La concessione di Tianjin, una colonia italiana in Cina – Parte II

La piccola concessione italiana di Tianjin, dopo un primo momento di difficoltà, trovò l’occasione per crescere e divenire un singolare quartiere signorile in una città divisa. Quale fu il suo ruolo durante la Grande Guerra, quale fu l’impatto del fascismo e in che modo terminò la breve esperienza cinese dell’imperialismo italiano?

1902: a seguito della partecipazione nel contingente internazionale durante la Guerra dei Boxer, il Regno d’Italia riuscì ad ottenere una piccola concessione nella città di Tianjin. Lo scopo del piccolo dominio sarebbe stato quello di favorire lo sviluppo commerciale italiano in Cina.
Tuttavia, le svantaggiose caratteristiche dell’area occupata e il disinteresse in Patria, non permisero un rapido sviluppo. Il costo e lo sforzo erano di molto superiori agli ipotetici guadagni.

Cartolina della concessione italiana a Tianjin.
Cartolina della concessione italiana a Tianjin. Anni ’30 @University of Bristol

In questa seconda parte vedremo come s’innescò lo sviluppo del quartiere italiano a Tianjin e quale fu il ruolo delle concessione durante le due guerre mondiali.

La lenta riqualificazione del territorio della concessione di Tianjin

La società anonima di industriali italiani, creata nel 1901 per amministrare i lavori in Cina, si sciolse nel 1902, incapace di superare i problemi burocratici. La particolare natura giuridica della concessione disincentivava gli investitori privati. Fu così che il piccolo dominio passò, tra il 1904 e il 1908, sotto la diretta amministrazione dello Stato. I primi anni furono esclusivamente dedicati alla riqualificazione dell’area, bonificando gli acquitrini e i laghetti paludosi (profondi in certi punti anche 4 metri), traslando le salme del cimitero cinese e livellando il terreno della concessione.

Gli acquitrini presenti sul territorio della concessione prima della bonifica
Gli acquitrini presenti sul territorio della concessione prima della bonifica. @Archivio G.L.Arnaud

Un altro ostacolo da risolvere (dal punto di vista italiano) era rappresentato dal villaggio cinese. Sebbene inizialmente si pensò di espropriare il terreno per costruire edifici occidentali, l’iniziativa non fu mai presa, perché avrebbe minato l’esistenza stessa del dominio. La traballante economia della concessione si basava sulla tassazione imposta agli abitanti cinesi (circa diciassettemila), che per giunta lavoravano come operai ai cantieri di bonifica e livellamento del terreno.

Rilievo di Tianjin 1901
Il primo rilievo della concessione di Tianjin nel 1901, ad opera del guardiamarina Filippo Vanzini. L’area del cimitero è rappresentata a nord dalle sezioni a puntini. Il villaggio è l’agglomerato al centro mentre le saline sono i quadrilateri a sud, lungo il fiume.

Il piano regolatore del 1905 e un disastro annunciato

Nel 1905 il Ministero degli Affari Esteri presentò un piano regolatore che abbozzava un primo progetto stradale. Il quartiere si sarebbe ordinatamente articolato partendo da due arterie principali: corso Vittorio Emanuele III, che avrebbe collegato la concessione russa all’austriaca, e corso Marco Polo, che avrebbe congiunto la stazione ferroviaria a nord con la banchina dell’Hai He a sud. Tuttavia, i lavori non procedettero come sperato e nel 1907 Tianjin era ancora in totale stato di abbandono.

Le strade del villaggio cinese nella concessione di Tianjin. @Archivio G.L.Arnaud

Nel 1905, l’ufficiale di marina Mario Valli, presente nell’area sin dai fatti dei Boxer, descrisse così la situazione, nel suo libro Gli Avvenimenti in Cina nel 1900 e l’azione della R. Marina Italiana:

“Di italiano, non v’è che una Caserma, costruita nel 1901 (la caserma Savoia n.d.a.), dove han preso stanza le nostre truppe, di guarnigione a Tien-tsin; per il resto i terreni sono ancora ingombri di pantani, e di sepolture cinesi (…) sembra che la Concessione italiana di Tien-tsin sia lì solo per la piccola ambizione del nome, e fa riflettere malinconicamente che è forse un bene che l’affare di San-mun sia andato così male”.

