Kentucky Route Zero

Kentucky Route Zero è una bestia strana. Ha vinto di tutto: miglior gioco dell’anno, riconoscimenti artistici, lodi letterarie e chi più ne ha più ne metta. Dichiaratamente ispirato dagli eventi successivi alla crisi del 2008, il viaggio di Conway attraverso un Kentucky a metà tra il sogno e la critica sociale è una di quelle cose che capitano una volta per generazione. L’inserviente della stazione di servizio ha una laurea, ha pubblicato cose. Persone che potrebbero non esistere giocano a giochi da tavolo completamente incomprensibili. Il mondo intero sembra aver deciso che non vale la pena rovinarsi l’anima, ed è il momento di guardare il tramonto e pensare al passato. Del futuro nemmeno l’ombra.

Rumori di elettricità statica accompagnano il giocatore quando Kentucky Route Zero si accende per la prima volta. Le parole Atto Primo, Scena Prima svaniscono per mostrare l’inizio dell’avventura: una stazione di servizio sul ciglio di una strada di campagna, al tramonto, le luci spente e una gigantesca testa di cavallo a fare da insegna. Equus Oil ha visto giorni migliori, e mentre il protagonista si avventura nei sotterranei della stazione, seguendo le forme del suddetto cavallo, ti rendi conto che in questo mondo ormai nessuno galoppa più.

Il trailer del videogame

Kentucky Route Zero è un adventure game, quel vastissimo genere che abbraccia storie e modelli estremamente diversi tra loro, nato con righe di testo su schermi a tubo catodico. Al centro della scena, trama e dialoghi – dialoghi onirici, che solo all’apparenza non sembrano seguire un filo logico, dallo stile apertamente teatrale e con incluse note di palcoscenico. Conway è visto in terza persona, con lo spettatore a fare in contemporanea da pubblico, da attore e da regista, con Pirandello a reggere in mano il controller. Una volta avevamo la stessa età, dice un personaggio, ma ormai mia cugina è più vecchia di me.

Kentucky Route Zero è un gioco – ma è giusto chiamarlo gioco? Kentucky Route Zero è una storia dove gli eventi non sono quello che conta, tanto quanto quello che spingono a pensare. Conway come veicolo per le azioni del giocatore, nella tradizione dei giochi in cui il protagonista è un foglio bianco in cui scrivere la tua storia, ma anche Conway come personaggio, Conway che nasconde emozioni e ferite nascoste, Conway come testimone di storie tra il domestico e l’allucinato. Il tutto viene descritto spesso dalla stampa come “surreale”, ma ridurlo a una sequenza di immagini evocative significa perdere completamente di vista il sottotesto nascosto dietro al copione.

Non siamo davanti a una denuncia aperta del tardo capitalismo e dello strangolamento della gente comune come in Night in the Woods. La discussione non è esplicita tanto quanto nel capolavoro di Scott Benson e compagni – Un mondo in cui stipendi da mutuo diventano stipendi da affitto diventano stipendi da stanza a casa dei tuoi, dice Selmers riassumendo l’intero assunto economico della storia – ma il sottofondo di completa spersonalizzazione e mancanza di opportunità resta.

Resta anche la presenza di miniere e paesi di minatori, completamente vuoti e abitati solo dai fantasmi di promesse di prosperità che furono – una prospettiva tipicamente americana, ma una tematica che si riflette un po’ in tutto il mondo. I minatori del Kentucky che attraversa Conway erano brava gente, al servizio di compagnie che scaricavano ogni costo su di loro. Per illuminare le gallerie in cui passavano la vita, bisognava tirar fuori soldi. Far girare l’aria nei tunnel per non soffocare costava un certo numero di monete all’ora. E il padrone si arricchiva.

Ciò non vuol dire che Kentucky Route Zero sia solamente una serie di dialoghi dallo stile postmoderno in cui un autore si gratta la panza filosofeggiando sul mondo in cui si trova e creando scenari sempre più stranianti. C’è una trama, c’è una spinta di sottofondo – i fantasmi, i robot e l’autostrada Zero del titolo, di cui Conway è in cerca e che richiede molto di più di trovare l’uscita giusta per poter essere raggiunta – ma come Godot, l’obiettivo potrebbe esistere, potrebbe non esistere, o potrebbe essere solo una scusa per cosa succede mentre lo si attende. Guarda caso, Godot è anche il nome di un popolare motore di sviluppo indipendente.

Si ha la sensazione di perdersi in un mondo riflessivo e complesso. Perdersi in senso letterale – la mappa del gioco, un intersecarsi di autostrade e stradine di campagna estremamente minimaliste, è difficile da interpretare e le indicazioni dei personaggi possono essere vaghe – ma anche metaforicamente. Sapere dove dobbiamo andare è già difficile quando le cose vanno bene. Quando il mondo smette di avere un senso, e l’unica certezza che hai è di dover arrivare al numero 5 di Dogwood Drive, attraverso la Route Zero, non c’è altro da fare se non ingranare la marcia e sperare di arrivare prima del tramonto.

Kentucky Route Zero è uno dei migliori giochi che abbia mai visto. Ed è uno dei pochi giochi che voglio far provare anche a chi non ha mai giocato prima. Se questi giri di parole ti hanno incuriosito, provalo – non te ne pentirai.

Stefano Zocchi (1992), nato analogico e cresciuto digitale. Laureato in Lettere Moderne e sfociato accademicamente nell'editoria multimediale, scrive per lavoro e per passione di videogiochi e tecnologia, con un particolare interesse per il potenziale narrativo ed economico del settore. A tempo perso crea giochi indipendenti e musica

la tua finestra sul mondo

Iscriviti alla newsletter:

    SEGUICI: