poliziesco. Probabilmente la vita del Tigre era oscura, torbida, peccaminosa. Purtroppo però non si è mai potuto fare luce su alcuni misteri, poiché il 19 gennaio 1993 arrivò puntuale l’esecuzione da parte dell’ETA. Il perché lo si deve quasi certamente alle sue amicizie con politici locali, alle sue relazioni non eccessivamente limpide con gruppi antiterrorismo della Guardia Civil, e con narcotrafficanti e contrabbandieri.

José Antonio Santamaria (San Sebastian, 16 marzo 1946 – ibidem, 19 gennaio 1993) resta, tutt’oggi, l’unico calciatore ucciso dall’ETA.

Giacomo Van Westerhout (1992) è laureato in filosofia. Attualmente vive a Parigi, non lontanissimo da Michel Houellebecq. Le cose della vita lo hanno portato a tifare FC Nantes e Real Betis Balompié

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