G8 di Genova, 20 anni aspettando giustizia.

Amnesia

A distanza di 20 anni nessun rappresentante del governo si é mai degnato di presentare una scusa formale alle centinaia di vittime innocenti dei pestaggi e delle torture avvenute a Genova in quell’incandescente luglio 2001, né é mai stata fatta autocritica su come siano andate le cose.
Nessun attore delle violenze e delle torture a danno dei manifestanti ha messo piede in carcere, nessun agente ha collaborato volontariamente alle indagini, nessuno si é assunto la responsabilità della gestione della situazione.

Stando alle dichiarazioni degli interrogati, nessuno sapeva chi comandava durante il blitz alla Diaz, nessuno sapeva chi diede gli ordini né chi altri ha partecipato ai pestaggi. Nessuno ha riconosciuto nessun altro dei partecipanti, nonostante le migliaia di foto e video disponibili, nessuno ha potuto spiegare la serie di decisioni che hanno portato la giornata del 20 luglio a degenerare fino alla tragica morte di Carlo Giuliani.
Non si tratta di un caso di amnesia collettiva, perché chi quei pestaggi li ha subiti non dimentica, piuttosto sembrerebbe un caso di amnesia di Corpo, di settore.
Nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno ha parlato.

Un manifestante ferito durante il blitz alla Diaz viene portato fuori dalla scuola davanti alle telecamere dei giornalisti.

Grazie ai passi da gigante che in quel periodo stava facendo la digitalizzazione, era la prima volta che un evento del genere veniva ampiamente documentato non solo dalle forze di polizia presenti, ma da chiunque avesse una videocamera portatile a disposizione.
Grazie a queste immagini abbiamo potuto vedere da piú angolazioni le cariche, i pestaggi, le violenze, la morte di Carlo Giuliani e tutta la lunghissima serie di orrori di quei giorni.

Sono state analizzate migliaia e migliaia di fotografie, registrazioni, video e testimonianze, di entrambe e da entrambe le parti in conflitto.
Esiste una veritá storica, dettagliata quasi minuto per minuto, manca una giustizia in sede processuale.

La carica al corteo delle Tute Bianche in via Tolemaide, sul suo percorso autorizzato, dará inizio alle violenze di quei giorni.

Le condanne agli agenti

Un caso emblematico é quello del “poliziotto con la coda”, relativo alla mattanza della Diaz.
Un agente con dei capelli raccolti a coda di cavallo, non particolarmente comune tra le forze dell’ordine, venne filmato mentre picchia delle persone al primo piano della scuola e ripreso un’altra volta mentre esce dall’edificio.
La sua foto é stata fatta circolare per mesi in tutte le questure per cercare di farlo identificarlo da qualche collega, inutilmente.

Anni dopo, quando ormai la giustizia non lo poteva toccare grazie alla prescrizione, é stato riconosciuto comodamente seduto sulle panche del tribunale.
Da anni seguiva le udienze del processo dei suoi colleghi relativo ai fatti della Diaz, i fatti in cui era coinvolto in primissima persona.
Si trattava di Luigi De Marinis della Digos di Genova, lo stesso ufficio incaricato di identificare gli agenti che parteciparono al blitz.

Nella scuola Diaz furono arrestate 93 persone, 61 fnirono in ospedale, di queste 3 in prognosi riservata e una in stato comatoso.

O c’é il caso di Massimo Nucera, che finse una coltellata per far passare la violenza dell’intervento come legittima difesa.
Condannato in cassazione per falso ideologico nel 2012, l’organo disciplinare della polizia che ne doveva decidere la sanzione lo condanna alla sospensione dello stipendio per un mese.
Tuttavia nel 2014 interviene il Capo della Polizia Alessandro Pansa, riducendo la sospensione a un solo giorno, 47 euro e 57 centesimi, praticamente il prezzo di un manganello.

Altrimenti si potrebbe citare il caso di Massimo Pigozzi, protagonista di maltrattamenti e torture nella caserma di Bolzaneto.
Condannato in via definitiva per avere aperto le dita della mano sinistra a un arrestato fino a strapparne la carne, e per aver partecipato con entusiasmo al “comitato di accoglienza”, due file di agenti che colpivano con calci, sputi e colpi di manganello i detenuti al loro arrivo alla caserma.
Nel 2005 Pigozzi risulta ancora in servizio e addetto proprio alla custodia di fermati e arrestati, quando viene denunciato da quattro donne sottoposte a fermo di polizia per violenze sessuali avvenute nelle celle della questura genovese, fatto per il quale viene condannato nuovamente e finalmente interdetto dalle funzioni di ordine pubblico.

La carriera dei responsabili

Non solo chi é arrivato a processo é stato trattato con estrema indulgenza, ma addirittura c’é chi ha fatto carriera dal 2001 ad oggi.