La rivoluzione cinese e la fine del Celeste Impero

Nel frattempo, l’Impero Cinese entrava nella sua fase terminale. Una serie di riforme, finalizzate alla trasformazione del paese in una moderna monarchia costituzionale, portarono all’insurrezione di numerose provincie imperiali. Nel 1912, a Nanchino, fu proclamata la (debole) Repubblica di Cina e Pu Yi, l’ultimo imperatore, abdicò e lasciò per sempre la Città Proibita.

In Italia, la notizia della rivoluzione cinese non destò alcun interesse: l’attenzione era tutta rivolta alla guerra italo-turca per il possesso della Libia.

Il punto di svolta per la concessione di Tianjin

Nel 1910, le turbolenze della politica cinese determinarono un’acuta crisi economica, che colpì anche gli interessi italiani a Tianjin. Ciò convinse lo Stato italiano a investire, terminate le ostilità con i turchi, 400.000 lire, stanziate attraverso la Cassa Depositi e prestiti. Questo finanziamento, unito all’ostinata volontà del Ministero degli Esteri di valorizzare l’area, fu la partenza vera e propria per la crescita del quartiere.

Finalmente, le opere di bonifica terminarono e si iniziò a progettare i primi edifici. Tra questi anche alcuni villini privati. Il primo edificio completato fu il Consolato Italiano.

La residenza del console italiano.
La residenza del console italiano. @Touring Club Italiano

Tuttavia, ancora una volta la sorte della piccola concessione cinese subì le imprevedibili turbolenze dell’Europa, che nel luglio 1914 si preparava ad entrare nella Grande Guerra.

La concessione di Tianjin nella Grande Guerra

Come prevedibile, la Prima Guerra Mondiale rallentò parzialmente i lavori e distolse l’attenzione pubblica dalla lontana concessione. La Repubblica di Cina entrò in guerra nel 1917 a fianco dell’Intesa, anche grazie al sostegno del Regno d’Italia, che sperava di estendere il dominio sulle concessioni tedesche e austroungariche. Tali territori furono però occupati dalla Cina e di fatto questo fu l’unico intervento della Repubblica: il paese non era ancora in grado di combattere, divorato dall’anarchia nelle periferie.
Curiosamente, fu in questo periodo che i primi abitanti italiani arrivarono a Tianjin, a seguito di un incredibile e avventuroso episodio.

L’anabasi italiana: Cosma Manera e la lunga strada per Tianjin

L’Impero Austroungarico arruolò migliaia di soldati italiani, abitanti del Trentino, dell’Istria e del Friuli, schierati sul fronte orientale contro i russi, per evitare che fraternizzassero con gli italiani. Molti di loro, catturati dall’esercito dello Zar, si salvarono dichiarandosi di etnia italiana e, grazie alla mediazione del Regno d’Italia, tornarono in libertà. Nel 1916 partì un’operazione per riportarli in Italia, coordinata dal maggiore Cosma Manera, che li avrebbe evacuati dal porto di Arcangelo, sul Mar Bianco.

Cosma Manera (al centro) in Russia. 1918-1920. @Wikicommons

Tuttavia, allo scoppio della Rivoluzione Russa l’anno seguente, Arcangelo rimase isolata dai ghiacci invernali e dalle truppe bolsceviche e gli ex prigionieri iniziarono un lunghissimo viaggio seguendo la Transiberiana, fino al porto di Vladivostock, affacciato sull’Oceano Pacifico. Giunti qui, non trovarono però nessuna nave diretta in Italia. Condotti da Manera, i soldati raggiunsero allora il territorio italiano più vicino: la concessione di Tianjin. Per molti di loro, la prima esperienza con il suolo italiano fu quindi in un piccolo quartiere nel capo opposto del mondo.

Il “Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente” e la “Legione Redenta”

Nel 1918 la guerra civile russa continuava ad infuriare e l’Italia prese parte alla spedizione internazionale contro le armate bolsceviche. Fu così che si costituì il “Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente” (C.S.I.E.O.), con base operativa a Tianjin. Il C.S.I.E.O. aveva il compito di difendere la porzione mancese della Transiberiana, attraverso la quale l’armata bianca zarista riceveva i rifornimenti dagli occidentali.

Cosma Manera (al centro, seduto) e gli ufficiali della Legione Redenta
Cosma Manera (al centro, seduto) e gli ufficiali della Legione Redenta. 1918-1920 @Wikicommons

Il nucleo del Corpo era formato dalla “Legione Redenta”, organizzata dal maggiore Manera e costituita da quei soldati di etnia italiana giunti dal fronte orientale. A questi si aggiunsero un contingente di alpini e due corpi di ex prigionieri italiani: il “Battaglione Nero” (composto da soldati dalmati) e la “Brigata Savoia”, organizzata curiosamente da un commerciante italiano residente in Russia. La “Legione Ceca”, composta da ex prigionieri boemi, completò la struttura del corpo.

Il C.S.I.E.O. dichiarò concluse le operazioni nell’agosto del 1919 e finalmente si sciolse.

I primi edifici: un quartiere italiano in Cina

Terminata la Grande Guerra, i lavori per la costruzione del quartiere italiano nella concessione di Tianjin poterono riprendere a pieno regime.

Nel 1924 si completò l’Ospedale Italiano, uno dei primi costruito secondo criteri all’avanguardia. Nel 1926 aprì la nuova caserma, dedicata a Ermanno Carlotto, sottotenente di vascello caduto nel 1900 durante l’Assedio alle Legazioni a Pechino, a cui fu assegnata una medaglia d’oro al valore.

La caserma Ermanno Carlotto
La caserma Ermanno Carlotto. @Touring Club Italiano

Successivamente furono completati un mercato coperto, le caserme dei Vigili del fuoco e dei Carabinieri e un centro sportivo. Uno degli edifici più interessanti fu il Palazzo della Municipalità Italiana: costruito sull’ex caserma Savoia in uno stile neo-medievale, assomigliava vagamente (almeno nelle intenzioni) al Palazzo Vecchio di Firenze. Fu abbandonato presto, quando nel 1925 il fascismo sciolse i consigli comunali.

Il palazzo della municipalità nella concessione di Tianjin
Il Palazzo della Municipalità Italiana nella concessione di Tianjin. @Touring Club Italiano

Aree pubbliche e villette italiane

Le aree pubbliche più importanti erano Piazza Dante Alighieri e Piazza Regina Elena, decorata al centro dal Monumento alla Vittoria, dedicata ai caduti italiani durante la Rivolta dei Boxer.

Piazza Dante Alighieri
Piazza Dante Alighieri. @Touring Club Italiano
Piazza Regina Elena
Piazza Regina Elena e i villini prospicenti. Il monumento alla Vittoria era dedicato ai caduti italiani durante la Rivolta dei Boxer @Touring Club Italiano

Altro punto di incontro era il Giardino Pubblico, dedicato al diplomatico Carlo Sforza. Al suo interno era presente il Circolo Italiano, unico edificio della città dove era possibile trovare libri e riviste in lingua italiana.

Giardini Carlo Sforza
Vedute dei Giardini Pubblici Carlo Sforza. @Touring Club Italiano

Quanto agli edifici residenziali privati, tra il 1910 e il 1930 apparvero numerose villette dai variegati stili architettonici. Alcune imitavano le ville venete palladiane, altre erano in puro stile Art Déco e altre fondevano l’estetica europea a quella orientale. Con il nuovo piano regolatore fascista del 1924 però, questi esperimenti ibridi vennero vietati.

Ville del quartiere italiano
Le ville del quartiere italiano a Tianjin. @Touring Club Italiano

Il quartiere italiano si presentava come un quartiere elegante e silenzioso: infatti era l’unica concessione europea in cui erano state vietate le attività lavorative rumorose. Queste caratteristiche gli valsero il nome di “quartiere aristocratico”, nome dato dai cinesi stessi di Tianjin, e in breve tempo divenne una delle aree più esclusive e richieste dai cittadini facoltosi.

Uno sguardo sulla concessione di Tianjin

Nel 1929, Ugo Bassi descriveva la concessione nel suo libro Italia e Cina. Cenni storici sui rapporti diplomatici e commerciali:

“Alla fine del decimo anno la zona si poteva dire sistemata (…) ora Tien-Tsin, che i cinesi chiamano la concessione aristocratica” estende i suoi viali alberati attraverso le vile e gli edifici costruiti. (…) Il miglioramento della concessione ha portato fra gli altri benefici l’afflusso di cinesi delle classi agiate, che rifuggono dalle condizioni di vita instabili del loro paese, e trovano calma e rifugio all’ombra della nostra bandiera.”

Un filmato d’epoca fascista ci mostra il quartiere italiano nella concessione di Tianjin nel 1935. @Istituto Luce

Secondo il censimento del 1936, la concessione di Tianjin contava 7953 abitanti, di cui solo 358 italiani. La maggior parte dei residenti erano industriali, mercanti cinesi ricchi (tra cui anche qualche signore della guerra, come Tang Yulin) e diplomatici internazionali, tra cui ben 49 belgi. Per contro, i cittadini cinesi meno agiati continuarono a vivere ai margini della concessione, in abitazioni improvvisate e in condizioni sanitarie non proprio sicure.

Pianta di Tianjin
Pianta della concessione italiana a Tianjin. @Touring Club Italiano

L’avvento del fascismo e la concessione di Tianjin

L’avvento del fascismo in Italia trasformò l’amministrazione della concessione di Tianjin. Prima l’area era gestita da un’amministrazione locale, retta da un console e un consiglio municipale composto da 5 membri italiani e 3 cinesi. L’attività politica seguiva le direttive del Ministero degli Affari Esteri. Il fascismo sciolse il consiglio municipale e nominò un podestà plenipotenziario. La sovranità cinese sopravvisse formalmente ma la rappresentanza autoctona diminuì progressivamente, fino ad essere completamente subordinata a quella italiana. La concessione iniziò ad assomigliare sempre più ad una colonia.

Il Forum, centro sportivo di epoca fascista
Il Forum, centro sportivo di epoca fascista. @Touring Club Italiano

Durante il periodo fascista si costruirono due edifici di stile tipicamente razionalista: il Forum, nel 1934, che ospitava un circolo sportivo, e la Casa degli Italiani (1936), che sostituì il Palazzo della Municipalità.

Progetto della Casa degli Italiani
Progetto della Casa degli Italiani. L’edificio non è più esistente. @Touring Club Italiano

Le relazioni sino-italiane ai tempi del fascismo: le missioni di Ciano

L’instabilità politica cinese non sembrava arrestarsi. Il governo centrale, presieduto dal partito nazionalista del Kuomintang (KMT), manteneva solo nominalmente il controllo delle regioni periferiche. Nel 1926 Chiang Kai-Shek, leader del KMT lanciò una spedizione militare verso la Cina settentrionale, cerando di unificare il paese. Allarmato dalla guerra dei nazionalisti, il governo italiano creò a scopo precauzionale il Battaglione Italiano in Cina. Inoltre, nel 1927 e nel 1930 il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, partì per la Cina in qualità di Segretario della Legazione italiana.

Soldati italiani in piazza Regina Elena.
Soldati italiani in piazza Regina Elena. Anni ’30 @University of Bristol

Ciano propose un piano per espandere la capacità commerciale italiana in Cina e al contempo diffondere l’ideologica fascista. Secondo gli accordi, l’Italia avrebbe addestrato piloti e venduto al governo cinese aerei, navi e rifornimenti bellici oltre ad alcune attrezzature industriali. Nel 1932 nacque anche la Lega Italo-cinese, associazione con lo scopo di favorire lo scambio di conoscenza culturale tra i due paesi e lo spostamento degli studiosi tra Italia e Cina. La Lega era anche strumento di spionaggio: tra i suoi membri si celavano infatti numerosi agenti dell’OVRA, la polizia segreta fascista. Successivamente, la Lega confluì nell’Istituto per il Medio e l’Estremo Oriente, presieduto, tra gli altri, dal filosofo Giovanni Gentile.

