Onde a frammentazione

Non é facile riassumere la travagliata storia dei più recenti movimenti sociali, da quei fatidici giorni di luglio 2001 fino all’attuale crisi pandemica. Il farsi e disfarsi dei movimenti segue spesso una logica simile a quella sottostante al movimento dell’onda, che si sviluppa sott’acqua, lontano dai nostri occhi, e finisce per infrangersi, con potenza più o meno marcata, sulla costa. Negli ultimi anni, di onde che si sono infrante sulla scacchiera del panorama internazionale, ce ne sono state molte. 

Cercheremo di delineare i movimenti più intensi che hanno caratterizzato il ventennio 2001-2019. Alcuni, per evidenti ragioni di spazio, verranno omessi: con questo non si voglia pensare che quelli sotto elencati siano gli unici rilevanti. Anche le più piccole porzioni di società in lotta, fino ai più piccoli atti di rivolta quotidiana, possono risultare fondamentali per determinare e prevedere il senso dei processi rivoluzionari.

Dal 2001, per quasi tutto il decennio successivo, l’Italia assistette a un silenziamento dei processi di lotta iniziati negli anni Novanta e culminati con le manifestazioni di Seattle e di Genova, rispettivamente nel 1999 e nel 2001. Un’eccezione fu il movimento contro la guerra in Iraq, che, nel 2003, vide scendere in piazza centodieci milioni di persone in più di seicento città del mondo. Di questi centodieci milioni, tre occupavano le strade di Roma, valendo alla manifestazione romana il titolo di manifestazione contro la guerra più grande della storia.

Un altro movimento da prendere in considerazione per comprendere lo sviluppo di ulteriori importanti scosse sociali, occorse in tempi più recenti in Francia, é il movimento contro il CPE (Contrat Première Embauche), nella primavera del 2006. Animato principalmente dagli studenti in lotta contro la precarizzazione del lavoro imposta dalle scelte dell’allora primo ministro Villepin, il movimento fu presto sostenuto dai sindacati e dalle componenti più radicali dell’ultra-gauche francese. Nel giro di tre mesi si susseguirono occupazioni di università, scioperi, manifestazioni oceaniche, mentre si andava delineando sempre di più l’importanza della Rete come veicolo di organizzazione e propaganda del movimento. Nato nel 1999 nel contesto delle giornate di Seattle, il sito Indymedia, collettore di informazioni e analisi, svolge durante le giornate del CPE un ruolo fondamentale. Ma il ruolo della rete nei processi organizzativi interni ai movimenti non era certo cosa nuova: già durante gli émeutes che scoppiarono nell’autunno del 2005 nella banlieue parigina e che si estesero rapidamente a tutta la Francia, gli insorti utilizzavano blog, siti internet e mailing list per coordinarsi e diffondere controinformazione.

In Italia, invece, tutto sembra tacere: perlomeno fino al 2008, anno in cui si ripresentò sulla scena politica nazionale il movimento studentesco dell’Onda, durato qualche mese, dal settembre al dicembre dello stesso anno, ma la cui portata politica, nonostante la sconfitta sul campo – la legge Gelmini venne infine ratificata – fu determinante per la ricomposizione dell’area della sinistra antagonista negli anni successivi. Nel frattempo, nel dicembre 2009, ad Atene, la morte del giovane studente Alexis Grigoropoulos accendeva la miccia che avrebbe provocato un incendio che sconvolgerà la Grecia intera. 

L’interessante rapporto tra tecniche di organizzazione veicolate dalla rete e movimenti sociali si condensa ancora una volta qualche anno dopo, allo scoppio delle cosiddette “primavere arabe“, avvenuto in Tunisia nel 2011 ed estesosi a una larga parte di Paesi del Maghreb e all’Egitto. Una premessa qui é d’obbligo: parlare di “successi” e “fallimenti” di un movimento – tenuto conto del fatto che si tratta sempre di processi sociali, di estrema complessità, i cui effetti non possono essere misurati esclusivamente in base al raggiungimento degli scopi dichiarati da una parte o financo dalla totalità delle persone coinvolte nel processo – é rischioso. Se, ad esempio, il movimento contro il CPE riuscì a raggiungere il suo obbiettivo principale, ovvero il ritiro della legge, é anche vero che costituì un caso relativamente isolato di mobilitazione conflittuale di massa in Europa negli anni precedenti il 2011.

Le primavere arabe, con il loro portato rivoluzionario connesso non solo alla produzione di contenuti direttamente anti-sistema (e non solo antigovernativi), ma anche alla pratica dell’occupazione delle piazze – resa possibile anche dall’avvento sulla scena politica degli SNS (Social Networking Services) – furono il vero motore della rivolta mondiale negli anni successivi, anche se culminarono con l’avvento al potere della reazione. Nello stesso anno, infatti, le piazze in rivolta dalle due parti dell’oceano conobbero la nascita (e il declino) di movimenti come Occupy Wall Street negli Stati Uniti e gli Indignados in Spagna. Nel frattempo, in Grecia, con l’avvento di Syriza, l’ipotesi insurrezionale andava a scontrarsi contro il muro della realtà, lasciando spazio a processi di reintegrazione delle forze rivoluzionarie a vantaggio della politica istituzionale

Sempre nel 2011, l’Italia ha registrato un innalzamento del livello dello scontro politico – probabilmente dovuto anche all’inasprirsi della crisi economica del 2008 – concretizzatosi principalmente nel conflitto che vedeva opporsi sostenitori e detrattori della costruzione della linea ad Alta velocità Torino-Lione. Da quell’anno, il tema delle “lotte locali” o “lotte territoriali” in Italia é tornato al centro della scena politica di movimento; tantissime, infatti, sono le sigle nate a partire da proteste contro il deturpamento del territorio o la costruzione di grandi opere. Il movimento NoTav costituì dal canto suo un bacino di esperienza di grande valore per le generazioni di militanti formatisi nel periodo post-Genova.

Nel novero delle lotte territoriali entra anche quella NoExpo, che ha visto opporsi per anni, da una parte, l’amministrazione del Comune di Milano e, dall’altra, alcune frange della sinistra extraparlamentare e comitati territoriali. Tale lotta é culminata con la manifestazione avvenuta a Milano il primo maggio 2015, scelto dalla giunta dell’allora sindaco Pisapia come giorno di inaugurazione dell’Esposizione Universale; a seguito della dissociazione dalle violenti proteste di buona parte dell’opinione pubblica, il movimento subì un deciso arresto. 

A partire dall’anno successivo é la Francia a giocare la parte del leone. Nel 2016, infatti, nonostante finisca anch’esso con un fallimento, il movimento contro la legge El-Kohmri, l’allora ministro del lavoro francese, imperversa nelle strade delle principali città d’oltralpe. Nonostante finisca anch’esso con un fallimento, la presenza nelle manifestazioni del cortége de tete (lo spezzone di testa, formato perlopiù da giovani di area extraparlamentare ed extrasindacale del movimento francese) riscalda il clima delle piazze, mentre la conflittualità operaia viene alimentata e generalizzata anche grazie alla mobilitazione di ampi settori sindacali. Il movimento contro la Loi Travail darà il via a una stagione che culminerà, prima della crisi pandemica del 2020, con il grande scoppio insurrezionale dei Gilet Jaunes, che ha visto la sua nascita in seguito all’innalzamento del prezzo del carburante.

Il ciclo di rivolte sociali scoppiate dopo il fatidico ottobre 2018 si é chiuso solo con l’avvento della crisi pandemica. Ma tra l’ottobre 2018 e il 2020, hanno fatto in tempo a scoppiare insurrezioni – di cui la portata politica é tutt’ora da misurare – in diversi Paesi, tra cui Ecuador, Hong-Kong, Libano, Cile, Sudan, Stati Uniti, Messico (dove si sono registrare importanti mobilitazioni di matrice femminista), Birmania, Colombia. Nessun tentativo di spiegare queste rivolte sotto il cappello di una sola ideologia o di una sola analisi potrà, a mio, parere, essere portato a buon fine. Ciò é dovuto alla radicale frammentarietà di cui tali movimenti si fanno testimoni, una frammentarietà che bisogna accettare e dalla quale ripartire per poter comprendere il senso dello sviluppo dei processi sociali. 

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