Monologhi della vagina, il caso Yulia Tsvetkova

Il 2019 è stato un anno di fuoco per l’artista russa Yulia Tsvetkova. La sua opera “Monologhi della vagina”, una serie di disegni stilizzati pubblicati sui social network nel marzo 2019, l’ha trascinata in un vortice giudiziario, di parvenza kafkiana. L’accusa è di “produzione e diffusione di materiale pornografico”.

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Ispirati all’omonimo opera teatrale della  regista statunitense Eve Ensler, i “Monologhi della vagina” di Yulia Tsvetkova muovono la battaglia personale dell’artista in favore dell’emancipazione del corpo femminile, confluendo nel movimento oggi diffusissimo del Body Positivity. L’aspirazione a riconfigurare i canoni della bellezza tradizionale,  innalzano a protagonista indiscussa l’organo femminile per eccellenza: la vagina.

In una realtà come quella russa, che incoraggia a ispirarsi al valore della famiglia tradizionale, in cui vige un forte sistema di censura sul tema della sessualità, l’arte provocatoria della Tsvetkova è stata subito bollata come scandalosa e scabrosa da parte delle autorità giudiziarie, al punto che l’artista rischia sei anni di carcere.

Ma facciamo un passo indietro per ricostruire meglio la vicenda.In primo luogo bisogna chiedersi: chi è Yulia Tsvetkova?

Yulia Tsvetkova https://twitter.com/PENamerica

È un’artista russa classe 1993, originaria della cittadina di Komsomolsk-On-Amur, nella Siberia orientale (quella zona del paese che per intenderci ospitava la maggioranza dei gulag). Da anni Tsvetkova è attivista nella lotta per la difesa dei diritti delle donne e per la comunità LGBT. Organizza  convegni e promuove corsi di educazione sessuale, materia bandita dalla scuola russa.

L’inizio della sua persecuzione giudiziaria si deve a due spettacoli, messi in scena all’inizio del 2019 dalla compagnia teatrale Merek, di cui l’artista è direttrice.
La trattazione di temi scottanti come stereotipi di genere e militarismo, in barba all’imperante conservatorismo in cui annega il paese, hanno messo immediatamente all’erta le autorità russe.

Costretta a cancellare il Festival delle arti della gioventù, accusato di essere un Gay Pride camuffato, l’artista russa ha fatto appello ai media per denunciare l’interferenza dello Stato russo, ricorrendo al diritto di espressione.

valigiablu.it

Ma Yulia Tsvetkova non si è lasciata fermare dalle minacce e, senza scendere a compromessi con il potere, ha lanciato sui social network la sua personale battaglia contro il conservatorismo benpensante. Nel marzo 2019 ha lanciato i “Monologhi della vagina”. Le immagini di vagine stilizzate, dai colori sgargianti, riprese in modo anatomico hanno destato subito scandalo, repulsione e proteste.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è caduta il 22 novembre 2019, Tsvetkova è stata messa agli arresti domiciliari per quattro mesi. Misura che è stata revocata solo in seguito alla pressante azione di denuncia da parte dell’opinione pubblica internazionale che riconosce all’artista lo status di “prigioniera di coscienza”.

Ad oggi l’attivista non può lasciare il suo paese, a causa delle restrizioni al viaggio impostele dalle autorità. Riferendosi all’accusa di pornografia per i suoi disegni, l’artista russa commenta: “So che cos’è la pornografia e non è quella”.

L’affetto dimostrato alla causa dell’artista non si è limitato alle lotte da parte delle associazioni come Amnesty International e la ONG russa Memorial che hanno lanciato una petizione per la difesa dell’artista che ha già raccolto 240.000 firme ma si è trasformato in un abbraccio virtuale all’artista da parte del mondo social.
Migliaia di donne hanno postato sul proprio profilo fotografie del proprio corpo o di frutti e oggetti di uso quotidiano che richiamavano la forma della vagina sotto la didascalia: “Il mio corpo non è pornografia”.

Protesta per Yulia Tsvetkova a San Pietroburgo. © Eva Tsvetkova

L’eco internazionale che ha riscontrato il suo caso è un motivo di forza per l’artista Yulia Tsvetkova che non si fa scoraggiare nonostante abbia dichiarato in un’intervista: “Sto cercando di non perdere la speranza, ma in Russia solo l’1 % dei casi è assolto. Questo significa che ho solo l’1% [di possibilità] di essere prosciolta”.

Già il 27 giugno 2019, Giornata nazionale della gioventù in Russia, più di 50 agenzie di stampa hanno organizzato lo “sciopero dei media per Yulia”, con l’obiettivo di fermare il procedimento giudiziario.

Nel gennaio 2020 per un disegno raffigurante la famiglia di due genitori dello stesso sesso sotto lo slogan “La famiglia è dove c’è amore. Sostieni le famiglie LGBT!”, Yulia Tsvetkova è stata anche accusata di “Propaganda omosessuale” secondo la controversa “legge anti-gay” approvata in Russia nel 2013, giudicata come omofoba nel 2017 dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo. I rapporti tra la Federazione Russa e la Corte Europa dei Diritti dell’uomo, già dal lontano 2007, pare non sembrino essere idilliaci. La Federazione Russa fu accusata quell’anno di ben 8 gravi violazioni dei diritti umani: omicidio, tortura e sparizione di civili.

