Quella maledetta fretta di voler seppellire la mafia


Cosa Nostra si è seppellita e si prepara a farsi dimenticare

Gian Carlo Caselli intervistato dal quotidiano francese Libèration, il 22 maggio 2002.

É capitato in passato – e in ben più di un’occasione – che venisse decretata con eccessiva apprensione la sconfitta di questa o di quella mafia, prima che una simile circostanza fosse effettivamente sopraggiunta. Non è difficile trovare politici o giornalisti che abbiano celebrato con colpevole anticipo il funerale delle mafie, spesso a conclusione di una violenta fase conflittuale tra queste e le istituzioni statali terminata a favore delle seconde.

Come una rondine non fa primavera, così un boss al 41bis non comporta la fine della mafia. Per quanto rilevanti possano essere i nostri successi ai danni delle cosche mafiose, non dobbiamo assolutamente sederci sugli allori. Abbiamo visto infatti come le organizzazioni criminali abbiano saputo sopravvivere a innumerevoli ondate repressive, adattandosi e trasformandosi in base alle circostanze: una duttilità unica, come quella di un camaleonte, che ha permesso e permette tutt’oggi alle mafie di riassestarsi in minor tempo rispetto ad altre entità criminali.

Combattere il crimine organizzato dovrebbe significare pertanto condurre un battaglia costante e puntuale, alternando quotidianamente prevenzione e repressione nell’intento di scongiurare un eventuale ritorno mafioso. Diversamente, sarebbe deleterio circoscrivere l’azione di contrasto alle mafie alla sola repressione estemporanea, magari in seguito a un attentato o a un delitto eccellente. Purtroppo la storia – e in alcuni paesi anche l’attualità dei giorni nostri – ci mostra come questa seconda via sia la più battuta da parte delle autorità di tutto il mondo.

A guardare le vicende della lotta alla criminalità organizzata, quanto appena descritto costituisce una prassi comune un po’ a tutti i paesi che hanno combattuto le mafie. Giappone, America, Italia, tutte hanno prodotto leggi e risultati effettivi solo all’indomani di avvenimenti specifici che hanno smosso non solo la politica, ma l’intera comunità civile.

La tomba di Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista in Sicilia, assassinato da Cosa Nostra il 30 aprile 1982.

Così il governo nipponico decise di procedere alla stesura delle leggi anticriminalità organizzata del 1991, e poi ai suoi ampliamenti del 2004 e del 2008, solo a seguito di un’ondata di morti innocenti, vittime collaterali delle dispute tra Yakuza; ancora più eclatante il caso italiano, dove la promulgazione della legge Rognoni – La Torre il 13 settembre 1982 – diventata poi pietra miliare della legislazione antimafia – fu successiva di pochi mesi alla morte del deputato comunista Pio La Torre, e di soli dieci giorni a quella del generale Dalla Chiesa.

Anche il celebre episodio del maxiprocesso di Palermo è annoverabile tra questi esempi: in quella occasione, infatti, venne raggiunto l’apice dell’attenzione civile e mediatica attorno all’argomento mafioso. Lo stato italiano non si tirò indietro e colpì con fermezza il cuore della belva mafiosa che, per tutta risposta, dilaniò il paese a colpi di bombe e omicidi eccellenti. La società civile a quel punto rispose compatta e adamantina nel rifiutare il giogo mafioso, pianse i suoi eroi e condannò fermamente i loro assassini.

Nella foto vediamo l’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo, diventata famosa e conosciuta a tutti gli italiani durante il maxiprocesso contro Cosa Nostra.

Così, pian piano, smisero di esplodere ordigni e magistrati, e in qualche anno si iniziò gradualmente a considerare Cosa Nostra sulla via del tramonto, se non addirittura sconfitta del tutto in seguito alla cattura ed alla condanna del suo boss per eccellenza, Totò Riina. Le maglie dei controlli si allargarono, i nomi dei mafiosi cessarono di occupare le prime pagine dei giornali, e a Cosa Nostra venne dato involontariamente il tempo ed il silenzio necessario per riorganizzarsi sotto la guida di Bernardo Provenzano. Un errore imperdonabile, col senno del poi.

Diversamente dal proporre una strategia repressiva occasionale e ragionata sul breve periodo, si dovrebbe cercare di prolungare il più possibile l’impegno ed il sentimento anti-mafioso, braccando senza sosta le organizzazioni criminali anche dopo le prime vittorie, fino alla loro definitiva sparizione. Compiacersi di un successo momentaneo equivale invero a non aver inteso la natura intrinseca del fenomeno mafioso e a facilitarne così il riassestamento. Perché la criminalità organizzata vanta un’incredibile capacità rigenerativa che, se lasciata libera di esprimersi, le garantisce un ritorno in tempi brevissimi sul palcoscenico criminale globale.

Le mafie infatti, a prescindere dal contesto geografico in cui prendono forma, replicano tutte il modus operandi dell’idra. Questo antico mostro appartenente alla mitologia greca aveva la peculiarità di non perire nemmeno quando privato del capo, e di crescere al suo posto due nuove teste pronte a colpire. Come nel caso dell’idra, il nucleo vitale della chimera mafiosa non risiede al vertice, bensì nella sua essenza di organizzazione. Un aspetto che ha sottolineato anche l’ex Procuratore della Repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli, che si esprimeva così qualche anno fa riguardo alla capacità rigenerativa delle mafie, e nello specifico di Cosa Nostra siciliana:

[…] un dato di partenza assolutamente fermo e imprescindibile è la constatazione che la principale risorsa strategica di Cosa Nostra è la sua organizzazione. Cosa Nostra è come un organismo vivente che, se subisce una ferita in un punto del corpo, la cicatrizza immediatamente e riesce a rigenerare il tessuto. Ciò significa che i vuoti che si aprono a tutti i livelli dell’organizzazione vengono sistematicamente colmati e allora è importante, decisivo arrestare i capi di Cosa Nostra, dopo Riina, Provenzano, Aglieri, Brusca, Bagarella. Ma deve essere altrettanto chiaro che questo non basta: è decisivo porsi, come obiettivo di fondo della strategia antimafia, la disarticolazione dell’organizzazione come tale, dell’organizzazione nel suo complesso, al di là della cattura di singoli anche prestigiosissimi esponenti criminali di Cosa Nostra.

Occorre pertanto procedere alla “disarticolazione dell’organizzazione come tale”, spingendo la lotta dell’antimafia ben oltre la cattura del singolo boss, e slegandola soprattutto dagli umori momentanei di politica e società. Serve programmazione nel lungo periodo e conoscenza approfondita del fenomeno, oltre ad una costante opera di informazione che mantenga al giusto livello l’attenzione e la preoccupazione dell’opinione pubblica circa la tematica mafiosa.

Non è consentita alcuna distrazione, alcun tentennamento, poiché le mafie non sono solite ricambiare simili cortesie.


FONTI:

  • Sayaka Fukumi (2003) The Yakuza and its perceived threat. In (Edited by) Felia Allum (2003) Organised Crime and the Challenge to Democracy.
  • Gian Carlo Caselli (1995) Il fenomeno criminale in Italia. Attività illecite, minacce e strategie di contrasto. In Atti del 1° Seminario Europeo “Falcon One” sulla Criminalità Organizzata, Per Aspera Ad Veritatem Rivista di Intelligence e di Cultura Professionale, Roma 26-27-28 Aprile 1995
  • Jean-François Gayraud (2010) Divorati dalla mafia: Geopolitica del terrorismo mafioso, Elliot.

Tomas Strada (1992), è l'orso digitale che gestisce la nostra comunicazione. Campione mondiale di video di gattini, black humour e lauree professionalmente non spendibili, racconta la criminalità organizzata sulle pagine digitali di The Pitch. Tra un reel e un articolo, è sinceramente convinto che The Pitch migliorerà il mondo. Ma credeva anche che i 30 anni non sarebbero mai arrivati. E invece.

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