(Plastic) People have the power

Era il 1969, cinquant’anni fa, il giro di boa di quella guerra Fredda che sarebbe durata altri 20 anni. Era la Cecoslovacchia appena uscita dalla sua “primavera”, che ancora faticava a risvegliarsi da quel sogno cominciato nel Sessantotto e che si esauriva alle luci delle fiamme che il 19 gennaio 1969 avvolgevano Jan Palach, studente di filosofia bruciatosi vivo in segno di protesta in piazza San Venceslao, nel centro di Praga.
Nel 1969 nasceva la band più rappresentativa del rock underground cecoslovacco, i The Plastic People of the Universe. Un gruppo rock-psichedelico, il cui nome si ispirava alla prima traccia dell’album “Absolutely Free” di Frank Zappa, l’artista di riferimento della band. Il testo del 1967 si scagliava contro la guerra in Vietnam: tra accordi stridenti che accompagnano le parole di un Presidente degli Stati Uniti malato echeggia questa frase: <<I know it’s hard to defend an unpopular policy>> (So che è difficile difendere una politica impopolare).


Dall’altra parte del muro, i PPU sapevano bene quanto fosse indifendibile la politica di un regime che aveva appena represso coi carri armati la ribellione pacifica di un paese da vent’anni succube di censure, economie programmate e repressioni nel nome dell’ideologia comunista. Nonostante il contesto, la band non dimostra interesse per l’etichetta di “gruppo politicizzato”. È una generazione stanca della politica che vive i primi effetti della normalizzazione di Gutav Husak. È un gruppo di giovani che vuole esprimere quello che ha dentro senza incappare nella censura. Non ne fa mistero Mejla Hlavsa, macellaio e, a tempo perso, bassista e uomo simbolo della band: <<Siamo dissidenti al di là della nostra volontà>>. Uno dei brani più famosi dei PPU richiama, tra dolci accordi arpeggiati alla chitarra, proprio questa volontà di essere lasciati in pace: <<Chce se mi spat>>: voglio solo dormire.

L’invasione di Praga da parte dei carri armati sovietici. Immagine tratta da (http://www.artspecialday.com/9art/2018/01/05/la-primavera-di-praga-carri-armati/)

Il loro impatto culturale è strettamente legato alle personalità che gravitano attorno alla band. Il direttore artistico Ivan Jirous, soprannominato Magor (il pazzo) è sicuramente l’anima più rock. Nato durante l’occupazione nazista, nel 1948 assiste all’arresto della zia, accusata dal regime comunista di essere una “sfruttatrice borghese. Ivan sarà un eterno dissidente del regime. Comincia la sua carriera come scrittore, ma, dopo aver visto in concerto i Beatles si convince del maggiore impatto della musica, una forma artistica meno censurabile rispetto ai testi scritti. I musicisti possono essere una forza più radicale e utile al cambiamento; per questo organizzerà ben tre Festival Musicali della Seconda Cultura. Magor è grande amico di Vaclav Havel, intellettuale, scrittore e futuro primo presidente della Cecoslovacchia libera. Nel 1979 scrive in carcere “Il potere dei senza potere” in cui riconosce: <<Il primo a sviluppare e a mettere in pratica nel nostro paese il concetto dell’altra cultura fu Ivan Jirous. Una delle personalità più interessanti nella storia moderna del nostro Paese>>. Questo suo spirito libero e intraprendente costerà a Magor 8 anni di prigione.

Insieme a Hlavsa, la band è inizialmente composta da Michal Jernek, sassofonista, Jiri Stevich alla chitarra e Josef Brabec alla batteria. La loro musica risente di diverse influenze: da Frank Zappa ai Doors, dai primi Pink Floyd ai Velvet Underground, autentico mito per i PPU. Innumerevoli altri componenti si aggiungeranno ad un gruppo che vedrà il passaggio, in oltre trent’anni di attività, di più di trenta musicisti, anche perché ben presto le maglie della censura si abbattono sulla band. Già nel 1970 il regime ritira loro la licenza di musicisti. Vengono accusati di “guadagno illegale”, per aver suonato senza l’autorizzazione necessaria. La band prova a diventare un gruppo autorizzato dal governo, ma per il regime <<la musica del complesso potrebbe avere un effetto sociale negativo sui giovani>>.

Comincia dunque il periodo dei concerti clandestini nei luoghi più sperduti della Boemia e della Moravia: la band accompagna matrimoni, compleanni, feste in casa di amici, addirittura un funerale. La reazione del regime non si fa attendere: nel 1974 a Rudolfov, piccola città della Boemia, centinaia di persone vengono fermate e riaccompagnate a casa; i minorenni vengono espulsi da scuola e sei di loro vengono arrestati; una vera e propria caccia all’uomo. Il 17 marzo del 1976 arrivano gli arresti per ventisette musicisti facenti parte di numerosi gruppi rock underground cecoslovacchi, tra cui naturalmente anche i PPU. A tutti viene dato un anno e mezzo di detenzione per “disturbo organizzato della quiete pubblica. Un ennesimo colpo di mano del regime sembra volere tarpare le ali al dirompente movimento culturale cecoslovacco. Ma, ancora una volta, si accende un piccolo lume di speranza: Charta 77, manifesto di protesta nei confronti del regime, firmato dai membri di spicco del panorama culturale cecoslovacco, tra cui spicca il nome di Vaclav Havel.


