Giacomo Matteotti, il teorico del riscatto

«Pochi uomini politici hanno saputo ispirare intere generazioni e suscitare echi così profondi e duraturi, anche all’estero, come Matteotti. Ma pochi uomini politici sono stati al tempo stesso più glorificati e meno conosciuti». Così esordisce un breve contributo del professor Stefano Caretti, uno dei massimi esperti della storia politica ed umana di Giacomo Matteotti. Lo storico individua tre motivi fondamentali che stanno alla base della poca conoscenza del pensiero di Matteotti e di un «prolungato silenzio», anche e soprattutto da parte della sinistra italiana, riguardo alla sua vita e i suoi scritti: «il mito che ha soverchiato l’uomo; le caratteristiche altamente drammatiche del delitto; i conflitti interni alla sinistra e la rimozione della tradizione riformista alla quale Matteotti apparteneva»

Proprio la sua tragica morte lo proiettò immediatamente nel pantheon degli eroi dell’antifascismo diventando così uno dei punti di riferimento della Resistenza italiana. Questa mitizzazione però lo ha posto in una «dimensione metastorica» che, ancora oggi, non ha permesso alla sua figura di essere conosciuta approfonditamente se non in relazione al suo omicidio. Anche Caretti ritorna sul tema del “mito Matteotti”, ammettendo che:

«Ha nociuto alla comprensione della personalità di Matteotti, e della sua assidua militanza socialista, il prevalere dell’aura mitica, e quindi astratta, sulla figura concreta dell’”uomo storico”. Una sublimazione ideale che ha puntato quasi esclusivamente sul “martire”, sulla “vittima” sacrificale andata volontariamente favorendone la metamorfosi in un simbolo più etico che politico».

Gli studi sull’attività politica e di militanza attiva di Matteotti hanno subito grossi ritardi e il disinteresse maggiore si è registrato proprio in quella sinistra che, a partire dagli anni ’80, indica nel socialismo democratico e riformista – di cui Matteotti fu uno dei massimi esponenti – il suo orizzonte politico. Uno dei primi a rendere giustizia in sede storiografica alla figura del deputato socialista fu Sandro Pertini che nel 1970, come presidente della Camera, si adoperò per promuovere la pubblicazione dei suoi discorsi parlamentari. Nel 1983 invece trovarono un editore  – Luciano Lischi – l’edizione critica delle sue opere.

Molti storici concordano sul fatto che il modo di insegnare storia a scuola e di veicolare al grande pubblico coordinate storiche e fatti salienti si costruisca sulla «prevalenza della memoria sulla storia, con una significativa tendenza alla rappresentazione del passato nel segno di un paradigma vittimario che dà forma a un calendario civile sempre più denso di date». Una di queste è senz’altro il 10 giugno, giorno in cui si ricorda il rapimento e il successivo omicidio del deputato socialista ma, quasi contemporaneamente, se ne dimentica la dimensione storica.

In occasione del novantaseiesimo anniversario del suo rapimento abbiamo provato a tratteggiare, in compagnia del professor Giampaolo Romanato, docente di storia contemporanea presso l’Università degli studi di Padova e Presidente del Comitato scientifico della Casa-Museo Giacomo Matteotti, alcuni dei lati “nascosti” dell’impegno umano e politico matteottiano.

Prima pagina dell’Avanti!, 14 giugno 1924. © Biblioteca del Senato della Repubblica
Prima pagine de Il Popolo d’Italia, 14 giugno 1924. © Emeroteca Casa-Museo Giacomo Matteotti https://www.casamuseogiacomomatteotti.it/emeroteca/
  • Chi e quanti visitatori accoglie la Casa Museo di Giacomo Matteotti?

La casa Matteotti è aperta al pubblico da qualche anno soltanto nei giorni di sabato e domenica e festivi e ha accolto negli anni scorsi, mediamente, circa 3000 visitatori ogni anno. Una cifra considerevole se teniamo conto che soltanto dal 2018 abbiamo potuto dotarla di un idoneo sito web: https://www.casamuseogiacomomatteotti.it/. Nel sito si possono trovare e scaricare gratuitamente tutti gli scritti di Matteotti, molti documenti che lo riguardano e una ricchissima raccolta giornalistica relativa ai mesi del delitto, giugno-dicembre 1924. Aggiungo che dall’anno scorso la Casa ospita periodici incontri, denominati “Incontri di Casa Matteotti” per presentazione e discussione di libri. L’anno scorso ha organizzato un convegno di studio, che si è svolto all’Accademia dei Concordi di Rovigo, ente proprietario della Casa, sulle elezioni politiche del 1919, le prime con sistema proporzionale e non maggioritario, che rivoluzionarono la composizione del Parlamento e imposero la centralità dei partiti. Fu con quelle elezioni  che Matteotti entrò per la prima volta al Paralamento. Gli atti stanno per essere pubblicati dall’editore Cierre di Verona. Dall’anno scorso poi una legge regionale veneta assicura al Comune di Fratta Polesine, istituto gestore della Casa, che è stata dichiarata monumento nazionale, un contributo modesto ma sufficiente a condurla. Le attività sono state purtroppo interrotte a causa delle note restrizioni di questi mesi, ma contiamo di riprenderle appena saranno tolte.

  • Piero Gobetti, ci restituisce l’immagine di un Matteotti severo, austero e a tratti arrogante, tutti tratti spiegati dalla sua «ascetica solitudine». Chi era Matteotti?

Nacque in una famiglia di commercianti di modesto livello culturale ma ben dotata di mezzi economici. Si laureò in legge e, mentre tutti gli pronosticavano una brillante carriera universitaria nel campo penalistico, fu preso dalla passione della politica e operò a lungo come amministratore locale in piccoli comuni della provincia di Rovigo. Vivendo in una delle province più povere e marginali, il Polesine, una terra di braccianti, il suo impegno politico fu con il partito socialista, la forza del cambiamento e del rinnovamento sociale. Aveva un carattere indubbiamente spigoloso e intransigente ed era perfettamente cosciente delle sue capacità, ciò che non contribuiva a renderlo simpatico, il che spiega il ritratto penetrante che ne fece Gobetti, che di persona lo conosceva appena, ma lo aveva compreso benissimo e ne scrisse un profilo che anche oggi si legge con profitto (il testo si può trovare nel sito che ho prima citato).

Giacomo Matteotti con alcuni compagni di partito © Hulton Archive/Getty Images
  • Sempre Gobetti sostiene che Matteotti non fu mai popolare, soprattutto tra i compagni di partito. Pare che solamente Treves, Turati e Nino Mazzoni lo «amassero seriamente». E’ vero? Se sì, perché?

Non so se solo loro lo amassero veramente, espressione troppo enfatica, credo, per l’ambiente politico. Certamente lo stimavano, in particolare Turati, anche se i primi discorsi parlamentari di Matteotti suscitarono proprio in Turati molte perplessità per la durezza e l’intransigenza che dimostravano in quel giovane deputato. Poi il rapporto tra i due si saldò, grazie anche ad Anna Kuliscioff, e sarà proprio Turati a svolgere l’elogio funebre di Matteotti pochi giorni dopo il rapimento, un discorso che si legge ancora con commozione. Ma è indubbio che egli fu sempre un uomo sostanzialmente solo, anche dentro il suo partito, tanto più solo quanto più si esponeva, e la solitudine in cui fu lasciato è una chiave per capire il delitto. So che è sgradevole ricordarlo, ma nel socialismo italiano pochi condividevano l’intransigente antifascismo di Matteotti, che disturbava anche molti compagni. Era solo e il fascismo lo colpì, come, mezzo secolo dopo, era sostanzialmente solo un altro grande personaggio che fu colpito a morte: Aldo Moro.

  • Dalle memorie del tempo e i ricordi dei compagni di partito Matteotti sembra più un “uomo del fare”, attento ai bilanci, ai conti, all’organizzazione. C’è stato anche un Matteotti teorico del socialismo?

