Siamo tutti pecore

[I virgolettati che seguono sono tratti da un’intervista fatta a Simone Fugazzotto poco dopo la finale di Coppa Italia dello scorso anno, e pubblicata su Kongnews il 27 maggio 2019].

Passa la gran parte della sua giornata tipo nella casa-studio di Milano, in fondo a via Savona verso il Giambellino. Una zona di suggestioni non solo artistiche: dalle fabbriche dismesse, al quadrilatero del design, passando per Vallanzasca che bazzicava le bische della zona negli anni ‘70. «Sto cercando di capire se comprarla – mi diceva a maggio. Ho preso casa in affitto con “diritto di riscatto” molto alto, sapendo già di non potermela permettere» – E infatti Fugazzotto non ha “riscattato” la casa-studio, oggi vive ad Abbiategrasso e lavora nella periferia nord-ovest di Milano.

Grande tifoso interista, Simone va spesso allo stadio. Era a San Siro anche il 26 dicembre scorso, durante Inter-Napoli, quando Kalidou Koulibaly, difensore senegalese dei partenopei, è stato ripetutamente insultato con cori, buu e versi della scimmia. «Mi sono vergognato dei miei “brothers” interisti: il verso della scimmia, roba brutta. Il calcio è la mia passione, le scimmie il mio soggetto e sono esattamente l’insulto che rivolgono ai neri. Dovevo dire la mia!». L’idea, nata in uno stadio, è stata ridipinta con una performance live in un altro impianto calcistico, l’Olimpico di Roma, durante la finale di Coppa Italia. Così è nata “We are all the same”, un trittico di scimmie – il soggetto che ha caratterizzato l’intera opera dell’artista Fugazzotto – che hanno nel muso i colori di Lazio e Atalanta – finaliste di coppa a Roma e con gli stessi colori sociali di Inter e Napoli – e del pallone della Serie A. «Mi arriva un’idea: perché non smettere di censurare la parola scimmia nel calcio ma rigirare il concetto e affermare invece che alla fine siamo tutti scimmie?».

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«Dopo aver ritratto per una vita esseri umani, da anni dipingo praticamente solo scimmie». Ad un certo punto del suo percorso l’artista si accorge di non riuscire a fare la differenza con il soggetto che hanno tutti: l’uomo. Ecco che allora scopre la chiave di volta: «la scimmia è lo stratagemma, l’escamotage, la metafora perfetta per raccontare l’essere umano». Tra le creature è quello con il bagaglio genetico più vicino a noi, è credibile se fa le cose che fa un uomo, anzi dà maggior risalto alle contraddizioni dell’esistenza umana: «una scimmia con le pistole, una scimmia che si trucca, in gabbia, rendono il tutto più immediato nel suo essere ridicolo. È l’espediente narrativo perfetto che mi garantisce infinite possibilità di racconto». Con i soggetti dei suoi quadri l’artista ha creato una simbiosi profonda che coinvolge anche la sua esperienza di vita: «Le mie scimmie raccontano come mi sento: una creatura fuori contesto. Mostrano difetti, vizi, debolezze e difficoltà».

Nella stessa settimana della performance live all’Olimpico di Roma, in un altro stadio si è concluso un percorso sportivo, iniziato coi fischi di San Siro. Al San Paolo, prima di Napoli-Inter, Kalidou Koulibaly ha ricevuto il premio di Miglior Difensore della Serie A. A consegnarglielo è stato proprio Simone Fugazzotto: «Sono onorato che mi abbiano scelto per premiare Kalidou, quell’episodio è stato fonte di ispirazione per le mie opere, per affermare che le persone si identificano per quello che fanno, non certo per il colore della pelle». L’intesa col difensore senegalese è subito stata fortissima: «Ho avuto il piacere di fare delle interviste con Kalidou, lui si è man mano appassionato: è entrato nel mood dell’opera d’arte. È stato emozionante entrare con lui al San Paolo, consegnargli il premio mentre lo stadio esplodeva».

