L’uomo dietro Guardiola

Alfred: «Perché cadiamo, signore? Per imparare a rimetterci in piedi.»
Batman: «Tu non ti arrendi mai con me…»
Alfred: «No, mai.»
[Batman Begins]

Batman Begins, di C. Nolan

Mentre la villa della famiglia Wayne viene invasa dalle fiamme, Bruce è schiacciato da una trave, dolorante. Solo grazie al soccorso di Alfred riesce a liberarsi e raggiungere l’ascensore, che li porterà in salvo fino alle fondamenta della casa, il luogo dove Bruce diventa Batman. Il personaggio di Alfred è l’archetipo del mentore: saggio, nobile, colui che aiuta l’eroe a trovare la strada da percorrere. Il mentore svolge una funzione, più che un compito. Il volto di Michael Caine durante tutta la trilogia di Nolan è forse la rappresentazione più piena della figura; paterno, ma rigoroso, guida, ma non padrone, l’unica in cui la personalità tormentata di Batman riesce a trovare ristoro e consiglio.

Il 21 novembre 2001 Pep Guardiola è positivo al Nandrolone. La notizia gli arriva un mese dopo il test antidoping effettuato al termine di un Brescia–Piacenza. Non si dà pace: prima chiede le controanalisi, poi chiama Ramon Segura, il fisiologo che gli prepara i complessi vitamici, infine chiede consiglio ad altri giocatori che hanno vissuto la stessa esperienza, tra cui De Boer, Stam e Davids. Per ultimo, ma non meno importante, chiama Manel Estiarte, che gli presenta l’uomo che in seguito sarà il suo avvocato. Finisce per scontare 4 mesi di sospensione.

Una pigra domenica di inizio autunno Guardiola è a casa, sul divano, Estiarte lo chiama da Pescara, dove ha giocato e vive, per dirgli che il televideo sta mostrando una notizia, o meglio la notizia: Guardiola è stato assolto. Quando Estiarte pubblica la sua biografia, la prefazione, scritta da Guardiola, recita così: «Non so se esistono gli angeli, e tanto meno gli angeli custodi, ma se esistono, tu sei uno di loro». Sette anni dopo Guardiola è assolto, ma mentre la sua casa bruciava, Estiarte gli è stato a fianco, ha preso la sua mano e lo ha portato in salvo. Ogni Batman ha bisogno del suo Alfred.  

Manel Estiarte

«Di me si è detto che nuoto come un delfino, che sono un animale acquatico, che sono nato per l’acqua, ma l’acqua non mi era mai piaciuta». Spesso la retorica del successo, soprattutto quando si trasforma in mito, si riduce a sillogismo: una cosa è come è e non potrebbe essere altrimenti. Ma Manel Estiarte non nuota perché è nato per nuotare

Alcune immagini della carriera di Manel Estiarte.

Catalano a partire dal nome, Manel, senza “u” e Culé di nascita, ricordato spesso come il “Maradonadella pallanuoto, ha sempre voluto esserne ilCrujiff“. Ultimo di tre figli, entrambi i fratelli conducono la loro vita in vasca: Rosa ha partecipato alla staffetta stile rana delle Olimpiadi di Montreal, mentre Albert si dedica alla pallanuoto fino al momento degli studi universitari per poi diventare medico della nazionale di pallanuoto spagnola. Tutti e tre crescono nel Club Natació Manresa. La leggenda, riportata dalla madre, narra che a seguito dei frequenti pianti del giovane Estiarte, l’allenatore dell’epoca lo abbia letteralmente lanciato in acqua, e lì, l’epifania: «Ho pianto fino a che ho compreso che galleggiavo. La conseguenza: il Club Natació Manresa è diventato il club della mia vita».

Il suo primo allenatore, Josep Claret, il quale era solito passarlo a prendere a casa la mattina presto, disse ai genitori: «Vostro figlio è bravo nel nuoto, e non so dove potrà arrivare, ma sono sicuro che nella pallanuoto non ha limiti; io imparo da Manel e lui ha tredici anni». Quando ha 15 anni, si rompe un dito della mano, cosa che gli impedisce di partecipare alla gara che si sarebbe dovuta tenere da lì a poco. Josep Brascó, selezionatore nazionale, vede qualcosa in Estiarte, lascia a casa giocatori più esperti, e lo porta ai campionati europei di pallanuoto. Riceve molte critiche, ma senza saperlo inaugura la carriera del più forte pallanuotista di sempre

Un giovane Manel Estiarte alla piscina di Patrasso (Grecia), in occasione del Torneo Internazionale di Patrasso in preparazione ai Giochi Olimpici di Mosca 1980. – © Tumblr

A livello di club, il percorso di Estiarte segue una curva crescente che, partendo da Manresa, arriva fino a Pescara. Nella città natale sogna di giocare col fratello, a Barcellona con l’idolo Joan Jané e a Pescara perché, nonostante partisse dalla seconda divisione, il lustro del campionato era immenso. Quando arriva l’offerta da club italiano, però, Estiarte storce il naso, si considera un giocatore troppo affermato per scendere di categoria, nonostante l’importanza dell’Italia nel panorama pallanuotistico.

Decide comunque di ascoltare la società che si è offerta di pagargli il viaggio. Atterra, e lo staff del Pescara prima lo porta a mangiare e poi a fare un giro della città insieme al padre e al fratello. Finalmente arriva nella sala riunioni della società: l’offerta del presidente è il triplo di quella che i tre si immaginavano. Il tempo di far apparire una penna e tutto viene formalizzato nero su bianco. Il primo anno la promozione, il secondo la finale e il terzo la vittoria dello scudetto. Ma soprattutto, Pescara è il luogo dove Estiarte conosce sua moglie, Pescara diventa casa. Quando torna a Barcellona, nel 2008, il conto recita 23 anni in Spagna e 24 in Italia.