Lo scoppio della Guerra del Pacifico

Nel 1937, a seguito di un pretestuoso incidente verificatosi a Pechino presso il ponte Marco Polo, il Giappone cominciò l’invasione della Manciuria: iniziava la Guerra del Pacifico. L’occupazione fu completa in pochi mesi e la regione si riorganizzò in uno stato fantoccio, chiamato Manchukuò, nominalmente governato dall’ex imperatore cinese Pu Yi.
L’Italia cercò di mantenere una certa neutralità diplomatica nella crisi asiatica, ora assecondando i cinesi, ora i giapponesi. La scelta si rivelerà fallimentare.

Dalle Camicie Azzurre alla crisi italo-cinese

Tra il 1934 e il 1935 le relazioni italo-cinesi raggiunsero l’apice. Il KMT arrivò a riprendere certi aspetti ideologici del fascismo, ibridandoli con alcuni principi del confucianesimo, concretizzati nel “Movimento per una nuova vita”. Il partito nazionalista creò persino un’organizzazione militare, chiamata delle “Camicie Azzurre”, ispirata alle Camicie Nere italiane.

Un gruppo di camicie azzurre cinesi
Un gruppo di Camicie Azzurre, organizzazione militare cinese ispirata alle Camicie Nere italiane.

La costante oscillazione diplomatica italiana, tra Cina e Giappone, e il fallimento delle missioni militari e industriali volute da Ciano, portarono però le relazioni sino-italiane allo scasso. La situazione si fece irrecuperabile a partire dal 1936, con l’invasione dell’Etiopia, riguardo alla quale la Cina, che in quegli anni subiva l’occupazione giapponese, si unì alle accuse internazionali. Di contro, la guerra nel Corno d’Africa avvicinò Roma a Tokyo. Con il riconoscimento dello stato fantoccio del Manchukuò, nel 1937, Italia e Giappone erano dunque allineati e pronti a scendere in guerra insieme.

La Seconda Guerra Mondiale: l’Italia nel Pacifico

Per l’Asia e in particolar modo i cinesi, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fu la prosecuzione della Guerra del Pacifico. Tianjin fu occupata dalle truppe nipponiche nel 1939. La concessione italiana rimase intatta ma di fatto isolata dal mondo esterno fino al 1942, quasi ignara delle sorti del conflitto. L’Italia partecipò molto limitatamente alla guerra nel teatro asiatico, inviando nel 1937 alcuni incrociatori, tra cui la Lepanto, la Raimondo Montecuccoli e la Ermanno Carlotto, per garantire la sicurezza degli italiani residenti a Tianjin e a Shangai. Con l’entrata in guerra di Roma, nel 1940, la flotta eritrea, inviata in Cina, fu assalita dalla Royal Navy nei pressi delle Maldive. Le navi italiane sopravvissute, tra cui l’Eritrea, rimasero ancorate per un anno, ottenendo formalmente il permesso di ingaggiare in combattimento le navi alleate solo dopo la dichiarazione di guerra giapponese nel 1941.

L’incrociatore Montecuccoli nel 1937. @University of Bristol

L’8 settembre nella concessione di Tianjin

Nel luglio 1943, gli Alleati sbarcarono in Sicilia, provocando la caduta di Mussolini e l’armistizio, reso pubblico l’8 settembre. Gli italiani in Estremo Oriente erano completamente ignari. I giapponesi invece erano bene informati e non persero tempo, attaccando immediatamente le navi italiane in Asia: si salvarono solo l’Eritrea, che riparò nell’odierno Sri Lanka, e un sommergibile che fuggì in Sud Africa. La Lepanto e l’Ermanno Carlotto si auto-affondarono, mentre tutte le altre navi furono catturate, con i loro equipaggi, dalle truppe nipponiche.