Il progetto è stato realizzato con la collaborazione della Lega Serie A e dell’Advisor dei diritti Tv del nostro calcio Infront. L’opera e stata poi esposta a Reggio Emilia, in occasione di “L’arte del gol”, una mostra in occasione degli europei del prossimo anno. Sarà esposto il gotha degli artisti storicizzati italiani che hanno fatto opere legate al calcio: Schifano, Guttuso, Carrà, Sironi. E poi una selezione dei migliori contemporanei, «io sarò insieme a Cattelan!». Da ultimo, lunedì la Lega Serie A ha deciso di riproporre la stessa opera nella sua sede milanese per rilanciare la campagna anti-razzista in occasione della finale di Supercoppa Italiana a Riad, in Arabia Saudita. Ha suscitato polemiche.

Cosa è cambiato in poco più di sei mesi nel dibattito sportivo italiano?
L’impressione è quella di vivere in un paese ai minimi termini, dove si può parlare o raffigurare il razzismo solo in termini “liofilizzati”.
Certo, negli ultimi tempi i pasdaran del politicamente idiota si sono superati con contributi sensazionalistici che hanno fatto un gran parlare di Libero e del Corriere dello Sport, pur senza far vendere a Feltri e Zazzaroni una copia in più dei loro quotidiani di “informazione” sportiva. La sensazione è che questo schema collaudato giornale da 30mila copie – titolo becero – 3 milioni di interazioni sui social, principalmente per assenza di rivali nel dibattito.

Si è abbandonato il campo al grido “fuori la politica dal calcio“. Ed i risultati, non solo nel nostro paese, si vedono. Chiunque voglia parlare o rappresentare in una versione che non sia edulcorata un tema scomodo è soggetto a critiche. Sembra quasi che esista una sola versione accettata per parlare delle nostre miserie. Questo livellamento verso il basso del discorso pubblico rende la vita facile a chi si è costruito una carriera sulla chiacchiera da bar.

Il discusso trittico “We are all the same” – Repubblica.it

Ora veniamo al caso mediatico che ha circondato la più insignificante – per farle un complimento – partita del nostro calcio. Quella della Lega Serie A è un’iniziativa politica, discutibile. Ci sono due errori di impostazione dietro la riproposizione del trittico We are all the same: l’utilizzo da parte di un ente pubblico di un’opera d’arte a scopi politici, come è una campagna contro il razzismo; e il fatto che un artista si trovi costretto a spiegare la sua opera, impedendo la fruizione autonoma dell’opera da parte dell’osservatore, il mistero alla base dell’arte. Un combinato – forse non – disposto di errori che ha dato per assurdo dato vita ad un’iniziativa riuscita, proprio grazie alla discussione che è stata in grado di generare.
Non abbiamo mai dibattuto così tanto di un argomento come il razzismo nel mondo del calcio. Nella speranza che, magari anche grazie a questa discussione, gli organismi del calcio inizino a prendere iniziative differenti per combattere concretamente questo cancro che è il razzismo.

Lo abbiamo fatto a margine della partita – repetita iuvant – più insignificante del calcio italiano, per giunta giocata in un paese che in quanto a diffusione di odio nel mondo non è secondo a nessuno. Forse si, l’Arabia Saudita, essendone il cagnolino da guardia, è seconda agli Usa, paese da cui provengono i proprietari delle due squadra che più si sono lanciate nella campagna di disapprovazione del trittico sulle scimmie.
È normale – non per questo condivisibile – che sia così, ci sono interessi in ballo ed i club fanno il loro gioco. Meno normale è il livello del dibattito, dove qualsiasi qualsiasi proposta provocatoria – anche se dalla stessa parte della barricata – viene additata con orrore.

Il problema siamo noi che siamo pecore perché non siamo stati di andare oltre il primo livello di analisi dell’opera. I razzisti dicono che i “negri” sono come le scimmie e quindi non si possono raffigurare scimmie. Come a dire che Dante non potrebbe punire i peccatori dell’Inferno per analogia, sarebbe anche lui un blasfemo.

Classe 92', fondatore e direttore di The Pitch. Stefano vanta una laurea in Storia, una in Relazioni Internazionali, oltre a innumerevoli esperienze lavorative sottopagate. Sogna di commentare un’elezione presidenziale negli USA e il Fano in Serie B: ambedue da direttore di The Pitch.

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