I Moti di Stonewall, la lotta per i diritti LGBT

I diritti di cui oggi godono le minoranze sono il frutto di lotte contro l’ingiustizia.
Eppure, i tanti diritti che dobbiamo ancora ottenere hanno bisogno di consapevolezza ed unità d’intenti per opporsi a norme anacronistiche ed elitarie che non rispecchiano più la società moderna. Ricordare serve a non dare per scontato ciò che abbiamo e a dare forza e speranza per ciò che ancora non abbiamo.

Negli anni Sessanta l’omosessualità era ancora illegale in 49 stati negli Stati Uniti. I membri della comunità gay erano spesso vittime di violenze e discriminazioni. Ma nel giugno del 1969 influenzato dai moti del Sessantotto, il movimento di liberazione gay a Greenwich Village lottò, come mai fatto prima, per cambiare tale condizione e favorire la coesione nella comunità LGBT. 

A Greenwich Village, un quartiere del distretto di Manhattan in New York, nacquero e vissero famosi poeti, scrittori, musicisti e artisti alla ricerca di una propria identità. In questo terreno fertile innumerevoli locali divennero un riparo da omofobia e violenza per persone di diversi orientamenti sessuali e identità.

Questi luoghi però non erano esenti da minacce. La mafia che li possedeva era l’unica in grado di tener lontano la polizia. Allo stesso tempo aveva il potere di ricattare i clienti più abbienti minacciando di denunciare la loro omosessualità ai loro datori di lavoro e famiglie.

Acceptance Street in Greenwich Village
Acceptance Street in Greenwich Village

Stonewall: si scrive la storia

Cosa accadde la sera del 28 giugno del 1969?

Alle prime luci dell’alba la polizia entrò all’interno del bar Stonewall e iniziò a registrare i presenti e ad arrestare, come da consuetudine, tutti coloro che non indossavano indumenti corrispondenti al proprio sesso.

Ma quella sera andò diversamente e pochi minuti dopo si scrisse la storia.

Molti fecero resistenza agli arresti. In strada davanti all’ingresso del bar – oggi simbolo di libertà – centinaia e poi migliaia di persone iniziarono a protestare lanciando bottiglie. Fra loro c’erano anche Marsha Johnson e Sylvia Rivera, famose attiviste drag queen di colore di New York e figure leader del movimento di liberazione gay. Alcuni dicono che furono loro a dare inizio alla rivolta ma le versioni sono contrastanti. La polizia fu costretta a rifugiarsi all’interno dello Stonewall.

Il bar venne dato alle fiamme. Arrivarono i rinforzi della polizia a liberare i poliziotti dalla prigione di fuoco e a disperdere la folla.

Ma ormai la strada era stata aperta e le manifestazioni continuarono anche nelle notti successive.

Le eredità di Stonewall

Questi eventi ebbero un enorme impatto sulla società, definendo le fondamenta del moderno movimento e posero sotto i riflettori istanze a favore di tutte le persone emarginate per i loro orientamenti sessuali e di genere.

Il raid nello Stonewall fu solo la goccia che fece traboccare il vaso: la rivolta era ormai inevitabile. Negli anni ’60 ci fu una continua persecuzione e repressione sociale delle minoranze. La legge condannava i gay come criminali, la medicina li dichiarava malati mentali e la Chiesa li accusava di essere peccatori.

Le masse erano ancora influenzate da uno status quo rigido, elitario e stereotipato e le persone emarginate rimanevano nell’oscurità.

L’opinione pubblica era inconsapevole di tali insofferenze e per questo le rivolte di Stonewall rappresentarono un vero shock per il sistema.
Ad alcuni cittadini veniva di fatto negato uno status completo ed equo e l’ingiustizia di questa negazione non era pubblicamente riconosciuta.

Nonostante i rivoltosi avessero dichiarato di reagire contro l’ingiustizia sociale, le rivolte erano tipicamente viste come politicamente dannose e moralmente inammissibili.

La maggioranza delle persone rimaneva indifferente e soprattutto vedeva i tumulti come pura violenza senza percepire le istanze dei rivoltosi. Questa incapacità di riconoscere il conflitto, anche quando viene pubblicamente dichiarato, rivela la grande difficoltà di comunicazione all’interno della società ed esprime la distanza tra la politica e coloro che soffrono e lottano per i propri bisogni.

