Pezzo a Pezzo: con un contributo marchigiano, spettacolo di rilievo per il nuovo teatro in Italia

Ho avuto il piacere di incontrare le autrici di Pezzo a pezzo al teatro di Montecarotto, in provincia di Ancona, nelle Marche, in prova fino al 3 Luglio 2021.

Pezzo a pezzo, come possiamo leggere nella pagina Facebook del progetto, è uno spettacolo teatrale iniziato a germogliare nel Novembre 2019 grazie alla tenacia e alla fantasia di due attrici marchigiane (Francesca Zenobi e Silvia Bertini), una drammaturga milanese (Elena Cattaneo) e una regista romana (Carmen Giordano).

Dopo il lockdown, nell’estate del 2020, le ragazze sono riuscite a incontrarsi a Recanati: là vivevano assieme (quasi) ventiquattrore su ventiquattro lavorando al testo e condividendo tutti i momenti del quotidiano. Secondo Cattaneo, la drammaturga, la forzata immobilità dei mesi “rossi” ha reso possibile accostare, con calma, immagini illustrate, albi d’infanzia, poesie, letture, etc. Elementi “domestici” che hanno aiutato ad arricchire il lavoro.

pezzo a pezzo
Pezzo a Pezzo: la Scrittura

Una microsinossi

Due sorelle si rincontrano dopo tanti anni nella loro casa di infanzia, per venderla. I genitori non ci sono più e loro, d’accordo nel gestire questa vendita insieme, devono svuotarla. La situazione richiama moltissimi ricordi, fantasmi del passato aprono voragini nel vissuto di ognuna. Sopraggiunge infine un segreto, al termine della storia, che verrà svelato e che sarà fondamentale – forse – per riuscire, se non proprio a chiudere, almeno a oliare una porta cigolante, difettosa, spalancatasi dentro la vita delle protagoniste.

La recensione

Oggetti ammassati lungo tutto il palco. Uno specchio obliquo. Disegni dimenticati, nascosti. Vestiti sparsi sul pavimento e teli bianchi, fantasmagorici, a coprire mobili probabilmente intrisi di polvere.

Scatoloni di plastica trasparente raccolgono oggetti enigmatici. Vecchi giochi (come una lunga corda per saltare, o una valigia di pelle marrone che si trasforma in testa parlante) ci riportano indietro di decadi. E un mappamondo intermittente, ora acceso, spento, acceso, spento, vigila come un portinaio assonnato sul fondo della scena.

pezzo a pezzo
Stupendi i momenti di gioco fra le due, ad esempio quando le attrici ‘respirano’ dentro i vestiti smessi, ci si nascondono dentro, sommerse dai tessuti. In foto: salto della corda sulla matassa del passato

L’atto unico lascia col cuore in gola per l’equilibrio totale, definitivo, che intercorre fra il dolore e la tenerezza, il rancore e la malinconia del ricordo. La perdita (non solo fisica) della madre e l’accettazione del lutto si snodano lungo la corda sottile di una memoria ora traumatica e violenta, ora ilare, gaudente, spensierata.

Le emozioni contrastanti sono veicolate alla perfezione da Zenobi e da Bertini, capaci di switchare con naturalezza dal personaggio-base delle sorelle, fino a una versione di loro stesse bambine, interpretando, a momenti alterni, anche la madre – o meglio – il ricordo che hanno di lei. Il tema della memoria è infatti il punto centrale del lavoro, il passato si materializza attraverso oggetti e parole: e così, mentre le due sono impegnate a raccontare il faticoso legame con la madre, ecco che si legano i capelli, con rabbia. Ed ecco, quasi in balia di una strana successione sincronica, che si fiondano a saltare la corda, di nuovo bambine, in un contrasto fra piacere e dolore, innocenza e castigo, sapientemente amalgamato.

pezzo a pezzo
Cercando di respirare dentro vecchi abiti smessi

Frammenti interessanti

1) «Non è colpa tua, non è colpa tua» sussurra Francesca a un certo punto dello spettacolo. Spalle al pubblico, in piedi, fissa il suo viso riflesso dentro uno specchio portatile: «Non è colpa tua» ripete.

2) Verso la fine Francesca dichiara di voler «smettere di scrivere» (in Pezzo a Pezzo Francesca è scrittrice) proprio dopo una scena in cui Silvia, la sorella, se ne sta in piedi, sulla testa un disegno che ritrae l’altra sorella scomparsa e omonima.

pezzo a pezzo
Il bozzetto della sorellanza mancata, illegittima, le nasconde il viso per intero. O meglio: sostituisce il suo viso

3) Ultimi minuti dello spettacolo: vorticano dei fogli, mandando tutto all’aria; il progetto di “scrittura di un romanzo” fallisce. Come a rifiutare una storia (famigliare) in cui non ci si riconosce più. La testa, l’originalità delle ragazze è stata sostituita dalla “testa” stilizzata dell’altra sorella morta. L’altro “pezzo” di storia, una narrazione subaffittata, andata perduta. Il padre invece è rappresentato dal personaggio “smoking” (vedi l’immagine di copertina). Un guscio vuoto, uno stiracchiato agglomerato tessile senza carne, senza nome, senza contenuto. Senza parole e senza storia, per l’appunto.

Conclusione

Non sappiamo, quando cala il sipario, se le due sorelle siano riuscite o meno a rimettere «tutti i pezzi a posto», né possiamo indovinare come si evolveranno le vite di Silvia e di Francesca, o come siano le loro esistenze al di fuori di quei frammenti di storia famigliare: le scatole dischiuse della casa abbandonata, ancestrale eppure inaspettatamente viva, quel microcosmo (mappamondo) intermittente e miniato è tutta l’identità esposta, l’unica realtà che ci è dato sapere.

Non possiamo conoscere e riflettere su altro argomento che non sia la casa e la relativa frattura con essa, l’imprinting famigliare sbagliato, rifiutato e il desiderio di stampare (to print) un libro che alla fine viene fatto a pezzi. Certo è che, nel mezzo del sopraggiungere dei ricordi, nel fluire delle memorie, nel revival degli oggetti, fra uno strappo e l’altro (di vestiti, di capelli, di muscoli), le bambine hanno giocato e noi, in qualità di pubblico, auguriamo lunga vita allo spettacolo. Curiosi di sapere quali modifiche subirà la pièce (se ci saranno variazioni) aspettiamo di emozionarci ancora con le prossime date.

pezzo a pezzo
Sui gradini del teatro di Montecarotto Francesca Zenobi, Silvia Bertini, Elena Cattaneo e Carmen Giordano

L’intervista. La genesi di un’opera

Carmen ed Elena, parliamo del tempo: non nel senso piove/c’è il sole, tranquille! In Pezzo a pezzo abbiamo tantissimi “salti all’indietro” all’interno dei quali le attrici tornano bambine: come avete deciso di renderli, in scena?

C ed E: Siamo abituati, quando si parla di flashback (soprattutto al cinema, ma anche a teatro) ad “aiutini” extradiegetici capaci di sottolineare, attraverso la luce o la musica, il passaggio fra il prima e l’adesso. In Pezzo a pezzo il presente e il passato delle due sorelle si fondono in una ricerca abbastanza estrema di rinuncia all’artificio: in questo spettacolo non c’è musica, non ci sono proiezioni video, etc. La regressione all’infanzia e il ritorno all’età adulta sono dati sulla scena dal solo corpo delle attrici, dal loro stare attoriale e da lievi cambi di luci.

Se dico “serendipità”, Elena, cosa ti viene in mente?

