Disunited States of America – 7. Il West in bilico

Come ormai abbiamo imparato, le elezioni negli Usa non si decidono su scala nazionale ma stato per stato. Nessuna delle 50 stelle è uguale all’altra – e siamo d’accordo – ma alcune di loro hanno caratteristiche storiche, sociali, culturali e in definitiva politiche abbastanza omogenee. Questa è la settima di otto tappe con cui The Pitch proverà a condurvi nelle pieghe del gigante americano. Molto meno monolitico e più sfaccettato di quanto siamo abituati a pensare. Perché ancora una volta sarà una manciata di stati-chiave a definire il nome del prossimo Presidente.

A metà tra un Midwest sempre più campo di battaglia (elettorale ma non solo) e un Pacifico che da quasi un secolo è politicamente ed economicamente un discorso a parte si trovano otto stati dall’importanza, a torto, spesso trascurata. Si tratta di territori uniti più da caratteristiche geografiche che demografiche. Siamo nel cosiddetto “Interior west”, in quelli che vengono definiti “Mountain states”. A dominare la regione sono infatti le Montagne Rocciose che assumono, a seconda della latitudine, una declinazione più simile alle Alpi o una più prettamente desertica. È il territorio che nel XIX secolo rappresentava la Frontiera, resa celebre dall’epopea del Far West. Lontano da cosa? Dall’Atlantico, dalla capitale Washington e quindi, di fatto, dal potere. Una predisposizione “naturale” alla libertà e una refrattarietà al controllo federale che ancora oggi fanno sentire il proprio peso. Anche elettorale.

Di cosa stiamo parlando: l’Atlantico è lontano ma non siamo ancora sull’altra costa.


Non è il caso dei tre stati più settentrionali, in realtà: Montana, Wyoming e Idaho (10 delegati in tre). Sono caratterizzati da una scarsissima densità abitativa (meno di 4 milioni di abitanti su una superficie pari quasi a tre volte quella italiana) e dalla totale assenza di grandi città: solo Boise, capitale dell’Idaho, rientra tra le 100 città più popolose d’America (99a). Sono stati profondamente rurali, il che – come sappiamo fa rima – con solidamente repubblicani. Le uniche “isole” democratiche sono le aree caratterizzate da una massiccia presenza di nativo-americani e quelle attorno ai campus universitari. Discorso diverso per il Colorado: i suoi 9 grandi elettori lo rendono un bottino interessante e, se le contee settentrionali votano in blocco per il Gop come il vicino Wyoming, le grandi città (Denver e Boulder su tutte) sono saldamente democratiche. Ma per una volta è più complesso di così.

In Colorado, infatti, non mancano da una parte città repubblicane e aree rurali a tinte blu. Nel primo caso si tratta in particolare della El Paso County, il cui capoluogo Colorado Springs è sede della Air Force Academy: è la cultura militarista che permea la contea, insieme alla forte influenza della destra religiosa, a fare di quest’area un vero e proprio feudo del Gop. Anche qui, però, dopo decenni di instabilità (lo stato è nella lista di quelli che vengono definiti bellwether, cartine di tornasole delle tendenze a livello nazionale data la loro abitudine di schierarsi dalla parte del vincitore), il fattore demografico rischia di tracciare un solco che difficilmente i repubblicani riusciranno a colmare: la crescita vertiginosa degli ispanici (oggi al 22%) fa sì che i dem qui non perdano dal 2004. E difficilmente sarà il 2020 a invertire la tendenza favorevole inaugurata da Barack Obama.

Per quanto cattolica, la nomina della conservatrice Amy Coney Barrett a giudice della Corte Suprema avrà senz’altro fatto piacere all’elettorato dello Utah

A ovest del Colorado c’è lo Utah, vero e proprio quartier generale della Chiesa Mormona, il cui clero è tradizionalmente vicino alla destra repubblicana. Il che fa dello stato di Salt Lake City una fortezza dell’elefantino praticamente inespugnabile. Ma, se i suoi 6 grandi elettori non sono in discussione, Trump – da candidato sui generis – ha sempre incontrato serie difficoltà a farsi apprezzare da queste parti. Alle primarie del 2016, che altrove per lui furono un trionfo, prese appena il 14%, schiacciato non solo dal 70% del candidato-simbolo della destra religiosa Ted Cruz, ma anche dal 17% di un candidato moderato come John Kasich. Nonostante l’attuale presidente non sia Mitt Romney, mormone doc e alfiere dell’establishment del partito, che qui alle presidenziali del 2012 raggiunse uno schiacciante 73%, l’impopolarità di Trump non sembra comunque compromettere il risultato del Gop.

La tendenza già riscontrata in Colorado rischia di far scivolare nel bagaglio di voti dei dem anche i tre stati desertici che completano il quadro dell’Ovest interno: Nevada (6 grandi elettori) New Mexico (5) e soprattutto Arizona (11), l’ultimo a “cadere”, almeno stando ai sondaggi. Anche qui l’aumento esponenziale della percentuale di latinos ha fatto vacillare una tradizione repubblicana piuttosto solida. Solida soprattutto in Arizona, che – fatta eccezione per il successo di Bill Clinton nel 1996 – ha sempre votato “rosso” dal 1952 a oggi. Si tratta di uno stato piuttosto popoloso, con un passato industriale ma che si sta via via avviando al mondo dei servizi e delle nuove tecnologie. La grande cintura urbana di Phoenix (che comprende anche Mesa e Scottsdale) e le altre grandi città – Tucson e Flagstaff su tutte – sono diventati feudi democratici. E per Trump è un bel problema.

Non il miglior biglietto da visita per il presidente uscente.

Dove difficilmente ci sarà partita è in New Mexico, lo stato più ispanico degli interi Stati Uniti e l’unico in cui i latinos (47%) sono addirittura più dei bianchi (non-hispanic whites). Non solo: fatta eccezione per l’Alaska, si tratta anche dello stato con la più alta percentuale di nativi americani (9,4%). Un mix fatale per Trump che difficilmente riuscirà a bissare il successo ottenuto da Bush Jr nel 2004 (unico repubblicano a esserci riuscito negli ultimi 30 anni). Anche il Nevada rischia di essere perso: bellwether state addirittura dal 1912, ha perso questo primato quattro anni fa quando votò per la Clinton. I voti delle contee settentrionali, in cui vivono per lo più bianchi benestanti, difficilmente riusciranno a compensare i consensi che l’area cosmopolita del sud (nella sola contea di Clark, quella di Las Vegas, vive oltre il 68% dell’intera popolazione) attribuirà con ogni probabilità a Biden.

Nelle puntate precedenti:
1. Il fortino del Nordest
2. “Rust Belt” ancora decisiva?
3. Il (profondo?) Sud
4. Il rebus della Florida
5. In Texas c’è partita?
6. Il vecchio Midwest

Emiliano Mariotti è nato a Milano nel 1991, si è laureato in Storia e poi ha frequentato la Scuola di Giornalismo “Walter Tobagi”. Giornalista di nome ma comunicatore di fatto, sogna di scrivere come Gianni Mura ma si accontenterebbe di fare il corrispondente da Istanbul.

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