Perché era così importante ottenere consapevolezza e riconoscimento?

Lo si evince attraverso le parole della celebre politologa e filosofa Hannah Arendt:

Il Potere corrisponde alla capacità umana non solo di agire ma di agire di concerto. Il potere non è mai proprietà di un individuo; appartiene a un gruppo e continua a esistere soltanto finché il gruppo rimane unito.

Queste rivolte mostrarono, forse per la prima volta a lesbiche, gay e transessuali il valore di unirsi dietro una causa comune e la forza che ne scaturiva. Creare una comunità LGBT era fondamentale affinché i suoi esponenti potessero far sentire la propria voce attraverso la moltitudine.

Creare una comunità

Nonostante la Arendt fosse contro la violenza, considerata inadeguata a promuovere cause e a condurre a qualsiasi progresso, la filosofa riconobbe che la violenza era uno strumento in grado di enfatizzare le proteste e di portarle all’attenzione pubblica.

In contrasto con questa opinione in quegli anni si poneva il reverendo Martin Luther King, secondo cui tali obiettivi potevano e, anzi, dovevano essere raggiunti attraverso azioni non violente, solo con proteste pacifiche era possibile costringere una comunità ad affrontare istanze che non potevano essere più ignorate.

Alcuni studiosi pensano ancor oggi che fosse decisamente importante che ci fosse violenza fisica, affermando che se fossero stati pacifici come le manifestazioni precedenti non avrebbe avuto lo stesso impatto. Altri pensano che l’uso della violenza da parte dei rivoltosi, in particolare dei gay, abbia sovvertito lo stereotipo, diffuso in particolare fin dagli anni ’50 con l’irrigidimento di leggi contro gli omosessuali, che li vedeva privi di forza e qualità virili. 

Tuttavia, questa potrebbe essere una visione riduttiva perché le precedenti dimostrazioni fallimentari avevano dimostrato che non c’era spazio per i gay e le altre minoranze di far sentire la propria voce e che l’unico modo per portare un cambiamento radicale nella società e nella cultura fosse attraverso uno dirompente clima di violenza.

Si può constatare un interessante parallelismo: proprio come la non-violenza ha permesso agli afroamericani di ribaltare l’immagine razzista dei neri come inclini alla violenza, l’uso della violenza da parte dei gay ha sovvertito lo stereotipo degli omosessuali privi di forza virile.

Lotte identitarie

Le lotte al riconoscimento e all’affermazione della propria identità delle diverse minoranze sono sempre state strettamente connesse tra loro.

In particolare, il movimento per i diritti civili dei neri influenzò i primi militanti gay come dimostra il celebre slogan Black Power che venne riutilizzato e rimodellato nello slogan Gay Power.

Ciò che rese la rivolta del giugno ‘69 un avvenimento cardine nella storia della comunità omosessuale è il fatto che fosse molto più simile ad altri movimenti di ribellione civile, rispetto ai movimenti omofili che avevano operato fino ad allora. 

Infatti, nei moti del ’68, contro la guerra del Vietnam e delle lotte per i diritti civili, parteciparono molti personaggi ritrovati a Greenwich Village le notti del giugno del ’69. Sulla scia di tali accadimenti, Stonewall coinvolse migliaia di persone, attirò un grande interesse dei media e creò un nuovo tipo di organizzazione militante.

Ma, soprattutto, da un processo che mirava all’integrazione nella società, iniziato con i primi gruppi a favore della comunità gay, il movimento nato a Greenwich village arrivò ad un processo rivoluzionario, in grado di sostituire la tolleranza con l’accettazione.  

Ad oggi la lotta per i diritti gay è ancora lunga ma ancora più lunga e difficile sembra essere quella delle persone transessuali. Sappiamo che Marsha Johnson e Sylvia Rivera furono figure di spicco quella notte ma per quanto questo sia stato un movimento per la liberazione delle comunità emarginate, ben presto la comunità trans fu esclusa.

È importante ricordare che Johnson e Rivera da pioniere del movimento, dopo solo quattro anni, furono bandite anche dalla parata annuale del gay pride che loro stesse contribuirono a lanciare. La loro storia fu dimenticata e sminuita.

Sylvia Rivera (a sinistra) e Marsha P. Johnson, New York City.