L’amicizia con Guardiola

Al termine della stagione 1991/1992 il Barcellona vince la sua prima Coppa dei Campioni contro la Sampdoria di Vialli e Mancini. Meno di un mese dopo, complice la sorprendete sconfitta del Real Madrid a Tenerife, completa il doblete con la vittoria della Liga. Quando Guardiola esce dallo spogliatoio, bagnato da un misto di acqua e champagne, incontra Estiarte per la prima volta. Il loro rapporto viene coltivato durante l’estate dello stesso anno, grazie alle Olimpiadi ospitate dalla Spagna. Guardiola disputa la finale di calcio l’8 agosto, Estiarte quella di pallanuoto il giorno successivo. 

La Roja olimpica si impone sulla Polonia per 1–0 al Camp Nou, Guardiola festeggia in giro per il villaggio olimpico tutta la notte; nel mentre Estiarte è nella sua stanza e non riesce a dormire. Il giorno seguente perde la sua prima finale olimpica, la prima disputata dalla Spagna in assoluto, contro l’Italia, la sua seconda casa, la nazione dove si è consacrato.

A sinistra Francisco Miguel Narváez, conosciuto come Kiko (n. 19), autore di una doppietta; a sinistra Pep Guardiola (n. 9). Spagna vs Polonia, 8 agosto 1992. Finale dei Giochi Olimpici di Barcellona 192.

Entrambi catalani, Guardiola di Santpedor, Estiarte di Manresa, sono separati da meno di 10 chilometri. Il giornale locale fissa un appuntamento il giorno seguente per fotografarli con le medaglie: Estiarte arriva puntuale, con gli occhi ancora gonfi e la medaglia d’argento trascinata come un fardello; Guardiola si presenta in ritardo, sventolando l’oro in direzione dell’altro: «Tu nei hai disputate quattro [di Olimpiadi] per arrivare secondo, io alla mia prima ho già vinto». Da quell’estate in avanti saranno inseparabili

Estiarte si ritira dalla pallanuoto al termine delle Olimpiadi di Sidney nel 2000, dopo aver vinto la precedente edizione ad Atlanta. Per sei anni fa parte del Comitato Olimpico Internazionale. Nei due anni successivi si ritira a Pescara, senza ricoprire alcun ruolo nello sport della sua vita. Durante l’estate del 2008 riceve una telefonata: è il presidente Laporta. La società sta pensando ad un nuovo corso e vuole che Estiarte sia tra i protagonisti. Poco dopo lo chiama anche Guardiola; lo staff del nuovo Barça sta prendendo forma.

Il lavoro nel calcio

Manel Estiarte, come il mentore, non svolge un ruolo, ma una funzione: responsabile delle relazioni esterne a Barcellona, assistente di Guardiola (senza figurare tra i componenti dello staff e con retribuzione a carico di Guardiola stesso) a Monaco e, nuovamente, assistente del tecnico a Manchester.

Nella serie Amazon All or Nothing: Manchester City, a Guardiola viene chiesto chi è per lui Manel Estiarte: «Un amico, un amico, un amico». Quando parla di lui gli occhi si illuminano di una luce sincera, di reale ammirazione, nonostante Guardiola elogi tutti. L’allenatore del City, a fronte di un numero pressoché infinito di estimatori, ha anche qualche detrattore, tra questi diversi suoi ex giocatorii: Ibrahimović, Eto’o, Ribery e Yaya Toure. Il problema principale è sempre sembrato la mancanza di comunicazione tra questi e il tecnico. Ed è qui che Estiarte disvela se stesso, nelle relazioni con i giocatori, ognuno diverso, con le sue esigenze.

Il trailer di “All or Nothing: Manchester City“, la serie disponibile su Amazon Prime Video che racconta i dietro le quinte della stagione 2017/2018 dei Citiziens.

Se Guardiola vive, respira, mangia e dorme calcio e, come ha sottolineato Müller, «trascorre la giornata chiedendosi come spostare i giocatori di due o tre metri per trovare la soluzione perfetta», Estiarte è il rovescio della medaglia, è l’output emotivo che coltiva le relazioni con i calciatori. L’ultima iniezione di forza, di coraggio, di buon augurio, l’ultimo abbraccio di Guardiola prima di entrare in campo è con Estiarte. Se qualcuno si domanda quale sia il nesso tra un ex pallanuotista e il calcio, Guardiola è chiaro: «Capisce lo spogliatoio, perché è stato uno tra i migliori atleti di sempre. Ha la percezione e la comprensione di molte cose che non riuscirei a vedere e captare da solo».

Il 14 febbraio 2020 la UEFA esclude il Manchester City dalle coppe europee per due stagioni. L’eco della notizia è travolgente: se confermata, potrebbe stravolgere profondamente le gerarchie del calcio europeo. Cinque mesi dopo, il TAS si pronuncia, ribaltando la situazione e dando ragione al City. Manel Estiarte pubblica una foto su Instagram per celebrare la notizia: Guardiola in primo piano ed Estiarte alla sua destra, il volto tagliato dall’inquadratura. Pochi minuti dopo, forse per le troppe interazioni, la foto viene eliminata. Manel Estiarte torna dietro le quinte, dove è sempre stato, prendendosi cura di Guardiola come Alfred con Batman.

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