Mi viene in mente che il nostro è un lavoro sulla memoria intesa come tutte quelle situazioni in cui, in maniera accidentata e involontaria, all’improvviso si inserisce il passato: in un attimo sei come eri. E devi inglobare tutte le dimensioni di te in un unico momento, in un solo corpo.

pezzo a pezzo
Sto vivendo meno di quello che potrei, Artwork di Francesca Zenobi per Pezzo a Pezzo

Il titolo Pezzo a pezzo mi ha subito fatto pensare ai Lego, ai giochi dei bambini, ma mi è venuta anche in mente una drammaturgia di Abraham B. Yehoshua intitolata Possesso in cui un’anziana signora, dopo la morte del marito, cerca di rifilare al figlio gli oggetti del coniuge defunto, ma lui non li vuole, perché si sente posseduto in modo regressivo. Quanto gli oggetti possono essere veicolo di memoria (positiva) ma anche di regressione depressiva, di spossessamento da sé, attraverso il loro controllo emotivo?

In questo lavoro tanto: non c’è però un realismo in questa casa, gli oggetti sono usati in maniera quasi impropria, come trasposizione dei movimenti interiori dei personaggi. Surreali eppure credibili, perché lo spettatore compie questo viaggio assieme a loro.

Che dire della genesi del testo?

La scrittura è stata parzialmente collettiva, c’è stato un desiderio nato da Carmen di ispirarsi a molta letteratura non teatrale, in particolare alcuni racconti di donne come Johanne Dida, Lidia Davis (alla quale è attributato il titolo del lavoro), Alice Morrow, Lory Moore

pezzo a pezzo
La casa, il buco nero, Artwork di Francesca Zenobi per Pezzo a Pezzo

Quindi è stato un processo dallo scritto alla scena?

C: Esatto. Al momento della scrittura ci sembrava di aver fatto un ottimo lavoro, ma poi il testo non si adattava alla performance. C’erano tanti bei monologhi, perfetti sulla carta ma non credibili in scena. Siamo andate avanti quindi per sottrazione di “belle parole” e la drammaturgia si è arricchita con una partitura fatta di respiri, di silenzi e di azioni.

E: Il lavoro è stato chiasmatico: dalla parola all’attore e poi dall’attore alla parola o al gesto che le ragazze sceglievano.

Ti è mai capitato Carmen il percorso inverso, ovvero di partire dall’azione per poi arrivare al testo?

Sì, soprattutto in passato con la mia compagnia Macelleria Ettore che ho diretto dal 2007 al 2015; lì partivo molto dalle azioni fisiche, aiutata da un contenitore testuale rodato che poteva essere Amleto o Elettra… completamente stravolto però. Ero molto vicina alla performance. A dirla tutta questa è la prima volta che mi affido a una specialista del testo quale è Elena.

pezzo a pezzo
La stanza, Artwork di Francesca Zenobi per Pezzo a Pezzo

Summa di queste prove aperte a Montecarotto?

Quello di questi giorni è stato un work in progress non definitivo, uno studio. Ci sono ancora delle cose da migliorare: aprirci già a un pubblico ci è servito tantissimo per raccogliere feedback.

Come si sono trovate Francesca Zenobi e Silvia Bertini, le attrici, in questo percorso?

C: Le abbiamo sempre stimolate a percepirsi in maniera autoriale, anche quando sono in scena. Non c’è una legge scientifica per cui “questa battuta la devi dire così o cosà”, altrimenti è morta, finita. Perciò devi farti prendere per mano dal personaggio e lasciare spazio a un gioco che è determinato da un sacco di variabili: la salute fisica, il pubblico, lo stato mentale…

E: Le abbiamo viste divertirsi, giocare: ci sono state lunghe sessioni di improvvisazioni in cui il gioco di infanzia e il gioco attoriale facevano davvero scintille. Francesca e Silvia sono state molto disponibili l’una verso l’altra.

Progetti futuri, Carmen?

Certo! Per Dido di Adele Tardi, con il disegno luci di Alice Colla (che ha lavorato sempre per Pezzo a pezzo) e un’installazione di Mariapaola di Francesco. Ma anche Sconcerto in una stanza con Simonetta Bulgaro.

Video intervista a Silvia Bertini

Post a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

la tua finestra sul mondo

Iscriviti alla newsletter:

    SEGUICI: