Ripensare la leva

Nel dibattito pubblico si parla periodicamente di reintrodurre la leva. A più di quindici anni dalla sospensione, la politica affronta stagionalmente il tema solo dal punto di vista sociale ed educativo, per puro tornaconto elettorale. Lo scopo di questo breve articolo è di riportare nel dibattito sulla leva il vero motivo che portò la Francia rivoluzionaria ad adottare la coscrizione obbligatoria: la difesa condivisa dell’interesse nazionale, basato sulla sovranità popolare.

PERCHE’ VENNE INTRODOTTA?
IL MODELLO RIVOLUZIONARIO FRANCESE

La rivoluzione francese aveva riportato in Europa un concetto legato al mondo greco – romano ripreso dalle speculazioni dell’Illuminismo: il cittadino in armi. Questo approccio separava, dal punto di vista ideologico, l’antico regime dal nuovo stato rivoluzionario basato sul cittadino. Infatti occorreva lasciare ai despoti assoldare truppe avventizie e masse informi di schiavi inetti alle armi

Il suddito si aspettava che fosse il sovrano a garantire protezione e sicurezza; dall’altra parte, il cittadino delle rivoluzioni atlantiche imbracciava le armi per difendere gli interessi propri e delle proprie famiglie (Rivoluzione Americana) e per diffondere i principi di libertà e uguaglianza (Rivoluzione francese), in altre parole la difesa condivisa. E’ evidente che i rivoluzionari avessero anche bisogno di “carne da cannone”, dovuta all’evoluzione della guerra post rivoluzionaria, il processo avviato aveva una forte componente ideologica.

Il coinvolgimento emotivo e la condivisione degli obiettivi costituirono la base delle Armate Napoleoniche che nei primi anni del XIX secolo sbaragliarono gli eserciti di “professionisti” degli stati europei.

Frontespizio del provvedimento che conteneva la riforma della leva rivoluzionaria
LA PRUSSIA

In un primo momento, le nuove armate rivoluzionarie erano uscite dal vecchio concetto di sodato “ingranaggio” di un meccanismo ben consolidato. In altre parole, il soldato, a seconda le livello rivestito, poteva valutare ed agire di propria iniziativa. Fu, soprattutto, l’approccio manovriero napoleonico a enfatizzare l’importanza delle decisioni del comandante sul campo – cittadino posto in quel ruolo per i propri meriti-. Questo modello trovò terreno fertile nella riorganizzazione militare su cui si basò la Prussia.

Come conseguenza delle pesanti sconfitte subite, i vertici dello Stato tedesco cercarono di ripensare la leva. Infatti, il modello che portò a definire la Prussia “stato caserma” si basava sulla condivisione della minaccia percepita. Esso coinvolgeva tutte classi di leva nel processo decisionale e nella difesa condivisa dello stato. In altre parole, non potendo disporre, per vincoli esterni, di un numeroso esercito, l’addestramento prussiano offriva alle reclute gli strumenti per operare in autonomia sul campo ed essere potenzialmente “comandanti”.

LA DIFESA PARTECIPATA NELL’ ITALIA POST UNITARIA: IL CASO DEGLI ALPINI

Non essendo questo il momento di descrivere l’evoluzione della leva in Italia, si farà cenno al solo caso in cui la difesa partecipata è stata efficace. Il nuovo stato Italiano all’indomani dell’unificazione individuò nelle frontiere montane il proprio centro di gravità. Per questo motivo, per rispondere alle minacce lungo la linea alpina, aveva bisogno di qualche settimana per completare la mobilitazione, perciò venne deciso di reclutare a livello locale, vallata per vallata. Il caso degli Alpini è un chiaro esempio di difesa condivisa. La necessità di avere quadri e soldati che conoscessero il territorio, fossero abituate a vivere in quelle zone diede vita al primo modello di reclutamento regionale del Regio Esercito. Uomini nati in montagna, conoscitori del terreno, uniti da vincoli sociali, avrebbero garantito un valido ostacolo all’invasore, poiché si sarebbe trattato di difendere il luogo in cui erano nati.

Giuseppe Perrucchetti, fondatore degli Alpini
LA DIFESA DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE GLI EFFETTI DELLA GUERRA FREDDA

Se per lo Statuto Albertino, il Sovrano aveva come prerogativa la Difesa del territorio -articolo 5 -, la Costituzione repubblicana, invece, all’articolo 52 così recita:

La difesa della Patria e’ sacro dovere del cittadino. Il servizio militare e’ obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, ne’ l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.

Il dibattito fu serrato. Si arrivò a proporre persino di dichiarare neutrale il Paese. Ma la posizione geografica dell’Italia sarebbe stata comunque al centro di eventuali conflitti. Per questo, la difesa assunse come modello un esercito di leva con quadri professionisti.

