La storia dimenticata delle poetesse marchigiane del Trecento

Lo scorso anno la casa editrice Argolibri ha pubblicato un volumetto illustrato che unisce la letteratura passata a quella presente. Si tratta di «Tacete, o maschi». Le poetesse marchigiane del ‘300, una breve antologia che raccoglie i componimenti di Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani. I testi antichi sono accompagnati da alcuni brani di Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli, per un dialogo che supera i confini temporali. Come nasce però questa antologia?

Nel 1580 Andrea Gilio da Fabriano, erudito marchigiano e priore all’eremo di Suavicino, pubblicò Topica poetica, un trattato sulla poesia e sulle figure retoriche come tanti ne venivano scritti al tempo. Questo volume, così semplice e anonimo all’apparenza, diede però il via a un dibattito filologico durato secoli. Che cosa contiene il trattato? Dopo un articolato discorso sulla retorica, inserisce alcuni sonetti di tre poetesse marchigiane: le già citate Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo e Livia da Chiavello. Nomi quasi sconosciuti, ma protagoniste di una storia molto interessante e fortemente radicata nelle Marche.

Figure di Simone Pellegrini

Le autrici italiane, di qualsiasi genere siano portavoce, sono praticamente assenti dal resoconto storico almeno fino al Quattrocento. Una tradizione di questo tipo porta a pensare che non ci fossero penne femminili nella letteratura delle origini (due-trecentesca). Indubbiamente erano meno presenti, anche perché la possibilità di scrivere era un privilegio legato all’appartenenza a posizioni lavorative di prestigio (i primi poeti erano notai) e al genere. Eppure le poetesse nel Trecento esistevano e hanno dato il via a un produzione letteraria di rilievo.

La grossa differenza tra questo gruppo di autrici marchigiane e le esperienze precedenti è l’interconnessione dei loro lavori. Le autrici duecentesche come Compiuta Donzella e Nina Siciliana scrivevano in autonomia. Erano isolate e non dialogavano tra loro. Con le poetesse marchigiane, invece, si può parlare di un gruppo uniforme e non solo dal punto di vista territoriale, ma anche letterario. Osservando i loro componimenti si notano delle affinità tematiche e culturali che li legano gli uni agli altri. Questa collaborazione ha poi generato dei legami di amicizia e stima reciproca che hanno trasformato il gruppo in una sorta di scuola.

La loro storia, però, è poco nota anche perché complessa. Nel corso dei secoli la maternità delle poesie di questa scuola non è sempre stata pienamente riconosciuta. Giacomo Filippo Tomasini, ad esempio, ha pubblicato i loro componimenti attribuendoli ad altre poetesse, mentre Medardo Morici ad altri poeti. Quest’ultimo – e in seguito anche Tiraboschi e Carducci – sosteneva inoltre che le poetesse marchigiane non esistessero, ma fossero solo un’invenzione campanilistica nata nella zona attorno a Fabriano. Un altro intellettuale che si oppose al riconoscimento delle autrici marchigiane fu Adolfo Borgognoni, secondo cui «le donne italiane di que’ secoli, anche le nobili ed eleganti da tutto quello che sappiamo, non pare aspirassero al vanto di letterate e di poetesse».

Lettura teatralizzata di Tacete, o maschi (Leonora della Genga)

Che cosa vuol dire che queste donne costituivano una sorta di scuola? Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani avevano un’intensa corrispondenza reciproca. Si scrivevano e si scambiavano i componimenti. È una pratica da sempre in voga anche tra i poeti, che però spesso si inviano dei testi per creare una “tenzone”, cioè uno scambio polemico, una discussione accesa. Molto famosa è infatti la tenzone tra Dante Alighieri e Forese Donati, in cui i due si deridono a vicenda.

Le poetesse marchigiane in questione, invece, concentrano i loro scambi su altri temi: l’unità di intenti, di esperienze e l’amicizia. Ciò probabilmente dipende anche dalle difficoltà incontrate dalle donne dell’epoca nel lavoro di scrittura. Queste influiscono anche su molti degli argomenti trattati, come l’affermazione di un io femminile in materia amorosa – per non essere più solo oggetto del desiderio maschile – e la contestazione delle imposizioni familiari relative al matrimonio. Con la loro opera poetica anticiparono Christine de Pizan in Francia e Teresa de Cartagena in Spagna, pur inserendosi in una tradizione che le precede e deriva dalle Trobairitz, la trovatrici provenzali.

Non bisogna pensare però a queste autrici come a un gruppo isolato e anonimo all’interno del panorama culturale dell’epoca. Ortensia di Guglielmo, ad esempio, ebbe una corrispondenza addirittura con Petrarca. Ed egli probabilmente le rispose, anche se la questione filologica non è del tutto chiara. All’interno del Canzoniere, infatti, c’è un componimento (il numero VII) tradizionalmente considerato indirizzato a Boccaccio, ma che riprende temi e termini di quello di Ortensia di Guglielmo. Di conseguenza è possibile che originariamente fosse rivolto e lei.

Delle loro vite si sa molto poco. Ciò che si conserva fino a oggi sono proprio i componimenti di queste autrici marchigiane, che narrano un legame poetico che si regge anche sull’elemento territoriale. La lingua con cui i testi sono composti, infatti, contiene numerosi elementi locali.

Episodio del podcast Le donne della porta accanto sulle poetesse marchigiane del Trecento

Il dilemma filologico che circonda le poetesse marchigiane del Trecento è ancora insoluto. Oggi si riconosce che molti dei tentativi messi in atto per screditarle derivano dalla volontà di ottenere prestigi letterari o addirittura politici. Andrea Gilio, infatti, avrebbe voluto attribuire i loro componimenti a Petrarca (nel pieno del petrarchismo) per far ottenere a Fabriano la denominazione di città. Nonostante le figure di Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani restino colme di zone d’ombra, può essere interessante notare che, vista la storica opposizione contro le donne che si dedicavano alla scrittura, i numerosi tentativi di sottrarre il riconoscimento del loro lavoro possono essere letti come una validazione della loro credibilità.

Leggo, scrivo e ne parlo. Sono una giornalista, un'insegnante. Mi occupo di diritti e conduco il podcast Cristianə a chi?

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