Giacomo Matteotti, al di là del “martire”

E’ il 10 giugno 1924, un martedì, e a Roma il termometro segna 43 gradi al sole. Il deputato socialista Giacomo Matteotti intorno alle 16 esce dalla sua abitazione di Via Pisanelli 40, dirigendosi verso LungoTevere Arnaldo da Brescia; avrebbe dovuto raggiungere la Camera dei Deputati. Quello che accadde negli attimi successivi è storia nota e ben documentata (8 furono i testimoni oculari).

Il centesimo anniversario del rapimento e assassinio del deputato polesano di avvicina velocemente e, come l’anno scorso, abbiamo deciso di commemorare una figura capitale del panorama antifascista del nostro Paese. Abbiamo infatti chiesto all’On. Riccardo Nencini, autore del romanzo storico Solo, di ricostruire alcuni passaggi della vicenda umana e politica di Giacomo Matteotti nel tentativo di parlare dell’“uomo storico” prima che del mito.

Perché un romanzo su Giacomo Matteotti oggi?

Matteotti è uno dei protagonisti di una stagione che ha rovesciato il destino dell’Italia. La storia di quel periodo è stata narrata con un eccesso di partigianeria e tralasciando eventi decisivi. Era giusto ricordarli per evitare che un’esagerata fantasia prevalesse sui fatti accaduti.

Nel romanzo è attribuita chiaramente la responsabilità diretta di Mussolini nell’omicidio di Matteotti, superando così la tesi storiografica “classica” che vedrebbe nella figura di Amerigo Dumini l’ideatore e attuatore del piano. Ci può spiegare meglio?

Dumini è l’esecutore, ma la mente è altrove. Dico Mussolini per più ragioni. Dumini è stato posto dal duce a capo della polizia segreta, la Ceka. Come può rapire e uccidere il leader dell’opposizione senza un ordine diretto? Il commando rapisce Matteotti a volto scoperto. Evidentemente immagina di eliminarlo. Infine a Matteotti vengono tagliati i pantaloni, ciascuno se ne prende un pezzo a mo’ di trofeo. C’è di più: viene evirato. Se non è premeditazione questa…Ancora. Matteotti era già stato rapito e seviziato (nel 1921, a Castelguglielmo), esiliato, bastonato a Cefalù, a Siena, minacciato di persona e sui giornali fascisti. Rapirlo senza ucciderlo non avrebbe avuto senso. I documenti che si temeva nascondesse (tangenti petrolifere) erano deleteri per il futuro di Mussolini. Si trattava dunque di rapirlo, interrogarlo, prendere i documenti, ucciderlo. Ancora. Nel testamento consegnato da Dumini a due avvocati texani (documento che ho letto integralmente) il mandante è chiaro: Mussolini.

Amerigo Dumini  © Wikipedia

“Mi mancate, tutti, e siete appena partiti. Vorrei venirvi a trovare improvvisamente, arrivando di sera, in silenzio, tagliando per l’orto, con la luna che balena tra i pioppi. Fidati di me. Torneranno tempi migliori. Ci racconta il Matteotti “privato”?

È un padre che si preoccupa dei figli, innamoratissimo di Velia, premuroso addirittura, fino al punto di ricordarle quando deve allattare i bambini. Le lettere che scrive alla moglie sono frequenti, appassionate. Velia gli manca, gli mancano il suo corpo, le sue carezze, i baci. Anche il legame con la madre Isabella è profondo. Nella vita randagia, nell’avventura umana e politica di cui è protagonista, gli affetti sono decisivi.

I figli di Matteotti, da sinistra Giancarlo, Isabella e Matteo, luglio 1924 © Fototeca Casa-Museo Giacomo Matteotti

Matteotti è stato oggetto di una “santificazione laica”: santo ed eroe dell’antifascismo. Un’icona e un simbolo che sembra risiedere in una “dimensione metastorica”. Cosa rappresenta per noi oggi la sua figura?

Matteotti va spogliato dell’anima metafisica, come fosse un eroe omerico, e va assunto a simbolo di libertà e coerenza. In un tempo di trasformismi e di superficialità, il suo volto andrebbe stampato sulla carta moneta. La morale: per difendere valori universali ci si deve sacrificare. È un bel esempio di attaccamento al bene comune, al rigore senza tentennamenti, a un ‘idea alta di patria.

Matteotti fu un intransigente antifascista e non così tanti compagni di partito condivisero quella posizione. Morì perché solo?

Mori’ perché intransigente nella sfida a Mussolini e perché lasciato solo in quella sfida. Certo, non solo nel condividere la lotta al fascismo. Solo nella pervicacia, nell’ossessione, nella follia consapevole che non dovessero esserci compromessi di sorta, che quel fenomeno era pericoloso e fosse un dovere civile svergognarlo all’esterno e combatterlo in Italia. I suoi nemici peggiori furono i fascisti e i comunisti. Trovato il corpo, Gramsci scrisse che ‘era morto il pellegrino del nulla’ e il comitato centrale del Pcd’I approvo’ un documento dove condannava sia Mussolini che il semifascismo di Amendola, Sturzo e Turati. Questa la verità a lungo omessa, peggio, a rasata dai libri di storia.

Turati e Treves presso il bosco della Quartarella, dove venne trovato il cadavere di Giacomo Matteotti © Fototeca Casa-Museo Giacomo Matteotti

Riccardo Nencini è nato a Barberino di Mugello nel 1959. E’ autore di diversi saggi e romanzi tra cui Il giallo e il rosa (Premio Selezione Bancarella Sport, Giunti, 1998), L’imperfetto assoluto (finalista al Premio Acqui Storia, Mauro Pagliai editore, 2009), Il fuoco dentro. Oriana e Firenze (Mauro Pagliai editore, 2016), Dopo l’apocalisse. Ipotesi per una rinascita (con Franco Cardini, La Vela, 2020).

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