Truppe giapponesi a Tianjin nel 1939
Truppe giapponesi a Tianjin nel 1939. Sulla destra, un poliziotto cinese. L’Italia era ancora alleata del Giappone al momento in cui fu scattata questa foto. @Hulton Archive

A Tianjin, il 9 settembre i residenti della concessione si risvegliarono circondati da un reggimento giapponese di 6000 uomini e decine di corazzati. Barricatisi nella Caserma Carlotto, i militari e i civili italiani si arresero il giorno dopo, non prima di aver distrutto la stazione radio e i documenti riservati. Fatti prigionieri, andarono incontro alle dure condizioni dei campi di reclusione nipponici. Si ha notizia che anche coloro che si dichiararono fedeli alla Repubblica di Salò furono ugualmente internati dai giapponesi.
Contemporaneamente, in Patria, il Regno d’Italia e la Repubblica Sociale Italiana rinunciavano definitivamente alla concessione di Tianjin.

Il trattato di pace del 1947 e la fine dell’esperienza italiana in Asia

Terminata la guerra, nel 1946 riaprirono rispettive ambasciate a Pechino e a Roma. Il 14 agosto di quell’anno, De Gasperi e il Ministro degli Esteri cinese si accordarono su alcuni punti, che sarebbero confluiti nel trattato di pace definitivo del 1947. La Repubblica Italiana rinunciava definitivamente ai benefici concessi nel 1901 e restituiva al governo cinese il territorio della concessione di Tianjin. Così finiva la piccola avventura coloniale italiana in Asia.

Piazza Regina Elena e il Forum in una fotografia notturna degli anni '30
Piazza Regina Elena e il Forum in una fotografia notturna degli anni ’30. @University of Bristol

Le traversie politiche cinesi non erano però finite. I nazionalisti del KMT stavano ancora combattendo una guerra contro la Repubblica Popolare Cinese, guidata da Mao Zedong. Nel 1949 l’Italia firmò un trattato di amicizia con la Cina nazionalista, pochi mesi prima della schiacciante vittoria finale dei comunisti. Italia e Cina non avranno rapporti diplomatici fino al 1970, quando finalmente i due paesi si riconosceranno ufficialmente.

Quel che rimane della concessione italiana di Tianjin

Sorprendentemente, il quartiere italiano esiste ancora e ha mantenuto la sua natura di centro abitato europeo di inizio secolo. La maggior parte dei villini, delle strutture, le piazze e i nomi di alcune strade sono sopravvissuti. La caserma Carlotto venne occupata dagli statunitensi e successivamente ceduta al governo cinese: è l’unica caserma straniera ancora esistente sul suolo cinese e ora ha una funzione civile. Persino il fascistissimo Forum, sormontato dai fasci littori, è in piedi e ospita ancora oggi un centro sportivo. La Casa degli Italiani è stata rasa al suolo e piazza Regina Elena si chiama ora piazza Marco Polo, ma il “quartiere aristocratico” continua a esistere e a incuriosire i turisti che hanno modo di visitarlo, spesso ignari della piccola avventura coloniale che si cela dietro i suoi muri Art Déco.

Il Forum al giorno d’oggi, vestigia della concessione italiana di Tianjin. Ospita ora un centro sportivo. @Wikicommons

Per approfondire

Mario Sabattini, Paolo Santangelo, Storia della Cina, Roma, Editori Laterza, 2005

Alessandro Di Meo, Tientsin: la concessione italiana – Storia delle relazioni tra Regno d’Italia e Cina (1866-1947), Roma, GBE, 2015

Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002

Alcune delle fotografie qui presenti sono tratte da Le vie d’Italia e del mondoRivista mensile del Touring Club Italiano, numero 5 del 1936, liberamente consultabile qui (da p. 523, 594 nel reader)

Altre sono tratte dal portale “Historical Photographs of China”, a cura dell’Università di Bristol. È liberamente consultabile qui.

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