Scoordinazione, il “forum shopping” delle mafie

Nel corso degli ultimi due decenni la criminalità organizzata, soprattutto quella di stampo mafioso, ha acquisito un carattere marcatamente transnazionale. La spinta delle organizzazioni criminali alla ricerca, oltre frontiera, di nuovi mercati ed alleanze con gruppi criminali stranieri, fra l’altro, ha accresciuto il rischio del c.d. forum shopping o jurisdictional shopping: cioè la scelta da parte delle organizzazioni criminali degli Stati dove (a causa dell’assenza di politiche criminali e legislative di contrasto efficaci) è meno rischioso compiere le attività illecite.

Le parole di Christian Ponti, professore di diritto internazionale all’Università degli Studi di Milano, delineano quello che si potrebbe definire il problema principe della lotta alla criminalità organizzata transnazionale nell’era della globalizzazione. La mancanza di coordinamento – tanto a livello nazionale, tra agenzie che condividono il medesimo obiettivo, quanto sul piano internazionale, tra i diversi stati – costituisce infatti la ragione primaria dell’odierno successo dei gruppi criminali globali.

Se da una parte queste organizzazioni si dimostrano capaci di sfruttare la dimensione fluida del mondo moderno, dall’altra stati e organi intergovernamentali annaspano tra le sabbie mobili del diritto e della cooperazione internazionale. Fluidità contro rigidità, assenza di frontiere contro confini nazionali, collaborazione criminale contro scoordinazione internazionale: è questa dicotomia costante a favorire il prosperare delle mafie, che a differenza degli Stati-nazione non conoscono limitazioni geografiche o legali al proprio agire e, laddove sorgano complicazioni, sfruttano i vantaggi offerti dalla globalizzazione trasferendo i propri business in paesi caratterizzati da legislazioni più permissive.

La ‘ndrangheta nel mondo – WikiMafia

Il fenomeno viene comunemente definito forum o jurisdictional shopping, che ben esprime la pratica delle organizzazioni criminali di muoversi da una legislazione all’altra, come in un grande centro commerciale del diritto, alla ricerca del miglior cavillo/prodotto legale da acquistare.

Basta individuare il paese più accondiscendente verso l’attività illecita che si intende condurre. La mancanza di intenti e leggi comuni a livello internazionale fa il resto. Scrive in merito Moisès Naìm, autore di Illecito [Mondadori, 2006]:

Così, in pratica, quello che è ‘illecito’ in un paese può non esserlo in un altro. […] Ma anche quando due nazioni concordano nel considerare reato una certa attività, possono attribuirle un peso politico, e perfino morale, diverso e imporre di conseguenza pene differenti. […] Per i trafficanti, tutte queste differenze – moltiplicate per duecento e più nazioni – generano una speciale mappa del mondo: una sorta di mappa degli incentivi al commercio, in cui quanto più un’area è grigia tanto maggiori sono le opportunità del profitto.

Può capitare, ad esempio, che un paese all’apparenza molto evoluto e progredito da un punto di vista civile come il Canada, diventi meta di villeggiatura – e non solo – per diversi capi della ‘Ndrangheta, data l’impunità che il regime legale ivi presente offre loro. Nel “Criminal Code” canadese infatti, il reato di associazione a delinquere di natura mafiosa non è pervenuto, così le autorità si dimostrano estremamente restie a concedere l’estradizione per simili reati.

Montreal, 2010: funerali dello ‘ndranghetista Nicola “Nick” Rizzuto. Sì, la bara è d’oro. © L’Espresso

Sarebbero così almeno 13, ad oggi, gli affiliati ‘ndranghetisti condannati in Italia per reati di stampo mafioso ma che si muovono e operano indisturbati tra Toronto, Montréal, Thunder Bay e Vancouver, in quella che sembrerebbe essere una vera e propria zona franca per il crimine organizzato. Uno di questi, Don Carmine Verduci, in Canada ha persino incontrato la morte, brutalmente trucidato nell’aprile di tre anni fa nei pressi di Woodbridge. Paradossalmente, proprio la libertà di cui godeva fu causa della sua violenta dipartita, come ha scritto Giovanni Tizian nella brillante inchiesta apparsa su “L’Espresso”:

[…] il boss Verduci, pur ricercato numero uno per le autorità italiane, era un cittadino libero di muoversi in terra canadese. Tanto che i killer non hanno avuto alcun problema a pedinarlo e freddarlo alla luce del sole. Per l’antimafia italiana, però, era ancora un latitante. Salvo dalle patrie galere, ma condannato a morte in Canada.

