L’omicidio di Carol Maltesi

Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo dell’omicidio di Carol Maltesi.

Il cadavere della donna, conosciuta anche con il nome d’arte di Charlotte Angie, è stato ritrovato il 20 marzo, ma era già deceduta da più di due mesi. Il responsabile della sua morte è Davide Fontana, vicino di casa con cui la donna ha avuto una relazione in passato. Il delitto è forse avvenuto mentre i due stavano girando dei video erotici. Maltesi, infatti, era una sex worker e Fontana, per non destare sospetti, ha nascosto il cadavere prima di cercare di liberarsene. Dopo essere stato interrogato, ha confessato il crimine.

Come ne ha parlato la stampa italiana? Il Corriere della Sera sceglie di fare un profilo della vittima, indagandone anche i particolari più personali, come l’indirizzo che viene esplicitato e reso pubblico. Si dice inoltre che non si è mai nascosa, ma “ha vissuto due vite molto diverse”, creando una dicotomia tra il lavoro come commessa e quello come sex worker. Sempre in questa direzione si muove la scelta di evidenziare le scuole frequentate durante l’adolescenza: le ex Orsoline. C’è un’attenzione morbosa nei confronti della sua vita.

Dell’omicida non si dice molto. Attraverso le parole dei vicini di casa si compie una descrizione da manuale: “i due non litigavano mai”. Un classico che mostra l’evento tragico come un’eccezione impensabile e non il frutto di una cultura diffusa: quella dello stupro.

Libero sceglie invece di percorrere la strada della pornografia del dolore. Il titolo annuncia “la terrificante confessione del killer” e il corpo del testo presenta una dettagliata e morbosa descrizione dell’evento tragico visto attraverso la prospettiva di Fontana. La sua voce, l’unica validata e posta al centro della narrazione, dipinge i momenti più scabrosi ma senza comprenderne le ragioni. L’assassino si mostra inconsapevole, guidato da un impulso, un raptus omicida. E quindi meno colpevole.

Fontana, inoltre, viene costantemente chiamato “il bancario”, mentre Maltesi è l’attrice hard. Un’asimmetria lavorativa trasformata in differenza sociale. Dopo le percosse, anche l’ultimo gesto dell’uomo, l’omicidio, viene raccontato attraverso la sua prospettiva: “Mi è sembrato un atto di pietà, vedevo che stava soffrendo”.

Il Fatto Quotidiano decide di unire componenti diverse. Il titolo risulta ricco di pathos nel momento in cui si legge “fatta a pezzi e buttata in un dirupo”. Viene però anche utilizzato il termine più adatto a delineare la vicenda: femminicidio. Maltesi viene costantemente nominata come “attrice hard”. La parola pornografia è completamente assente perché probabilmente vista come sconveniente.

L’articolo si conclude con la trascrizione delle storie Instagram fatte da Maltesi sulla violenza di genere in occasione del 25 novembre. Dichiarazioni che, alla luce della vicenda in cui è stata coinvolta, risultano di grande impatto.

Infine Fanpage pone al centro della narrazione l’esperienza di Fontana. Già dal titolo si nota questa strategia comunicativa: “Disposta la massima sorveglianza in carcere per l’assassino di Carol: ‘È molto provato’”.

La vittima viene identificata solo attraverso il nome, sminuendo la sua identità e vicenda. Dell’omicida, invece, si dice che “ha ammesso le sue responsabilità perché si voleva liberare di un peso”. L’articolo si interroga su come Fontana abbia vissuto nei due mesi tra l’omicidio e il ritrovamento del cadavere. Sostanzialmente in una sorta di normalità: ha continuato a lavorare e a fingersi Maltesi, scrivendo al suo posto sul cellulare e sui suoi social.

In generale della vittima si cita costantemente la professione di sex worker – seppur con altre denominazioni – perché rassicura chi legge, scarica su di lei parte della colpa della vicenda. Il nome proprio addirittura scompare davanti a quello professionale, usato però per delegittimarla. Dalla narrazione della stampa italiana Maltesi sembra morta per il suo lavoro, non per la cultura dello stupro. Strategie comunicative che, inoltre, non rispettano il Manifesto di Venezia per una corretta informazione sulla violenza di genere.

Leggo, scrivo e ne parlo. Sono una giornalista, un'insegnante. Mi occupo di diritti e conduco il podcast Cristianə a chi?

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