É il caso dell’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro, che durante il governo Monti viene nominato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per poi finire dal 2013 a diventare presidente di Finmeccanica.

O quello di Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per aver collaborato alla creazione di false prove per accusare gli arrestati, nominato nel 2017 vicedirettore dell’Antimafia.

Luglio 2011, Il corteo a Genova in occasione dei 10 anni dal G8 del 2001.

O ancora i casi di Pasquale Troiani, condannato con l’accusa di aver introdotto due bombe molotov all’interno della scuola Diaz, e Salvatore Gava, che ne finse il ritrovamento per giustificare il blitz, entrambi nominati vicequestore nel 2020 dalla ministra Lamorgese.

Le condanne ai manifestanti

La stessa solerzia che si é vista nel perdonare chi ha torturato e picchiato persone innocenti, non si é vista per chi in quei giorni fu arrestato magari per aver rotto una vetrina o anche solo per trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Delle centinaia di arrestati di quei giorni, la maggior parte furono semplicemente prelevati e rilasciati alla fine delle giornate senza accuse formali, e tra quelli che furono formalmente accusati solo 25 sono poi effettivamente arrivati a processo.

Per l’occasione venne rispolverata una vecchia legge del codice Rocco di epoca fascista, il reato di devastazione e saccheggio, che prevede una pena tra gli 8 e i 15 anni per il danneggiamento di oggetti e proprietà privata e ci vogliono 15 anni perché cada in prescrizione.
Inoltre é un reato che prevede il concorso morale, ossia la colpevolezza anche solo per trovarsi nel luogo dove si compie il reato, e tra 8 e 15 anni vuol dire che anche il giudice piú clemente per poter dare meno di 8 anni all’imputato lo deve assolvere pienamente.

Insomma, punirne 25 per educarne 300.000.

La marcia di arrestati durante il blitz alla Diaz, a nessuna verrá presentata un’accusa ufficiale.
19 degli arrestati quella notte vennero portati direttamente alla caserma di Bolzaneto dove subirono altre torture.

In 15 casi vi fu l’assoluzione motivata dall’aver reagito per legittima difesa alla carica in via Tolemaide che metteva a rischio l’incolumitá dei manifestanti.
Agli altri 10 fu inflitto invece quasi un secolo di pena, 98 anni e 9 mesi in tutto.
Le condanne maggiori sono quelle di Francesco Puglisi a 15 anni di carcere, Vincenzo Vecchi a 13 anni e 3 mesi, Marina Cugnaschi a 12 anni e 3 mesi.
Tutti i condannati hanno pagato con anni di carcere i danni arrecati a beni materiali, al contrario di chi invece aveva attaccato persone in carne ed ossa.

Vincenzo Vecchi e Francesco Puglisi avevano nel frattempo lasciato l’Italia, il primo per la Francia e il secondo per la Spagna.
Nel 2013 é arrivata l’estradizione per Puglisi che ora si trova a Rebibbia, mentre sull’eventuale rimpatrio di Vecchi pende ancora un ricorso presso Corte di Giustizia dell’Unione Europea, visto che la Francia non riconosce la legittimitá del reato di devastazione e saccheggio.

Giustizia?

Proprio su impulso delle sentenze prese il via la campagna “10×100” a cui aderirono anche personalitá come Margherita Hack, Moni Ovadia, Caparezza, Don Gallo e Dario Fo, con lo scopo di informare la opinione pubblica degli esiti dei processi.

Questi processi che avrebbero dovuto, o almeno potuto, fare luce sulla “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale“, si erano invece accaniti sui manifestanti.
Sono stati inflitti anni e anni di carcere per atti di vandalismo, mentre sono stati sostanzialmente perdonati o condannati a pene irrisorie gli autori di comprovati pestaggi e torture a danno di persone innocenti.

Don Andrea Gallo e Franca Rame passeggiano per lo stadio Carlini prima dell’inizio delle manifestazioni.

Gli eventi di Genova avrebbero potuto far nascere una riflessione sulla gestione, sul ruolo, le pratiche e la mentalitá delle forze dell’ordine ma niente di tutto ció fu fatto.
Al contrario il sospetto é che gli esiti dei processi abbiano alimentato il sentimento di impunitá, e casi come quello di Stefano Cucchi ci ricordano come ancora oggi sia difficilissimo riuscire a rompere il muro di omertá e depistaggi che puntualmente si solleva in questi casi.

La sensazione che rimane a distanza di 20 anni é quella di uno stato che considera piú grave una vetrina infranta che un pestaggio o la tortura.
Di uno stato che si é autoassolto, indulgente con i suoi agenti e vendicativo con chi in quei giorni alzó la voce, punendo ancora piú duramente di quanto giá non abbia fatto in quel caldo luglio 2001.

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