Secondo un sondaggio condotto dal Centro russo per lo studio dell’opinione pubblica (noto come VTsIOM) nel giugno 2013, più del 90% degli intervistati era a favore della “legge anti-gay”. Il presidente della rete LGBT russo Igor Kochetkov ha dischiarato che la legge: “[ha] essenzialmente legalizzato la violenza contro le persone LGBT”.

La linea di fermezza perseguita dal governo russo si è fatta sentire subito dopo l’approvazione della legge, a cui sono seguiti arresti e ingenti multe da pagare per attività illecita di propaganda omosessuale: l’attivista 24enne Dmitrij isakov è stata arrestata in Kazan per aver esibito in pubblico un cartello con la scritta “Libertà ai gay e alle lesbiche di Russia” così come, nel dicembre 2013, gli attivisti Nicolay Alexeyev e Yaroslav Yevtushenko sono stati multati di 4000 rubli per aver fatto sventolare fuori da una biblioteca per bambini uno striscione che riportava le parole: “I gay non sono fatti, sono nati!

L’opera-condanna “Monologhi della vagina” e i disegni di “propaganda omosessuale” diventano un manifesto di denuncia contro i regimi monoculari, dispotici e oppressivi che intendono la libertà di espressione e il racconto artistico della diversità come un atto di terrorismo da contenere, neutralizzare e distruggere.

Una guerra che si è sempre combattuta nella storia dell’arte sul piano ideologico. Pensiamo allo scandalo suscitato dall’opera “indecente” di Édouard Manet “Colazione sull’erba” in cui una donna di estrazione borghese vive tranquillamente la sua nudità alla presenza di due uomini (bisogna pensare che ai tempi di Manet la nudità nella rappresentazione artistica era permessa solo nel trattamento di soggetti mitologici, storici e letterari) oppure alla prigionia forzata a cui è stato sottoposto l’artista austriaco Egon Schiele accusato per i suoi disegni di impattante erotismo, parimenti come l’artista russa Yulia Tsvetkova, di pornografia.

The Great Wall of Vagina https://www.facebook.com/thegreatwalll

Nell’arte contemporanea il tema della ribellione all’omologazione è diventato ormai quasi obsoleto, e sembra impensabile concepire la persecuzione mossa dal governo russo all’arte di Yulia Tsvetkova se pensiamo ad opere come “The great wall of vagina” dell’artista inglese Jamie McCartney.

Il messaggio di celebrazione della diversità femminile passa attraverso 400 calchi di gesso delle vagine di 400 donne di tutto il mondo: un omaggio alla bellezza dell’asimmetria della natura. Accusato anch’egli di pornografia, in una intervista ha dichiarato: “È un modo per andare oltre le allusioni della pornografia. […] La gente mi chiede com’è stato lavorare con 400 vagine. Mi piace sottolineare il fatto che in realtà ho lavorato con 400 donne”.

L’opera della Tsvetkova, al pari di McCartney, ha l’obiettivo di raccontare la storia di un mondo femminile mutilato per secoli della sua carnalità; annullare quindi, attraverso l’arte, la concezione della donna come proprietaria di un corpo da nascondere nella colpa metafisica del peccato.

Bisogna sottolineare che il concetto di femminismo appartiene all’Occidente ed è completamente estraneo al contesto russo. Nonostante la storia russa vanti, in questo campo, una politica progressista fin dagli arbori del Novecento: già nel 1917 erano garantiti parità di diritti tra uomo e donna e nel 1920 è stato il primo paese a legalizzare l’aborto. Il caso dell’artista russa ci insegna, ancora una volta, che le lotte, quella tra artisti ed istituzioni, dogmi e ribellioni, oppressioni e libertà di espressione procedono da secoli lungo un’interminabile filo spinato.

Nel mondo dell’arte la formula determinante per coniugare creatività, genialità e fantasia è: “dire e trasgredire!”. Come ha scritto Johann Wolfgang Goethe: “L’opera d’arte può avere un effetto morale, ma richiedere ad un artista uno scopo morale significa fargli rovinare il suo lavoro.”

A questo punto occorre quale sia la linea di confine che separa l’arte erotica dalla pornografia. È una determinazione oggettiva o per lo più soggettiva?
Egon Schiele ci risponderebbe: “Nessuna opera d’arte erotica è pornografia, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco”.

Laureata nel 2017 presso l’Università Iulm di Milano nella bistrattata facoltà di Scienze della comunicazione. Dopo la laurea mi sono assoggettata alle esigenze del mercato lavorativo nel settore della comunicazione, facendo cose che non mi interessano affatto: corsi di web design, di SEO, SEM. Ma la mia passione per la scrittura è rimasta intatta. Oriana Fallaci rappresenta il modello di giornalista che vorrei diventare. Il mio sogno è dattilografare un reportage di viaggio su una vecchia Olivetti, una sigaretta tra le dita sorseggiando un bicchiere di vino alla sua salute.

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