Un paradosso del diritto moderno, questo, che ha giocato uno scherzo mortale al boss calabrese e che rappresenta allo stesso tempo un nodo di vitale importanza per la formulazione di un’efficiente strategia di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale. Ostinarsi ad affrontare un problema globale con strumenti nazionali infatti, genera un ritardo pericoloso tra quella che è l’azione dei criminali a livello internazionale e la formazione di norme giuridiche pertinenti ed efficaci in grado di contrastarli.

Diversamente, un’azione di armonizzazione dei diversi regimi legali in materia, possibilmente basata sull’esempio offerto da quei paesi che il fenomeno criminale mafioso è anni che lo combattono, si rivelerebbe di fondamentale interesse. Produrre leggi il più possibile condivise nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata transnazionale, fornirebbe di fatto a giudici e magistrati dei riferimenti legali di incredibile rilevanza per condurre quelle indagini che hanno come oggetto centrale gruppi criminali attivi in più paesi. Si arriverebbe infatti a privare questi ultimi della possibilità di aggirare le legislazioni nazionali attraverso il meccanismo del forum shopping, colpendoli per i loro reati indistintamente dallo stato in cui questi siano stati commessi. Questo pensiero è alla base di quanto scritto già nel 2015 dal professor Ponti circa l’importanza di un processo di armonizzazione delle legislazioni penali statali sul crimine organizzato globale:

La realizzazione a livello internazionale di parametri definitori comuni in relazione ai reati e alle pene applicabili alla criminalità organizzata, unitamente al loro recepimento nelle legislazioni statali (in un’ottica globale) rappresenta un punto cruciale sotto il profilo repressivo, in quanto consente di rafforzare l’attività dei giudici nazionali (dal momento che i criminali hanno minori possibilità di sfruttare le lacune giuridiche presenti in alcuni Stati per sfuggire alla punizione); ed agevola la cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale; in particolare nella forma dell’estradizione, la quale generalmente non può prescindere da una adeguata armonizzazione dei reati nelle legislazioni penali statali.

Ad oggi, per quanto la necessità di un simile percorso virtuoso sembri essere condivisa dalla maggior parte degli attori internazionali, la realtà dei fatti riporta una situazione parzialmente diversa. Nonostante gli sforzi a livello regionale e internazionale (su tutti la Convenzione di Palermo del 2000), sono ancora molti gli ostacoli che si frappongono alla creazione di una strategia comune realmente condivisa ed applicata da tutte le parti in causa. Primo fra tutti il principio della sovranità nazionale, da sempre grande nemico del diritto internazionale e su cui i paesi tutt’oggi si dimostrano refrattari a fare concessioni.

L’importanza dei Protocolli di Palermo del 2000 sulla criminalità organizzata transnazionale: 188 sono infatti i paesi firmatari in tutto il mondo. Molti meno, tuttavia, quelli che ne hanno implementato in maniera efficace le direttive. © Wikipedia

Ciononostante, per quanto il quadro globale non appaia tra i più rosei, non possiamo permetterci di perdere le speranze. Dobbiamo continuare a richiamare l’attenzione sulla centralità e pericolosità del fenomeno criminale transnazionale, con la speranza che questo sentimento giunga ai quadri decisionali dei singoli paesi. Le mafie costituiscono un problema fondamentale della nostra epoca, potenzialmente letale se lasciate libere di agire, ma allo stesso tempo restano un fatto umano, pertanto caduco e fallace. Se studiata con minuzia e affrontata di concerto infatti, è possibile sconfiggere la criminalità organizzata. Ciò di cui abbiamo bisogno è solamente un’adeguata conoscenza del soggetto ed una condivisa e granitica volontà di affrontarlo.

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FONTI

  • Christian Ponti (2015) Il diritto internazionale e la criminalità organizzata, Rivista di Studi e Ricerca sulla Criminalità Organizzata V.1 N.1.
  • L’Espresso, Il Canada è diventato il paradiso dei mafiosi. 20 gennaio 2017.
  • Moisès Naìm, Illecito, Mondadori, 2006.

Tomas Strada (1992), è l'orso digitale che gestisce la nostra comunicazione. Campione mondiale di video di gattini, black humour e lauree professionalmente non spendibili, racconta la criminalità organizzata sulle pagine digitali di The Pitch. Tra un reel e un articolo, è sinceramente convinto che The Pitch migliorerà il mondo. Ma credeva anche che i 30 anni non sarebbero mai arrivati. E invece.

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