Shanghai City Center

La fine del lockdown a Shanghai

Shanghai ritorna alla normalità dopo oltre due mesi di lockdown, ma la politica “zero COVID” in Cina continuerà

Il 1° giugno nella città di Shanghai sono ripartite le attività commerciali e gli spostamenti dopo un lockdown durissimo che ha coinvolto 26 milioni di persone per più di due mesi. Le autorità locali hanno annunciato la rimozione delle barriere che limitavano la movimentazione, il ripristino dei trasporti pubblici e gradualmente anche l’aeroporto di Pudong, la riapertura degli uffici e la libera circolazione con test negativo. Mentre la metropoli cinese ritorna alla normalità, il governo non rinuncia al suo modello per il contenimento dei contagi su tutto il paese, la cosiddetta strategia “zero COVID”, nonostante la sua inefficacia legata a due fattori: gli enormi costi sociali ed economici e le difficoltà operative riguardo i test di massa e i centri di isolamento.

I residenti si sono radunati agli ingressi di alcuni compound per il countdown di mezzanotte, poi lunghe code di auto hanno ripreso a circolare accompagnate dalle luci dei fuochi d’artificio e dai cittadini festanti. Il Quotidiano Del Popolo ha celebrato questo giorno come la vittoria della “Grande battaglia per difendere Shanghai”, citando i numerosi volontari che hanno contribuito alla sicurezza e al mantenimento dell’ordine (circa un milione). Le difficoltà incontrate, continua l’articolo, sono state senza precedenti e ora la ripresa economica diventa la priorità.

Il comitato del Partito e il governo di Shanghai hanno scritto una lettera di ringraziamento ai propri cittadini, assicurando che presto torneranno la prosperità e il benessere. Dopo una notte di festa, all’alba i residenti si sono messi in fila per un tampone a seguito del nuovo regolamento: per accedere al trasporto pubblico e per entrare nei locali bisogna esibire esito negativo da tampone entro le 72 ore. Per questo motivo sono stati dispiegati migliaia di chioschi in modo che ogni cittadino riesca a raggiungere in 15 minuti a piedi il centro di analisi.

Il numero delle infezioni torna a essere il più basso dal 2 marzo, dopo aver raggiunto il picco dei 27mila casi giornalieri in aprile. Anche a livello nazionale i nuovi casi sono scesi a 65, la cifra più bassa da febbraio. Tuttavia, questo apparente successo delle politiche di contenimento del contagio ha avuto un costo molto alto. Le vendite al dettaglio a Shanghai, che da sola vale il 4% del PIL cinese, sono scese del 48% rispetto all’anno precedente, la produzione industriale del 62%, gli investimenti esteri del 41%, così come le importazioni e le esportazioni; basti pensare alle navi bloccate nel porto, aumentando i costi delle materie prime.

Beijing è sotto pressione per attuare delle contromisure contro il rallentamento economico (il PIL potrebbe non raggiungere l’obiettivo prefissato del +5,5%), il calo dei consumi e l’aumento della disoccupazione (per la prima il numero di laureati senza offerte di lavoro potrebbe superare quelli che ne hanno ricevuta una o più). Non è detto che le riaperture possano garantire la ripresa dato il rischio di nuovi contagi e conseguenti chiusure, anche se la linea di Xi Jinping propone di correggere la politica “zero COVID” senza abbandonarla del tutto (con lockdown “mirati” e test di massa). Adam Cochrane, analista alla Deutsche Bank Research, afferma che i consumi non saranno così forti come nel rialzo del 2020, in quanto la rigidità dei lockdown e l’incertezza sui dati dei contagi rendono il mercato più nervoso.

Il lockdown di Shanghai ha avuto risvolti peggiori a confronto con quello di Wuhan, nonostante il numero di morti inferiore rispetto all’inizio della pandemia, giacché a essere colpita non è stata una sorta di “Detroit cinese” da sei milioni di abitanti, bensì la metropoli cosmopolita e il nucleo finanziario della Repubblica Popolare Cinese. È stato quindi il focolaio più importante, non l’unico, dove la variante omicron Ba.2 ha potuto diffondersi perché il tracciamento e l’isolamento forzato dei contagiati non sono state misure sufficienti senza una campagna vaccinale capillare. Le restrizioni annunciate a fine marzo con pochissimo preavviso hanno colpito da subito gli anziani, i disabili, le donne incinte, i malati con patologie pregresse, e poi l’intera classe media.

Sui social network si trovano le testimonianze del regime securitario instaurato per due mesi: la scarsità degli approvvigionamenti dei viveri, le separazioni tra familiari trascinati in strutture di isolamento, i lavoratori del food delivery costretti a dormire per strada per non finire reclusi nei propri compound, la repressione delle proteste, l’utilizzo di droni per il controllo delle strade, gli abusi delle forze dell’ordine nei confronti dei cittadini che non capiscono questa sistematica rigidità; tutto parzialmente raccolto nel collage di racconti nel video subito censurato “Voices of April”. Tutti episodi che hanno suscitato lo sdegno dell’opinione pubblica occidentale, in quanto nessun paese democratico ha mai inciso così coercivamente sulle libertà personali dei cittadini: in Italia, come paragone, si è sempre potuti uscire di casa per fare la spesa al supermercato o recarsi in farmacia, per reperire i beni di prima necessità. A Shanghai queste attività sono state rimpiazzate dalle piattaforme di delivery, dandoci un’idea di come potrà essere il nostro “futuro tecno-distopico“.

Ancora oggi, la Shanghai University ha prolungato l’obbligo per gli studenti di rimanere nei dormitori fino al 13 giugno. Le autorità hanno precisato inoltre che alcune aree cittadine rimarranno in quarantena poiché a rischio di contagio, in tutto circa 890 mila persone. A Beijing, che ha scampato di poco la chiusura totale come Shanghai, si è tenuta una protesta studentesca all’università della Beishida contro il muro di confinamento creato per separare i dormitori studenteschi dalle altre strutture. Nella cittadina di Yanjiao, a 40 km da Beijing, i lavoratori hanno protestato contro le restrizioni per accedere alla capitale, intonando “dittatura” contro il dispiegamento di polizia sulla strada.

Ogni volta che si è presentato del malcontento popolare a causa delle restrizioni, a farne le spese sono i quadri del partito locali. A Shanghai è presente un fedelissimo di Xi Jinping, ossia il capo di Partito Li Qiang, membro del politburo e un probabile futuro premier. Non è escluso che la sua posizione sia in futuro messa in discussione in vista del XX Congresso del PCC. A seconda delle nomine che usciranno si potrà giudicare se la leadership di Xi si sia indebolita.

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