Molto meno. Non era un teorico e non diede mai importanza alle grandi teorie. Era figlio di una terra povera e sapeva che il socialismo non era una teoria astratta ma lo strumento per dare giustizia, sapere e dignità alle classi popolari, contadine, bracciantili. Egli è il teorico del riscatto delle campagne, essendo vissuto in campagna, in questo molto diverso da altri leader socialisti provenienti dalle città più grandi, come Turati, che pensavano al proletariato urbano. Aggiungo che di formazione era un giurista, un uomo positivo. La cifra di originalità di Matteotti nel socialismo italiano è proprio nel primato che egli dava al mondo agricolo, in un paese come l’Italia, che era fatto in gran parte di campagne dimenticate e sfruttate, con percentuali di analfabetismo impressionanti, come documenta in molti discorsi Matteotti stesso.  

  • Dai numerosissimi scambi di lettere tra Matteotti e sua moglie Velia Titta, donna di rigida educazione cattolica, pubblicati in un unico volume da Stefano Caretti, si evince tutta la forza dell’amore fra i due ma anche la sofferenza per la lontananza e la preoccupazione per le sorti di Matteotti, sempre più esposto di fronte allo squadrismo fascista. Chi era Velia Titta e quale il suo rapporto con Matteotti?

Per molte ragioni era l’opposto del marito, ma i due si intesero sempre, come dimostra l’epistolario, un documento anche umanamente bellissimo, ancora quasi sconosciuto. Era la sorella minore del celebre cantante Titta Ruffo, inizialmente tutt’altro che soddisfatto del matrimonio della sorella con quel giovane polesano “testa calda”. Poi Ruffo e Matteotti legarono e sarà il cognato a scortare la bara il giorno del funerale, come testimoniano tutte le foto dell’epoca, ottenendone alla fine anche danni notevoli alla sua carriera artistica, che sarà fortemente ostacolata dal fascismo.

Velia Titta, moglie di Matteotti. © Fototeca Casa-Museo Giacomo Matteotti https://www.casamuseogiacomomatteotti.it/fototeca/
  • E’ giusto dire che il “mito Matteotti” abbia proiettato la sua figura in una «dimensione metastorica»? Si preferisce ancora l’aura mitica al Matteotti storico?

Direi di sì. Matteotti è stato oggetto di una specie di santificazione laica che ne ha fatto un personaggio mitico e intoccabile. Non c’è dubbio che si tratti di una delle poche figure della storia italiana il cui sacrificio è un monito e un faro per tutti, ma cionondimeno egli va visto nella storia del suo tempo e non fuori da essa. E le vicende italiane del primo dopoguerra attestano anche clamorosi errori dei partiti e degli uomini del tempo, senza i quali non si spiegherebbe la vittoria del fascismo. Studiare obiettivamente quel periodo, all’interno del quale c’è anche Matteotti, non significa dissacrare ma cercare di capire, che è il compito della storia. Le attività della casa Matteotti si svolgono con questo spirito, che poi era lo spirito di Matteotti stesso, uno degli uomini più antiretorici e meno enfatici che abbia avuto la storia italiana, che sarebbe il primo a rifiutare di essere idealizzato nel mito.

  • Matteotti è indubbiamente la figura più nota dell’antifascismo ed europeo. In Italia sono intitolate alla sua persona centinaia di vie, corsi e piazze. Cosa rappresenta la sua figura nell’immaginario collettivo italiano?

E’ un simbolo, un simbolo di libertà, di democrazia, di rifiuto della violenza. Va ricordato a questo proposito il suo intransigente antibellicismo e antinterventismo quando scoppia la prima guerra mondiale, che gli costò un processo per disfattismo e l’invio al confino in Sicilia per tutta la durata del conflitto. E come tale ha una funzione storica che deve rimanere. Ma anche i simboli sono stati personaggi della storia, operanti nella storia. E come tali vanno oggi studiati, sine ira ma anche sine studio. Cioè, senza acredine preconcetta (che purtroppo si nota in qualche recente pubblicazione), ma anche senza timori reverenziali. Come ho detto prima, Matteotti, se fosse tra noi, sarebbe il primo a insegnarci obiettività, rigore e sincerità. 

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