L’accozzaglia dei miracoli

«Ai portoghesi è piaciuta la geringonça e vogliono che si continui con la soluzione politica attuale».

Nella lingua di Camões e di Manuel Rui Costa, geringonça significa “aggeggio”, “marchingegno”, “robetta”. Dal novembre 2015 il termine si elevato al rango di “accozzaglia” quando il vicepresidente dell’allora governo di centrodestra, il popolare Paulo Portas, ha per primo battezzato geringonça l’accordo fra i tre partiti della sinistra che si proponeva di mettere in minoranza l’esecutivo conservatore di Pedro Passos Coelho.

Expresso © Helder Oliveira

Non è insolito che un appellativo, inizialmente dispregiativo, venga accolto come marchio di fabbrica, come vanto da chi dovrebbe esserne umiliato. È stato così per i sanculotti francesi che non portavano i pantaloni sotto il ginocchio tipici della nobiltà nel 1789; per le teste rotonde inglesi dalla parte di Cromwell durante la guerra civile del 1642-51; per i descamisados argentini che sostenevano Peron e i barbudos cubani, compagni di Fidel Castro e Che Guevara. Nel paese dei garofani – dove una fioraia, Celeste Caeiro, offrendo garofani ai soldati, divenne il simbolo della rivoluzione incruenta del 1974 – il termine “accozzaglia” è accolto con favore dai tre contraenti del patto.

Il Partito socialista (Ps), nel nome della geringonça, nel 2015 è riuscita ad andare al governo, dando vita ad un monocolore guidato da António Costa con l’appoggio delle altre formazioni di sinistra, il Blocco di sinistra (Be) e il Partito comunista (Pc). Quattro anni dopo, questa accozzaglia continua a piacere ai portoghesi tanto da riconfermarla alle urne che lo scorso 6 ottobre hanno portato alla seconda vittoria del leader socialista.

La storia recente del Portogallo rappresenta un autentico unicum all’interno del continente. Nonostante si siano avvicendate delle compagini politiche agli antipodi, c’è stata una grandissima continuità di linea politica che ha portato il paese fuori dalla crisi economica, archiviando la troika pur rimanendo all’interno dei paletti imposti da Bruxelles, di cui è divenuto un punto fermo. Da un punto di vista delle politiche migratorie, l’Italia sembra aver trovato una sponda atlantica nel Portogallo – con un governo socialista come temporaneamente anche la Spagna di Pedro Sánchez –  nell’accoglienza e nella revisione dei meccanismi temporanei di redistribuzione per le persone salvate dalle navi delle Ong nel Mediterraneo centrale.

Il premier portoghese José Sócrates Sousa incontra Angela Merkel nel 2011, poco prima di annunciare l’adesione al piano di austerity e poco prima del crollo del suo governo © ODD ANDERSEN/AFP/Getty Images

Lo strano caso del Portogallo – dove rispetto al resto del continente la sinistra e chi governa aumentano il consenso che invece crolla per i partiti di destra – sembra avere alla base un miracolo economico.

Il paese aveva sofferto un pesante deterioramento della bilancia commerciale fra il 2001 e il 2008, arrivando a toccare un deficit superiore al 10% a causa di una bassa produttività. La crisi del 2008 ha innescato, analogamente al resto delle economie occidentali, una spirale di debito fuori controllo che ha portato all’intervento del Fondo Monetario Internazionale cui è seguita una politica di forzata di austerity. Le politiche di risanamento “lacrime e sangue” degli esecutivi, socialisti prima e conservatori poi, hanno dovuto fronteggiare una situazione drammatica da cui il paese è lentamente riemerso, fino al contesto attuale di riduzione al 3% del deficit ed al 6% di una disoccupazione che era al 17.

Nel 2015 i socialisti sono arrivati alla vittoria promettendo l’abbandono delle tanto invise politiche di austerità, salvo poi evitare di stravolgere gli indirizzi di politica economica dei governi precedenti. Senza gli azzardi o le virate di molti suoi colleghi appena saliti al governo, con grande disciplina António Costa ha mantenuto il risanamento dei conti e del fisco, preferendo proseguire un recupero economico più rapido. Tramite importanti tagli sugli investimenti pubblici, il suo esecutivo ha raggiunto il livello più basso di intervento statale della storia della democrazia portoghese. Il governo socialista non ha toccato il cosiddetto Jobs act portoghese ed ha alzato gradualmente il salario minimo, senza ripercussioni negative sul mercato del lavoro.

António Costa © Ruters

Sotto il segno della continuità – non proclamata a mezzo stampa ma effettiva – il Portogallo di Costa è comunque riuscito ad innescare la ripresa della fiducia dei consumatori, con una crescita dei consumi del 15% e degli investimenti fissi lordi (Gross fixed capital information) diretti del 32% tra il 2014 e il 2018. C’è stata inoltre una crescita piuttosto sostenuta dell’export dei prodotti del Portogallo che ha subito un boom turistico nell’ultimo decennio. Un tema di particolarmente interessante importanza per la ripresa portoghese sono le competenze umane: il 22,5% della popolazione tra i 15 e i 64 anni è laureata, nel 1995 era solo il 9,1%. Negli ultimi anni, il Portogallo nei test PISA – Programma per la valutazione internazionale dello studente, per valutare con periodicità triennale il livello di istruzione degli adolescenti dei principali paesi industrializzati – ha ottenuto risultati superiori alla media Ocse (e infinitamente migliori dell’Italia).

La geringonça e nata da uno storico accordo, un atto rivoluzionario perché dopo quasi 40 anni poneva termine all’implicita conventio ad excludendum nei confronti del Partido Comunista Português (Pcp), prima, e del Bloco de Esquerda (Be) poi. Per tutti e quattro gli anni, i due partiti della sinistra radicale hanno fornito appoggio esterno al governo, sena avere ministri ma votando quasi sempre le leggi proposte dai socialisti. Pur rispettando i parametri della troika – che nel 2011 concesse al Portogallo 78 miliardi di prestito, in cambio di pesanti riforme – Costa ha ristabilito la tredicesima e gli scatti d’anzianità per i dipendenti pubblici, reintrodotto alcuni giorni di festa nazionale, cancellato la sovrattassa sui redditi personali, abbassato l’Iva al 13 per cento per molti prodotti alimentari, alzato il salario minimo garantito da 557 a 580 euro al mese.

Secondo Pacheco Pereira, ex vice presidente del Parlamento Europeo, intervistato dall’Espresso, «ciò che è cambiato con questo governo è soprattutto il linguaggio politico: non si dice più alla gente che viviamo al di sopra delle nostre possibilità, non si parla più della necessità di fare sacrifici. Ed è soprattutto questo a fare la differenza». Il pragmatismo vincente di António Costa sembra trovare conferma in questi giorni dopo l’affermazione alle elezioni del 6 ottobre: nonostante l’astensione record – oltre il 45%, con circa mezzo milione in meno di votanti rispetto a 4 anni fa – il Ps ha guadagnato 4 punti, passando dal 32 al 36%, mentre Be si è attestato al 10 ed i comunisti hanno perso due punti – dall’8 al 6%. Il premier ha già giurato insieme ai suoi ministri, con cui guiderà un esecutivo di minoranza, incassando l’appoggio “caso per caso” degli altri partiti di sinistra.

L’esperimento che va avanti da 4 anni, punta dunque ad arrivare al 2023. Non sarà propriamente un miracolo economico, ma ai portoghesi la geringonça continua a piacere.

Classe 92', fondatore e direttore di The Pitch. Stefano vanta una laurea in Storia, una in Relazioni Internazionali, oltre a innumerevoli esperienze lavorative sottopagate. Sogna di commentare un’elezione presidenziale negli USA e il Fano in Serie B: ambedue da direttore di The Pitch.

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