L’Afghanistan tra crisi migratoria e catastrofe umanitaria

L’APPELLO DELLE NAZIONI UNITE

Secondo quanto riportato da fonti delle Nazioni Unite a fine 2021 l’Afghanistan sta attraversando una crisi senza precedenti e solamente il 2% della popolazione ha accesso a una quantità sufficiente di cibo. Nei giorni scorsi le stesse Nazioni Unite hanno lanciato un appello ai donatori internazionali per la raccolta di 5 miliardi di dollari da destinare all’Afghanistan per tamponare la catastrofe umanitaria: si tratta della richiesta di aiuti per un singolo paese più alta nella storia dell’organizzazione. Il denaro sarebbe destinato in gran parte agli afghani rimasti nel proprio paese (si stima che 700.000 persone abbiano dovuto lasciare la propria casa durante i combattimenti dello scorso anno, che si aggiungono ai circa 3 milioni di sfollati interni causati dalla guerra negli anni precedenti), ma anche agli oltre 2 milioni di rifugiati che vivono in Pakistan e in Iran

Martin Griffiths, coordinatore per gli aiuti umanitari delle Nazioni Uniti, ha invitato la comunità internazionale a agire in fretta e a “non sbattere la porta in faccia al popolo afghano”. Già negli scorsi mesi, prima dell’arrivo dei talebani, una delle peggiori siccità degli ultimi decenni aveva creato gettato nella disperazione i contadini di un paese la cui popolazione vive soprattutto in aree rurali. Con l’arrivo dell’inverno le temperature arrivano oltre i meno 12 gradi, e in queste condizioni la situazione peggiora di giorno in giorno, con milioni di persone che vivono senza riscaldamento o senza coperte. Molti villaggi di alta quota rischiano di rimanere isolati per via delle nevicate e l’invio di aiuti è quanto mai urgente. 

UN’ECONOMIA FRAGILE E DIPENDENTE DALL’ESTERO

Esiste un dato strutturale alla base della catastrofe afghana: i vent’anni di controllo statunitense e occidentale del paese hanno creato un sistema economico fragile e incosistente che dipende quasi totalmente dai donatori stranieri. Il rapido collasso delle istituzioni e il ritorno al potere dei Talebani hanno creato le condizioni per il disastro economico. L’imposizione di nuove sanzioni e il congelamento dei capitali all’estero hanno bloccato i flussi di denaro, e nel prossimo anno è attesa una contrazione del 40% nel prodotto interno lordo. 

Lo scorso mese, con una decisione del Consiglio di Sicurezza Onu, sono state rimosse le sanzioni finanziarie dagli aiuti umanitari. Le migliori condizioni di sicurezza sul campo e le condizioni finanziarie più favorevoli, secondo Griffith, potrebbero facilitare l’invio degli aiuti: il denaro invocato nei giorni scorsi supera di tre volte il totale dell’assistenza richiesta dalle Nazioni Unite nell’intero 2021.

An Afghan shopkeeper stands next to his shop on the outskirts of capital Kabul, Afghanistan, Thursday, Jan. 9, 2014. Afghanistan experiences cold winters, and the slow pace of development and soaring cost of living in the country have made life more difficult for the locals. (AP Photo/Massoud Hossaini)

MILIONI DI AFGHANI VIVONO FUORI DAL PAESE

Secondo gli ultimi dati di UNHCR, sono 2,6 milioni i rifugiati afghani nel mondo, e di questi 2,2 milioni sono registrati in Iran e Pakistan. Numeri che andrebbero, con ogni probabilità, ritoccati considerevolmente verso l’altro. La stessa UNHCR nei mesi scorsi ha invitato i paesi europei a mantenere aperti i propri confini in vista di una possibile nuova ondata migratoria legata alla crisi umanitaria in corso nel paese. La risposta dell’Europa ancora una volta non è stata compatta. La crisi migratoria del 2015, che aveva colto di sorpresa i paesi europei, ha portato alla firma dei contestatissimi accordi con la Turchia di Erdogan dell’anno successivo. La strategia per l’esternalizzazione dei confini dell’Unione Europea è ancora in corso sia con il governo di Ankara che con la guardia costiera libica, e la priorità per Bruxelles è quella di evitare una nuova massiccia ondata migratoria.