Un perfetto esempio è il celebre film Stonewall del 2015. Il film, infatti, fu duramente criticato per la scelta di protagonisti prevalentemente bianchi minimizzando, ancora una volta, il ruolo fondamentale di attiviste transgender nere. Il protagonista, un adolescente maschio, biondo, dal viso innocente e con i caratteri convenzionali era sicuramente una figura più facilmente “accettabile” di Marsha Johnson o di Sylvia Rivera, trans immigrate, nere e prostitute.

Possiamo evidentemente constatare che i diritti transgender sono tuttora minacciati e non riconosciuti dalla società ma, talvolta, anche da altre minoranze. Potremmo stupirci di come una minoranza, come la comunità gay, che ancora oggi è vittima di esclusione e negazione possa essere artefice di queste stesse insofferenze verso un’altra minoranza come la comunità transgender, anziché unirsi per una causa comune.

Allo stesso modo diverse femministe hanno deciso di escludere dalla loro comunità quelle donne che nascono in un corpo da uomo. In questo modo si radicalizza l’idea di donna legata al sesso e non all’identità di genere. Non volendo accettare differenze tra sesso biologico, orientamento sessuale e identità di genere.

I risultati di sondaggi nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender dell’UE mostrano che i sentimenti di genere non sempre possono essere espressi nelle rigide categorie di “uomo” e “donna”. Tali considerazioni dovrebbero godere maggiore spazio anche all’interno di istituzioni giuridiche e politiche. I sondaggi rivelano che le persone trans sono vittime di frequenti violazioni dei diritti fondamentali come violenza e discriminazione, ancora più intensamente rispetto a lesbiche, gay o bisessuali.

Il 2020 ha portato grandi sorprese e trasformazioni anche alla comunità transgender e purtroppo alcune hanno raso al suolo decenni di lotte e sofferenze: classico esempio è la grave violazione dei diritti umani sostenuta dalla norma approvata dal parlamento ungherese che vieta il riconoscimento giuridico di genere per le persone transgender e intersessuate.

L’anno appena concluso ha portato anche piccole ma importanti vittorie. Il candidato all’Oscar Elliot Page, rivelando ai suoi followers instagram di essere una persona transessuale, ha aumentato la visibilità della comunità dentro e fuori Hollywood ed ha chiesto una maggior attenzione e rappresentazione in programmi televisivi, film e serie TV. Un passo avanti in questa direzione è già stato fatto con molte serie e documentari che raccontano e approfondiscono l’intimo del mondo LGBTQIA+ con attori transessuali come i documentari con Page protagonista, Tales of the city e Gaycation ma anche serie come Orange is the New Black con Laverne Cox, The Fosters e altri ancora.

In una lettera, condivisa su Twitter, Page scrive:

Adoro il fatto di essere trans. E adoro il fatto di essere queer. E più mi tengo vicino e abbraccio pienamente chi sono, più il mio cuore cresce. La mia gioia è reale, ma è anche fragile. Ho paura dell’invadenza, dell’odio, e della violenza.

Tornando invece tra le mura domestiche, l’Italia ha visto l’approvazione della proposta di legge Zan, la legge contro l’omotransfobia dalla Camera dei Deputati ed ora in discussione al Senato e recita:

Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.

Possiamo finalmente constatare nel bel paese il tentativo, a livello istituzionale, di contrastare i delitti contro l’uguaglianza e discriminazione verso persone LGBTQIA+ al pari di quella di carattere razziale, etnico e religioso. Vediamo una Costituzione che, grazie a decenni di lotte e disuguaglianze, piano piano esce dai suoi limiti di staticità e anacronismo e cerca di adeguarsi al cambiamento della società e dei suoi cittadini.

La strada è ancora, però, lunga per tutta la comunità LGBTQIA+.

Il male della disinformazione e dell’indifferenza è sempre in agguato ma i recenti successi hanno dimostrato che niente può rallentare la lotta per i diritti civili armata di informazione, di solidarietà e di giustizia.

Milanese di zona Città Studi. Laureata in Lettere Moderne e studentessa di Scienze Politiche. Mi piace definirmi ragazza sportiva appassionata di calcio femminile, snowboard e novellina kiter.  Adoro coltivare ortaggi nel mio terrazzo e credo nel potere delle parole.

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