Megan Rapinoe: la rivoluzionaria del calcio statunitense

Con “Donne Sportive”, The Pitch vuole aprire ed approfondire una finestra che da troppo tempo non viene illuminata. Lo sport femminile per decenni ha dovuto subire discriminazioni immotivate che hanno terribilmente limitato la crescita di questo ambito. Le differenze, come vedremo nei vari racconti, sono sempre state enormi andando a minare i sani valori che lo sport offre da secoli. Nonostante ciò, la figura della donna nel mondo sportivo ha regalato delle storie da brividi che proviamo umilmente a raccontare. La protagonista di oggi è Megan Rapinoe, una delle calciatrici più vincenti di sempre della storia mondiale. Si è fatta notare a suon di goal e carisma, ma fuori dal campo la sua vita è stata caratterizzata da battaglie sociali di rilevanza storica. Dalle due Coppe del Mondo all’Equal Pay Act: la storia della giocatrice rivoluzionaria.

Anche la storia di Megan Rapinoe, come quella di Billie Jean King, inizia in California, più precisamente a Redding, anche se nella centrocampista dell’OL Reign scorre un po’ di sangue italiano. Suo padre, infatti, ha origini abruzzesi ed il cognome dovrebbe essere Rapino (poi adattato all’ambiente americano). E chissà che non sia proprio il DNA del Bel Paese ad averle trasmesso il carattere fumantino. L’unione con la liberale West Coast ha dato vita ad una delle sportive più influenti della storia recente.

La famiglia Rapinoe

Seppur nata e cresciuta in California, regione tradizionalmente democratica, la calciatrice ha vissuto in una famiglia conservatrice. Ciò l’ha portata anche a scagliarsi contro il padre, sostenitore dell’acerrimo rivale, Donald Trump. Le sua battaglie iniziarono già ai tempi del college, quando scoprì di essere lesbica insieme alla sua sorella gemella Rachael Rapinoe.

Le due hanno sempre avuto un legame molto stretto, anche grazie allo sport. Iniziano a dare i primi calci ad un pallone insieme, alla tenera età di 4 anni. Per Rachael la carriera non sarà molto prolifica, ma insieme alla sorella diventerà proprietaria del Rapinoe FC, uno shop online di materiale sportivo per bambini. Se la sorella accolse il coming out come un sollievo, i genitori non furono dello stesso parere: entrambi reagirono male a quella dichiarazione, anche se con il tempo impararono ad accettarla.  

Megan Rapinoe racconta come il coming out sia stato liberatorio.
in “Living The Truth“, ESPN.

In famiglia, Megan aveva anche un’altra “ancora di salvataggio”: suo fratello maggiore Brian. Anche lui calciatore, ma dal destino infausto. La giovane promessa del calcio maschile statunitense entrò pesantemente nel giro della droga. Fortunatamente ora ne è uscito, ma questi eventi segnarono profondamente Megan, tanto che il suo taglio di capelli, il suo primo numero e la fascia del campo sono direttamente collegate a lui. 

Un aspetto che comunque ha saputo sfruttare per fortificare il suo carattere. Già in adolescenza si sentiva al centro dell’attenzione calcistica grazie al suo impressionante talento. A 14 anni fu inserita nel programma di sviluppo olimpico della California facendo vedere giocate fuori dal normale. Per farvi inquadrare la calciatrice, nei primi anni del liceo giocava con un club professionistico piuttosto che con la squadra della scuola, come da consuetudine americana. 

Le battaglie sociali

La prima volta che lo sport incrociò la sua vita privata fu al debutto olimpico. A Londra 2012, competizione vinta da assoluta protagonista, fece ufficialmente coming out a mezzo stampa. Un atto di coraggio che venne preso con molto entusiasmo, non solo dalle compagne, ma anche dalle giovani statunitensi, che vedevano in lei la beniamina senza paura fuori dal rettangolo di gioco e fenomenale nel mezzo.

Fu nel 2016, però, che per la prima volta scese veramente in campo nel sociale. In quel periodo sotto i riflettori c’era l’iniquità razziale che imperversava negli Stati Uniti. Dopo l’ennesimo omicidio delle forze dell’ordine ai danni di un giovane ragazzo innocente, Colin Kaepernick decise di inginocchiarsi con il pugno alzato chiuso durante l’inno americano. Un gesto che venne subito censurato dalla governance della NFL (la massima lega di football americano), che arrivò a cacciare il giocatore

Megan Rapinoe si schiera a sostegno della battaglia di Colin Kaepernick, diventando la prima atleta bianca ad inginocchiarsi. – Fonte: Twitter

L’azione di Kaepernick venne subito condannata dall’allora neo-presidente Donald Trump, che proprio in quell’occasione ebbe il primo scontro con Megan Rapinoe: la giocatrice simbolo della nazionale di calcio femminile fu la prima atleta bianca ad inginocchiarsi. Nonostante le numerose reazioni negative, la protagonista del racconto di oggi non si è mai pentita. In seguito, in un’intervista al The Player’s Tribune, ha affermato che protestare è un segno di responsabilità, soprattutto per chi è in grado di influenzare le persone che ha intorno.

L’amore di Sue Bird

Il 2016 fu un anno difficile per la giocatrice che usciva dalla terza rottura del crociato e doveva riconquistare il posto in nazionale. Come ammise, la sua consapevolezza non fu mai così bassa come in quel periodo. Ma ci fu una persona che entrò nella sua vita e l’aiutò a risollevarsi: Sue Bird. Una delle future protagoniste dei nostri racconti si incontrò con Rapinoe ai Giochi Olimpici di Rio 2016, dove ebbe inizio la loro storia d’amore.

Il bacio tra Megan Rapinoe e la sua fidanzata Sue Bird, dopo la vittoria dell’oro olimpico di basket a Tokyo 2020 di quest’ultima. – Fonte: Twitter

Tra Megan Rapinoe e Donald Trump – è evidente – non è mai corso buon sangue. Ma il declino dell’invito alla Casa Bianca della nazionale femminile di calcio, dopo la vittoria dei Mondiali di Francia 2019, non andò giù al Presidente, che con un tweet al veleno ha definito la squadra come «un gruppo di estremiste radicali di sinistra» dopo il terzo posto di Tokyo. In difesa della sua futura moglie, Sue Bird ha scritto un articolo al veleno, mettendo a tacere ogni critica. 

Tornando ai meriti sportivi, la classe 1985 in tutto questo trambusto sociale ha vinto due Mondiali, un’Olimpiade ed un Pallone d’Oro. Un palmarès spaziale che inquadra una giocatrice formidabile dentro al campo. Anche se, come disse una volta Gino Bartali, «certe medaglie non si appendono alla giacca».

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