Il decennio dell’austerità

Dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008 ai giorni nostri, praticamente non si è parlato d’altro, al punto che il tema ha letteralmente monopolizzato qualunque dibattito in ambito economico: ogni giorno veniva ribadito, nei Parlamenti come nei talk show, che era necessario stringere la cinghia e fare sacrifici, per riparare a errori che in passato hanno consentito a tutti di vivere al di sopra dei propri mezzi, a scapito delle generazioni future. Era giunta l’ora dell’austerità.

Ma per quanto se ne sia parlato, sappiamo cos’è l’austerità? In estrema sintesi, si tratta di una riduzione dei deficit pubblici (la differenza tra le uscite e le entrate dello Stato). In qualunque sistema economico, esiste un Governo che raccoglie denaro sotto varie forme (la principale delle quali sono le tasse) e lo spende per pagare pensionati, medici, esercito, docenti, impiegati pubblici e chi più ne ha più ne metta. Se in un determinato anno lo Stato spende più di quanto guadagna, ha un deficit, che deve coprire aumentando il debito pubblico; se invece spende meno, ha un surplus, col quale potrà ripagare e ridurre i debiti.

Fintanto che esistono soggetti disposti a prestare denaro in cambio di un tasso d’interesse, in teoria non esistono limiti alla possibilità per uno Stato di indebitarsi. Sembra però abbastanza naturale pensare che non ci si debba indebitare troppo, altrimenti potrebero esserci grossi problemi quando le cose non vanno bene.

Ma troppo quanto? Nel 2010, l’articolo Growth in a Time of Debt degli economisti di Harvard Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sembrava aver trovato la risposta a questa domanda: i risultati del paper mostravano come un debito pubblico superiore al 90% del Pil portasse a una decrescita del Prodotto interno lordo. In altre parole, un debito troppo alto danneggia anziché stimolare la crescita economica. Questo studio è arrivato come una manna dal cielo per chi, in America come in Europa, sosteneva la necessità di tagliare drasticamente la spesa pubblica per uscire dalla crisi.

Tre anni dopo l’uscita dell’articolo, però, scoppia la bomba: Thomas Herndon, Michael Ash e Robert Pollin, dell’Università del Massachussets, pubblicano Does High Public Debt Consistently Stifle Economic Growth? A Critique of Reinhart and Rogoff, in cui mostrano come il risultato di Reinhart e Rogoff sia causato – incredibile ma vero – da un errore di calcolo su Excel. Rianalizzando gli stessi dati, i risultati cambiavano: la soglia del 90% nel rapporto debito/PIL non appariva più in alcun modo legata a una decrescita del PIL, ma solo a una crescita lievemente più lenta rispetto a paesi meno indebitati.

Thomas Herndon illustra i risultati del suo articolo a The Colbert Report, 23 aprile 2013

Ma al di là dei numeri, esistono dei rapporti di causa-effetto tra la crescita dell’economia e la riduzione di spese e debiti pubblici? A questa domanda gli economisti hanno dato risposte molto diverse, quando non completamente opposte. A titolo di esempio, ci sono studiosi che sostengono che la riduzione della spesa pubblica improduttiva possa stimolare crescita (la cosiddetta teoria dell’austerità espansiva); dal lato opposto del ring, invece, c’è chi nota che un taglio drastico della dimensione della spesa pubblica può aggravare le recessioni e allontanare l’uscita da una crisi.

A quasi dieci anni dall’uscita dell’articolo di Reinhart e Rogoff, che bilancio possiamo trarre? Come detto, il tema è stato onnipresente nel dibattito pubblico, per un motivo molto semplice: il trattato istitutivo dell’Unione Europea impone ai suoi membri di mantenere il debito pubblico sotto il 60% del PIL e il deficit al di sotto del 3%. Si sono comunque consentiti l’ingresso nell’Ue e l’adozione dell’euro anche a Paesi che non rispettavano tali parametri (come l’Italia), perché ci si aspettava una convergenza nel tempo verso il rispetto di questi requisiti. Quest’aspettativa non aveva fatto i conti con l’eventualità di una crisi così grave, e i singoli governi nazionali si sono ritrovati con meno strumenti per intervenire: la politica monetaria è in mano alla Banca Centrale Europea, e il ricorso alla politica fiscale è fortemente limitato per i paesi con un alto debito pubblico. Vediamo con maggior dettaglio la situazione di oggi rispetto a quella di dieci anni fa.

Crescita, Debito, Entrate e Spese dei paesi UE con Rapporto Debito/PIL superiore al 60% nel 2008 e/o nel 2018 (Elaborazione su dati Eurostat).

In tabella possiamo confrontare la crescita cumulata del Pil dal 2008 al 2018 con quella delle Spese e delle Entrate generali dello Stato, e vedere che effetti hanno avuto questi andamenti sul rapporto debito/Pil. Nella colonna Debito/Pil sono evidenziati in rosso i paesi che hanno visto un aumento del debito in proporzione al Pil. Nella colonna Crescita cumulata Spese 2008 – 2018, sono evidenziati in verde i dati relativi ai paesi in cui le spese sono aumentate meno velocemente del Pil o sono addirittura diminuite (questo significa che le spese in rapporto al Pil sono minori oggi rispetto al 2008).

Cosa si nota? Nella maggior parte dei casi, la spesa pubblica è aumentata meno rapidamente delle entrate, o è diminuita più velocemente, il che è indice di un miglioramento generale dei deficit pubblici. Ciononostante, i valori del debito pubblico in rapporto al Pil in dieci anni sono generalmente aumentati e in alcuni casi letteralmente esplosi. Clamoroso è il caso della Grecia, dove le spese dello Stato sono diminuite di un impressionante 30%, ma il debito/Pil è quasi raddoppiato, essendo nel frattempo crollato anche il valore della produzione. Altro caso notevole è quello di Malta, che pare dimostrare che una minore spesa pubblica stimoli la crescita economica e riduca il peso dei debiti, ma si tratta di un caso eccezionale, e molti ritengono tale crescita drogata dalla particolare natura dell’economia maltese, noto paradiso fiscale.

Attenzione, però: ogni valutazione di questo tipo di dati si porta dietro miriadi di distinguo e precisazioni. Si potrebbe ad esempio andare a studiare com’è cambiata la composizione della spesa pubblica nei vari paesi, o quali categorie di persone hanno pagato i peggiori danni dovuti all’aumento delle imposte e al taglio di servizi pubblici. Quello che si può dire con sicurezza è che nonostante gli sforzi e i proclami, in dieci anni l’indebitamento di molti paesi Ue è nettamente peggiorato. E qui si innesca l’eterno dibattito tra chi sostiene ci sia stata troppa austerità e chi dice ce ne sia stata troppo poca. In generale, è bene evitare conclusioni troppo affrettate da una semplice tabella Excel, e il caso Reinhart-Rogoff è lì a ricordarcelo.

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