La Siria di Shady e Mohamed Hamadi è tornata al voto

Lo scorso 26 maggio la Siria è tornata al voto, per la seconda volta da quando nel 2011 ha avuto inizio un sanguinoso conflitto che ha causato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati. Nella tornata del 2014 il presidente Bashar al Assad aveva ottenuto il 90% delle preferenze ed era così stato confermato per altri 7 anni alla guida della Repubblica araba di Siria.

Almeno sulla carta, il successo di Assad nella tornata dello scorso mese è stato ancora più ampio, in quanto sul rais sarebbe confluito addirittura il 95% dei voti degli oltre 13 milioni di siriani che si sono presentati alle urne nelle aree controllate dal regime. L’elezione avrebbe anche raggiunto l’affluenza record del 79%, se non fosse che dallo scoppio della guerra civile 6 milioni di siriani (circo un terzo degli abitanti) hanno abbandonato il paese. Secondo la maggior parte degli opinionisti e dei governi occidentali si è trattato di un voto farsa: i candidati erano solamente tre, e paesi come la Turchia e la Germania avevano impedito il voto sul proprio territorio a milioni di rifugiati, denunciando preventivamente la mancanza di correttezza della tornata elettorale. Le uniche due alternative concesse ad Assad, infatti, sarebbero secondo molti candidati strumentali presentati solamente per creare un’opposizione fittizia e dare una parvenza di legittimità al voto.

Nel vicino Libano, che ospita circa un milione di siriani e che è indirettamente vittima delle sanzioni occidentali nei confronti di Damasco, si sono verificati duri scontri tra gli oppositori e i sostenitori di Assad, portati a votare in massa su autobus messi a disposizioni dalle organizzazioni sciite.

Stati Uniti, Germania, Francia, Italia e Regno Unito hanno rilasciato una dichiarazione congiunta denunciando l’irregolarità delle elezioni, che non rientrerebbero nei canoni descritti dalla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, emessa nel 2015 per chiedere la fine delle ostilità e la ricerca di una soluzione politica al conflitto.

Con lo schiacciante successo elettorale Bashar al Assad, al potere dal 2000, inizia il suo quarto mandato presidenziale. Se si considera la presidenza del padre Hafiz (che rimase al potere fino alla morte, dopo aver designato il figlio coame successore, abbassando con il voto del parlamento l’età richiesta per diventare presidente) sono più di 50 anni che la famiglia Assad governa ininterrottamente in Siria. Membro del partito Ba’th dal 1946 e già ministro della difesa e capo dell’aviazione, Hafiz al Assad è giunto al potere nel 1970 con la cosiddetta “rivoluzione correttiva” che ha rovesciato il governo di al-Atasi.

Pochi anni prima dell’arrivo al potere di Hafiz al Assad, Mohamed Hamadi scappa dalla Siria dopo aver pagato un alto prezzo per il suo impegno politico. È uno dei due autori di libro pubblicato quest’anno da add editore: “La nostra Siria grande come il mondo”, che ha scritto a 4 mani con il figlio Shady. Ultimo capitolo di una trilogia (che comprende “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana” ed “Esilio dalla Siria. Una lotta contro l’indifferenza”) con cui Shady Hamadi ha portato avanti negli ultimi dieci anni il proprio impegno di lotta e opposizione al regime di Assad, il libro alterna le voci di padre e figlio per ripercorre la storia del paese a partire dagli anni ’20, attraverso il ricordo del bisnonno Mohamed e di nonno Ibrahim, per arrivare ai giorni nostri, all’Italia e al Regno Unito e alla nascita di Matilde.

Una storia che inizia con gli accordi di Sykes-Picott e che prosegue con il mandato francese, l’indipendenza del 1945 e l’arrivo al potere del Ba’th con la promessa di abbracciare i valori del panarabismo, della laicità e del socialismo arabo. Una storia, tradita dai suoi protagonisti, che attraverso le voci di un padre e un figlio si dilata e si deforma per attraversare i confini del Libano, del Kuwait e dell’Iraq fino a giungere in Europa, dall’hinterland milanese di Sesto San Giovanni alla metropoli multietnica di Londra.

Ad emergere sono i contorni di un paese che ancora oggi attraversa una delle peggiori crisi del pianeta, aggravata da un contesto regionale all’interno del quale lo scontro e gli interessi geopolitici hanno la meglio sulle considerazioni di carattere umanitario. Alla narrazione sulla decennale crisi siriana si affianca l’inquietudine di una generazione, quella di Shady, che non vede più il ritorno in Siria come una vera opzione e che è costretta a sua volta a cercare fuori dai confini italiani la speranza di un futuro fatto di lavoro e dignità e che è soprattutto desiderosa di costruire la propria identità.

Il dialogo alla base di “La nostra Siria grande come il mondo” è anche il modo con cui padre e figlio rompono il silenzio e l’incomunicabilità di un vissuto fatto di torture, incarcerazioni e fughe. Un percorso tormentato che rende difficile un dialogo tra generazioni costrette ad allontanarsi dalla propria terra ma che non rinnegano le proprie origini e vivono di sogni e attivismo.

È una lettura necessaria che, attraverso gli occhi di due generazioni, obbliga il lettore a misurarsi con la storia e il destino di un paese i cui abitanti sono troppo spesso ridotti a pedine di un gioco fatto di interessi strategici. Una crisi, quella siriana, che l’Occidente contribuisce a peggiorare attraverso l’imposizione di sanzioni che non fanno altro che affamare ulteriormente milioni di persone in Siria e nei paesi vicini. Una Siria che tuttavia rinasce a prospera nei sogni di Shady e Mohamed, e che anche per questo è grande come il mondo.

Classe 1989. Ho studiato scienze politiche e cooperazione internazionale. Appassionato di montagna e di sport, seguo e studio la realtà mediorientale

la tua finestra sul mondo

Iscriviti alla newsletter:

    SEGUICI: