La Terza Repubblica. Dal consenso alla rassegnazione.

Cresciuti senza bandiere

Per molti è difficile appassionarsi di politica in Italia al giorno d’oggi, per lo meno di quella partitica.
Intendiamoci, di politica in generale parlano tutti e spesso anche con foga. Intendo appassionarsi nel senso di sentirsi attori della vita politica ed essere stimolati a parteciparvi attivamente.
Chi come il sottoscritto è nato dagli anni ’90 in poi non ha mai conosciuto grandi partiti di massa. Non ha conosciuto il PCI o la DC della Prima Repubblica e difficilmente si è visto coinvolto in comizi, feste e riunioni in sedi territoriali, quando esistono ancora.
Le nuove generazioni si ritrovano a vivere in un mondo che cambia rapidamente, governate da partiti e personalità che non sembrano capaci di stare al passo coi tempi, estranee alle problematiche e alle realtà di tutti i giorni e ancorate alle logiche socioeconomiche del secolo passato.

Comizio di Berlinguer alla festa dell’Unità del 1982, davanti a una quantità di persone impensabile per qualunque partito odierno.

I giovani, nell’agenda dei partiti maggioritari, esistono solo in quanto futuri elettori.
Le occasioni di confronto sono pochissime e sempre più esclusive e, spesso, le istanze che vengono direttamente dall’elettorato di base faticano a trovare poi un riscontro effettivo nella politica parlamentare.
Quest’anno abbiamo visto gli ostacoli che vengono posti alle giá ridottissime possibilitá di intervento cittadino nell’agenda legislativa.
Non esistono meccanismi che permettano la promozione di leggi di iniziativa popolare,le proposte di referendum abrogativi proposti dalla cittadinanza e non dai partiti, seppur previsti dalla costituzione vengono puntualmente ostacolati da interpretazioni e tecnicismi, e quand’anche si riesce, spesso contro vento e marea, a portarli al voto é difficile farne rispettare l’esito quando questo cozza con l’agenda politica del momento.
Esemplari in questo senso i casi del voto sull’acqua bene comune del 2011 e vari degli otto quesiti dei referendum abrogativi del 1993.

Campagna elettorale o marketing politico?

Da molti punti di vista l’intrattenimento televisivo e online ha sostituito l’ideologia e l’analisi dei partiti nella loro capacità di attirare attenzioni e consenso dei cittadini.
L’elettore è prima di tutto un consumatore.
Riceve stimoli, vota ogni tanto e nella migliore delle ipotesi condivide qualche post del partito sulle sue reti personali. Se però cambia la sua tendenza di consumo è il partito che deve adattare la sua narrazione e il suo “marketing” a questa nuova tendenza, proprio come il mercato dell’intrattenimento.

Non sorprende che sempre di più le elezioni si vincano con la paura per l’alternativa e con lo scandalo piuttosto che con la capacità di attirare consensi effettivi attorno a un progetto politico, inseguendo una logica del meno peggio che genera disillusione e disaffezione per la politica.
Nello showbuisness politico italiano, quei pochi partiti o quelle personalità che riescono attivamente ad attirare voti e illudere i loro sostenitori con un progetto lo fanno inseguendo la pancia dell’elettorato con proposte azzardate e dichiarazioni sensazionalistiche. Proposte che una volta ottenuti i posti di potere anche volendo non riescono ad attuare, spesso per impossibilità strutturale, opposizioni e contraddizioni. Così molti partiti e liste che anche con le migliori intenzioni cercano di rinnovare lo scenario hanno una vita meteorica, perdono rapidamente il consenso ottenuto, proprio come molte star del mondo dell’intrattenimento.

La politica pigliatutto

Insomma, se cinquant’anni fa si potevano incontrare milioni di persone pronte a dichiararsi democristiane perché nonostante tutto votavano e credevano nella DC e milioni pronte a dichiararsi comuniste perché nonostante tutto votavano e credevano nel PCI, oggi sarà molto più facile trovare persone che alle ultime elezioni hanno votato questo o quel partito turandosi il naso solo per evitare l’alternativa o quasi per tradizione.
E alla prossima tornata chissà.
Intendiamoci, queste dinamiche non sono una novità né una esclusiva italiana.
Sicuramente molti elettori della DC votavano anche per paura al comunismo e molti del PCI votavano per danneggiare la DC, ma di fondo c’erano comunque profonde convinzioni ideologiche, storiche e in alcuni casi addirittura spirituali e religiose dietro al voto.

Nell’era post-ideologica che stiamo vivendo la regola sembrerebbe essere invece quella dei cosiddetti “partiti pigliatutto”, interessati al consenso immediato da attirare con proposte di brevissimo termine piuttosto che a idee di lungo periodo, per definizione meno coinvolgenti a livello elettorale se non repulsive.
Questioni a lungo termine che nascoste sotto al tappeto diventano sempre più urgenti e inevitabili.
Questioni come la transizione energetica vanno affrontate oggi con serietà per poterle compiere in maniera controllata, altrimenti il rischio è ritrovarci tra 20 anni a doverlo fare in modo affrettato, con tutte le conseguenze e i rischi del caso.

Piú che nuovi partiti serve una nuova politica

Mentre le giovani generazioni guardano con crescente angoscia il futuro e con frustrazione il presente, la politica sembra fare di tutto per evitare qualunque tipo di cambio e ancorarsi alla “vecchia normalità”.
Quasi a voler tornare a un passato che non é possibile e neppure auspicabile che torni.
Un conservatorismo cocciuto e testardo, che data la situazione di profonda crisi ambientale, sociale e politica dovuta proprio allo status quo, risulta suicida.

Per avere un futuro un po’ più roseo servirebbero cambi radicali nella struttura economica e produttiva, tanto su scala globale quanto a livello nazionale, e una riduzione drastica dell’infinità di consumi non sostenibili della nostra società che ovviamente avrebbero conseguenze anche a livello personale.
Ma per fare questo forse servirebbe prima un cambio altrettanto radicale delle strutture di gestione del potere, cercando di proporre meccanismi più inclusivi e trasparenti che sappiano riportare i cittadini ad un coinvolgimento attivo nella politica e alla fiducia nelle strutture di potere e rappresentanza democratica.
Fiducia che non deve assolutamente essere cieca ma basata su chiare ed esplicite dinamiche di controllo cittadino sulla politica e sui partiti.
Dare centralità ai giovani nei processi decisionali che riguardano il mondo di domani, visto che loro nel mondo di domani dovranno viverci e saranno sicuramente più motivati a migliorare le prospettive future anche a scapito di sacrifici necessari nel presente.
Insomma, ci vorrebbe un cambio che sappia riportare la politica, intesa come la vita politica nel suo complesso e non solo i partiti e le istituzioni, a logiche di consenso e farci uscire dalla rassegnazione che ci porta ad essere consumatori apatici del grande e grottesco talk show che continua nonostante tutto a decidere del futuro del paese.

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