Infatti nel 1975 l’URSS firma, insieme ad altri 34 Stati, l’accordo di Helsinki. Un atto che reca tra i suoi principi il <<non ricorso alla minaccia o all’uso della forza>>, <<l’eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli>> e soprattutto <<il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza religione e credo>>. Charta 77 sarà alla base del movimento di protesta che porterà all’indipendenza dello Stato Cecoslovacco nel 1989 e i suoi firmatari pagheranno questo affronto con condanne e incarcerazioni.

Il cantautore Wolf Biermann ad un evento di solidarietà per il movimento per i diritti civili in URSS (dpa / picture alliance /)

Il gruppo non cede. L’onnipresente Vaclav Havel, mecenate del gruppo, offre loro la possibilità di esibirsi nel suo casale di campagna. La band riprende a suonare e i brani vengono registrati su cassette che circolano clandestinamente per tutto il paese. Una di queste registrazioni riesce a superare la cortina di ferro ed arrivare in Francia diventando il primo Album della band, che verrà intitolato “Egon Bondy’s Happy Hearts Club Banned”, chiaro riferimento ai Beatles. Nel 1977 Vratislav Brabenec ottiene un visto per lasciare il paese – dove rientrerà solo nel 1997. Nel 1986, durante un festival rock a Praga, viene concesso al gruppo di esibirsi a patto che cambi nome; il batterista Jan Brabec non ci sta e abbandona. I Plastic People cambiano il loro nome in Pulnoc (mezzanotte) e suonano. L’anno dopo la band si scioglie.

Nel 1989 crolla il muro e il 29 dicembre Vaclav Havel, appena uscito dal carcere, viene eletto primo Presidente della Cecoslovacchia democratica. Uno dei suoi primi atti è nominare Frank Zappa Ambasciatore Speciale a Ovest per Commercio, Cultura e Turismo della Cecoslovacchia. Nel 1992 Lou Reed, portato dal leader Cecoslovacco in un pub di Praga conosce Mejla Hlavsa, che sta suonando in una cover band dei Velvet Underground. L’anno dopo Mejla avrà anche l’onore di suonare con il suo idolo alla Casa Bianca, davanti al Presidente americano, Bill Clinton, e al suo presidente, Vaclav Havel. Dopo un tour per gli Stati Uniti, nel ’97 i Plastic People suonano al castello di Praga davanti a migliaia di persone. Ma il 5 gennaio 2001 un cancro strappa alla band il suo front man Hlavsa. Dieci anni dopo anche “Magor” il pazzo viene stroncato da un’emorragia interna. È il canto del cigno della band che si scioglie ufficialmente nel 2016. Oggi è tuttavia ancora possibile ascoltare i PPU, che, con diversi interpreti, porta avanti lo stesso ideale di sempre: fare musica, sempre e comunque.

Vratislav Brabenec. Immagine tratta da (https://communistism.wordpress.com/2013/04/24/the-story-of-vladimir-brabenec-ppu/)

Una storia rock, underground, di repressione e di rivolta di una band il cui unico scopo era quello di fare musica e di esprimere quello che aveva dentro. I componenti della band rimasti in vita sono persone semplici, lontane dalla figura della rockstar. Fino a qualche anno fa ci si poteva imbattere nel tastierista Josef Janicek che distribuiva il pasto ai bambini in una scuola materna. Al pub Shakespeare a Praga si può ancora incontrare Vratislav Brabenec, sassofonista e clarinettista, intento a bere una birra al bancone. Alla domanda su come si senta a essere stato un rappresentate della contro-cultura, solitamente risponde burbero e disincantato: <<Odio quando la gente parla di quegli anni come “rivoluzione” in Cecoslovacchia. Una rivoluzione dovrebbe cambiare le cose. Ma cosa è cambiato? […] È ancora merda, solo merda diversa. Partito comunista, partito di Nokia telefonia mobile: qual è la fottuta differenza? […] I poeti rimangono poeti e i politici sono fottuti politici. Quindi vedi, i Plastic People sono ancora i Plastic People. Devi ricordare una cosa sopra tutte le altre di questa band e della nostra cosiddetta rivoluzione: nessuno di noi è mai arrivato da nessuna parte. Questo è ciò che conta di più>>. Ogni altra domanda sarebbe inutile e verrebbe troncata da un secco “Na zdravi”, l’equivalente del nostro “salute”. Dopo queste parole, probabilmente Vratislav tornerebbe a farsi gli affari suoi e a immergere i suoi lunghi baffi nella bianca schiuma della sua Pilsner Urquell.

Ho 27 anni, una laurea triennale in storia e sto finendo il mio percorso accademico all’Università degli Studi di Milano, dove studio relazioni internazionali. La musica ha sempre fatto parte della mia vita: suono il pianoforte dall’età di 8 anni e strimpello la chitarra da quando ne avevo 14, età in cui tutti ci sentiamo delle rock star. Amo viaggiare, al punto da aver fatto l'Erasmus in Turchia e in Repubblica Ceca.  Sono pigro e adoro perdere tempo per poi essere assalito dai sensi di colpa. Scrivere di musica è per me una bella sfida e un'occasione di mettermi alla prova.

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