Da agosto 2021 i paesi europei hanno evacuato dal paese circa 28.000 rifugiati afghani che sono stati smistati in 24 dei paesi membri dell’UE. Nelle scorse settimane il commissario di UNHCR Filippo Grandi ha espresso preoccupazione gli oltre 80.000 afghani che si trovano nei paesi immediatamente esterni al blocco europeo e che hanno bisogno di essere ricollocati A dicembre è stato quindi un raggiunto un nuovo accordo per l’arrivo di altri 40.000 afghani, metà dei quali destinati alla Germania, seguita con numeri più bassi da Olanda, Spagna e Francia. A sua volta l’Italia ha annunciato l’ingresso nel paese di 1200 rifugiati afghani attraverso un corridoio umanitario. 

Gli sforzi europei non sono sufficienti a risolvere il problema: il mantenimento degli accordi con la Turchia rende Bruxelles complice delle morti dei migranti che, scappando dalla catastrofe umanitaria del proprio paese, rimangono bloccati nel gelo nelle aree di confine. Ankara ospita più di 180.000 afghani, e già dallo scorso agosto il governo turco ha avviato la costruzione di un muro alla frontiera orientale con l’Iran. Inoltre, la crescente xenofobia nei confronti dei milioni di siriani che da anni vivono nel paese e la devastante crisi della lira turca rendono impensabile che in futuro la Turchia possa essere vista come un partner sicuro e affidabile nei contenimenti dei flussi migratori.

LA STRATEGIA OCCIDENTALE E I POSSIBILI CONTRACCOLPI

L’intransigenza dei paesi occidentali nei confronti dei Talebani sul lungo periodo può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Per ora, il rifiuto di ogni dialogo con l’Emirato Islamico ha contribuito a creare la catastrofe umanitaria nel paese e a trascinare nella fame milioni di persone. La repressione delle libertà messa in campo dai Talebani non fa che legittimare la scelta occidentale di fare muro contro muro. Le riforme riguardanti lo status delle donne nel paese continuano a ledere le libertà più basilari e a gettare il paese in un’atmosfera medioevale. 

Le considerazioni di natura politica, tuttavia, celano come sempre scopi meno nobili che hanno a che fare con gli equilibri regionali. Gli strumenti economici vengono usati per colpire il regime nella speranza di farlo crollare, creando ulteriore caos nel paese a danno di Russia e Cina, o per farlo cedere e costringerlo ad aperture. Come dimostra il recente esempio della Siria, lo strumento delle sanzioni non è di per sé sufficiente a far collassare le istituzioni e non fa altro che creare ulteriori polarizzazioni. 

Nel caso dell’Afghanistan il rischio è quello di assistere a un rafforzamento del traffico di oppiacei, di cui il paese è il maggiore esportare al mondo, e che le fasce più disperate della popolazione vadano ancora una volta a riempire le fila del mai morto sedicente Stato islamico. Mentre le Nazioni Unite cercano di lanciare il più grande programma di aiuti della storia e l’ex premier laburista Gordon Brown (ora ambasciatore alla WHO) sulle colonne dei principali quotidiani britannici chiede all’Occidente di non voltare le spalle alla popolazione, non occorre ricordare i meccanismi perversi che negli scorsi decenni hanno favorito l’ascesa delle forze islamiste in Asia centrale. All’alba del 2022 e nel mezzo di una pandemia, la scelta di anteporre le questioni di carattere umanitario agli interessi strategici potrebbe essere dettata dal buon senso ancor prima che dalla morale.

Classe 1989. Ho studiato scienze politiche e cooperazione internazionale. Appassionato di montagna e di sport, seguo e studio la realtà mediorientale

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