Il nuovo quadro difensivo non fu più autonomo. Le autorità pensarono ad un esercito in grado di arrestare per un breve periodo la minaccia in attesa dell’intervento delle potenze occidentali. Per far fronte a questa situazione era opportuno predisporre una difesa con opere permanenti. Così l’Italia le costruì in corrispondenza delle zone di più probabile ingresso da parte del nemico. Tale configurazione era più facile nei riguardi delle frontiere nord e occidentali, meno alla frontiera orientale in corrispondenza dell’alto corso dell’Isonzo. Per questo, venne presa in considerazione la linea del Piave già sfruttata con successo durante la Prima Guerra Mondiale. 

La percezione di un probabile conflitto, soprattutto, lungo il confine orientale aveva tenuto alta la tensione per quasi tutto il periodo della Guerra Fredda. La diminuzione della percezione di un conflitto dietro casa introdusse nel dibattito pubblico il problema della riduzione dell’impalcatura militare in relazione al cessato pericolo.

VERSO UN MODELLO PROFESSIONALE

Il dibattito nato a seguito del crollo del muro di Berlino ha portato il Paese e molti partner occidentali a prediligere un esercito professionale. Questo processo ha consentito la promulgazione della legge 331 del 14 novembre 2000 e alla Legge n. 226 del 23 agosto 2004.

PERCHE’ OCCORRE RIPENSARE LA LEVA?

Oggi a quasi vent’anni dalla legge che sospende la leva, occorre non solo interrogarsi sui nuovi scenari e sul dinamico cambiamento geopolitico soprattutto nelle zone vicine di interesse italiano (Balcani, Mediterraneo, nord Africa, Vicino Oriente), ma soprattutto su ciò che comporterebbe la minaccia dello spazio cyber.

Per prima cosa, supponiamo i peggiori scenari che potrebbero verificarsi:

  1. Guerra in zone di interesse nazionale; invasione del territorio Nazionale – da tener presente in un’ipotesi di caso peggiore –
  2. Escalation interna dovuta a terrorismo di diversa matrice, crisi economica, crisi sanitaria;
  3. Attacchi all’Infosfera e alle infrastrutture informatiche critiche.

Per i primi due, l’attuale sistema di difesa “professionista” integrato in un sistema di alleanze militari è quello deputato a rispondere, ma è l’ultimo scenario quello verso cui occorrerebbe orientare un nuovo modello di difesa condivisa, dove il cittadino è una parte attiva fondamentale.

Ripensare la leva, sotto forma di tutela del cyber spazio può contribuire a fornire gli strumenti minimi per garantire la sicurezza prima dell’intervento del “professionista”, in un probabile scenario bellico graduale che potrebbe partire con l’inibizione dei Data Center.

Tuttavia, la condivisione degli obiettivi di difesa nella dimensione cyber potrebbe anche costituire un primo approccio del “coscritto” verso il mondo della Difesa “professionale” allargando così il bacino di reclutamento.

La coscrizione e il servizio civile non devono essere utilizzati per fini educativi, per quello esistono istituzioni sociali e pubbliche – come ad esempio, famiglia e scuola – .

Esse devono essere visti come momenti formativi da cui apprendere la cultura della Difesa e portarla in dote ai soggetti produttivi ove si sarà impiegati.

RIPENSARE UN NUOVO MODELLO

Come obiettivo, il nuovo servizio militare dovrebbe servire a costituire e diffondere la cultura della sicurezza condivisa, in linea con quanto sancito dall’articolo 52 della Costituzione, agendo nell’unico spazio fluido dove la sola componente di professionisti non può ottenere l’efficacia auspicata. Questo modello non ha più bisogno di strutture come le caserme, può essere articolato sul territorio e organizzato in simbiosi tra istituzioni e soggetti economici.

Occorre adattare la funzione della nuova coscrizione alle esigenze operative, mettendo subito in risalto la minaccia percepita, in una parola Difesa partecipata. Ripensare la leva vuol dire rendere il cittadino consapevole dei legittimi interessi della collettività, altrimenti si rimane sudditi degli interessi altrui. In questo, l’aumento dell’alfabetizzazione digitale e della formazione può solamente giovare, oltre che alla difesa, al tessuto economico e sociale. Tale processo si può realizzare solo attraverso la collaborazione delle Istituzioni, coordinate dalla Regia presente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Emanuele Di Muro. Si diletta a correre maratone attraverso i sentieri della storia.Il suo anno di nascita ha irrimediabilmente condizionato la sua propensione a elaborare strampalate previsioni geopolitiche.#Runninginhistory

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