Proibizionismo e cannabis, 60 anni nascosti dietro un dito

Sessant’anni di risorse sprecate

Negli ultimi rilevamenti dell’Istat la cannabis si conferma di gran lunga la sostanza illegale più consumata in Italia. Circa 6 milioni di persone dichiarano pubblicamente di consumarla ed é probabile che il numero reale sia molto superiore. Sei milioni su 60 milioni di abitanti totali nel paese vuol circa il 10% della popolazione totale e, se si escludono i bambini e gli anziani, la percentuale diventa ancora più grande, e aumenta ogni anno.

Nel 1961 le Nazioni Unite hanno ratificato la Convenzione Unica sugli Stupefacenti, dando così inizio alla cosiddetta “guerra alla droga” e da quell’anno il consumo di cannabis, come quello di moltissime altre sostanze illegali, non ha fatto che crescere. Indipendentemente dai soldi e le energie spese in campagne propagandistiche, operativi, sequestri, arresti e processi, da sessant’anni aumenta la domanda, l’offerta e la disponibilità di cannabis.

L’unico risultato concreto é stato la criminalizzazione di milioni di persone, che in mancanza di un canale legale di distribuzione si trovano obbligate a un contatto più o meno diretto col mondo del narcotraffico, e di conseguenza con altre sostanze che non ricercavano in un primo momento.

Proibizionismo e forze dell’ordine

Milioni di persone sono finite nelle mani del mercato nero per il solo fatto di avere un vizio che non é legalmente accettato, e così facendo si espongono a consumi più dannosi di quelli della sola Cannabis che si muovono negli stessi canali.
Piú del 77% degli arresti riguardanti le sostanze stupefacenti é dovuto alla Cannabis, che quindi incide fortemente sul sovraffollamento delle carceri che oltre ad essere inumano diventa in epoca Covid pericoloso.

Tra le vittime del proibizionismo dovremmo poi annoverare anche casi noti alla cronaca come quello di Stefano Cucchi o come quello meno noto di Aldo Bianzino, falegname e pacifista arrestato nel 2007 all’età di 44 anni per qualche pianta coltivata nel suo giardino per consumo personale, morto due giorni dopo nelle mani della Polizia a causa di “un malore”.
Uno di quelli che provocano ematomi, costole rotte e danni a fegato e milza.

Aldo Bianzino con il figlio Rudra, che oggi sta cercando di ottenere la riapertura del procedimento per omicidio a carico di ignoti.

Nelle discussioni sulla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere spesso si punta a evidenziare gli enormi vantaggi economici che questa nuova filiera potrebbe stimolare, ma anche se questi non ci fossero basterebbe una constatazione logica e di buon senso.
Al giorno d’oggi infatti si consuma cannabis liberamente, in qualunque città italiana si può facilmente reperire in pochissimo tempo indipendentemente che si abbiano 30 anni o 13.
La presenza delle forze dell’ordine spesso é percepita solamente come un ostacolo routinario da evitare più che un serio deterrente al consumo, mentre nella sostanza é libero il compratore ed é libero il venditore. Libero oltretutto di decidere arbitrariamente il prezzo e di vendere prodotti senza alcun controllo di qualità, a chiunque voglia senza considerare etá e fattori di rischio, alimentando quindi situazioni di abuso e altri consumi molto piú dannosi per la salute.

Tra l’altro, se la preoccupazione fosse davvero per la salute dei cittadini, perché perseguitare i consumatori?
Anche ammesso che la cannabis sia la sostanza più dannosa e pericolosa che si possa incontrare, e non lo é, non avrebbe forse più senso gestirla come una questione di tipo sanitario come si fa per esempio in Portogallo? Trasformandola in un problema di ordine pubblico si trasformano i consumatori in criminali, con implicazioni sociali e psicologiche importanti soprattutto sui più giovani tra i quali il consumo é diffusissimo.

Il consumo esiste oggi ed esisterà domani, le alternative sono prenderne atto e capire come gestirlo o lasciarlo come é oggi, libero e alla mercé di mafie e organizzazioni criminali senza nessun controllo né regolazione. Tertium non datur.

Una ipocrisia dalle gambe corte

Purtroppo però nel nostro paese la politica non si muove secondo i dati, ma inseguendo il consenso elettorale. Preferisce ripetere slogan vuoti come “no alla droga” e nascondere la questione sotto al tappeto piuttosto che affrontare i problemi in modo serio e pragmatico. L’idea che si possa decidere sulla vita privata delle persone, selezionando quali vizi siano socialmente tollerabili e quali e no su basi non scientifiche é semplicemente anacronistica, e nel caso italiano queste basi sembrano essere piú che altro tradizionali.

Non dimetichiamo infatti l’ipocrisia dei più acerrimi nemici politici della cannabis, che nelle loro feste tra brindisi e fiumi di birra e vino, celebrano spensieratamente la millenaria cultura dell’alcool. Una droga decisamente più pesante della cannabis e assolutamente legale, socialmente accettata da sempre ed estremamente diffusa anche tra i giovanissimi. Droga che secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità uccide in media 48 persone al giorno, tra cirrosi epatiche, cancri, malattie cardiovascolari e lesioni dovute a incidenti di vario tipo.

In Europa secondo SMART (Sober Mobility Across Road Transport), il 25% degli incidenti per i giovani compresi tra i 18 e i 24 anni sono attribuibili ad alcol.

Oltretutto un mantra costante di chi si oppone alla regolarizzazione del consumo é proprio quello secondo cui aumenterebbe il numero di incidenti mortali dovuti alla guida sotto effetto di sostanze, ovviamente dimenticando che già esistono delle leggi sulla guida in stato di ebrezza che si applicano indipendentemente dalla legalità o meno della sostanza assunta e che la principale sostanza che causa morti in incidenti sia proprio l’alcool.

Quando si fa notare questa contraddizione la risposta é che “é l’abuso che fa male, non il semplice consumo“. Pare invece che nel caso della cannabis, il cui abuso provoca certamente dei danni soprattutto in giovane età, ma che comunque non registra nessun caso di morte associata ad un suo utilizzo nella storia, questa distinzione non esista. Lo Stato non possa assolutamente assumersi la responsabilità di “vendere droga e morte”,per lo meno finché non si vende in bottiglia e lattina o in pacchetti da 10 o 20 dosi al tabaccaio.

Se non é domani, sará dopodomani

Personalmente sono convinto che la cannabis tornerà ad essere legale nei prossimi anni come é sempre stata prima della parentesi proibizionista dell’ultimo secolo, forse non con il referendum programmato per la prossima primavera, forse non nella prossima legislatura, ma inevitabilmente succederà.
Nell’ottobre 2021 il 58% degli italiani intercettati da SWG si dichiarava favorevole a una legalizzazione e l’impressionante numero di firme in pochi giorni raccolte per lanciare il referendum é un ulteriore segnale del fatto che già é qualcosa di socialmente accettato e diffuso.

Nel mondo sempre più paesi abbandonano l’approccio proibizionista, mentre nessuno dei paesi che ha deciso di regolarizzare il mercato della cannabis é mai tornato sui suoi passi.
A opporsi alla legalizzazione della Cannabis sono sempre meno persone e i sondaggi come quello di SWG indicano che sono soprattutto le persone di oltre 64 anni, mentre tra i giovani la percentuale di difensori del proibizionismo é una piccolissima minoranza.

Dall’ottobre 2021 il Lussemburgo é il primo paese europeo a legalizzare il consumo e la coltivazione domestica di Cannabis.

Oltre alla società civile anche il mondo scientifico e medico sta riscoprendo le enormi proprietà dei cannabinoidi e la loro relativa sicurezza, tanto da spingere nel 2019 l’OMS a raccomandare alle Nazioni Unite di rimuoverla dalla tabella IV, che contiene le sostanze “particolarmente dannose e di valore medico o terapeutico estremamente ridotto” e di inserirla nella tabella III, sostanze con valore terapeutico e con basso rischio di abuso.
Addirittura raccomanda che le preparazioni con un contenuto di THC minore allo 0,2% non dovrebbero neppure essere sottoposte a controllo internazionale.

Insomma la parentesi proibizionista dopo 60 anni si sta chiudendo e prima o poi anche la politica dovrà prenderne atto, che le sembri moralmente accettabile o meno.

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