Soldati e bombe, cannoni e trombe

a cura di Andrea Sciotto

La mattina del 9 maggio 1945, anche l’Unione Sovietica annuncia la capitolazione della Germania nazista. Gli alleati occidentali hanno già iniziato a festeggiare il giorno prima. Giunge così a termine il più sanguinoso conflitto della storia d’Europa, con quasi 40 milioni di morti in meno di sei anni solo nel vecchio continente.

Winston Churchill saluta la folla a Whitehall nel Victory in Europe Day – Wikmedia Commons

È difficile immaginare ciò che possono aver provato le persone che si riversano in strada a migliaia in quei giorni. Il terrore dei bombardamenti e la quantità indicibili di lutti sono ancora freschi nella memoria, ma cominciano a farsi spazio anche il senso di liberazione e la speranza di un futuro davvero migliore. Di sicuro, per molti, il primo impulso sarà stato quello di sfogarsi con la musica: cantare, suonare, ballare e provare, almeno per un attimo, a dimenticare tanta atrocità.

Non che la musica si fosse mai fermata davvero, durante la guerra. Tutt’altro: dai canti intonati dai soldati di ogni schieramento, a volte capaci di superare persino il fronte nemico, e dall’uso massiccio che ne ha fatto la macchina della propaganda, risulta evidente la presenza delle trombe a fianco dei cannoni. In occasione dei 75 anni dal VE Day, ripercorriamo la storia del conflitto con nove brani dell’epoca.

Prologo (Kurt WeillKanonensong)

La Germania tra le due guerre mondiali è teatro di conflitti sociali pesantissimi. L’Impero del Kaiser Guglielmo II è crollato e al suo posto è stata istituita la cosiddetta Repubblica di Weimar. L’economia del paese è allo sbando, a causa dell’enorme debito imposto dai nemici con la firma del Trattato di Versailles. L’iperinflazione e la crisi del ’29 sferranno il colpo di grazia e preparano l’ascesa al potere del nazismo.

È in questo contesto esplosivo che Bertolt Brecht e Kurt Weill scrivono l’Opera da tre soldi, una trasposizione in chiave jazz e cabaret della Beggar’s Opera di John Gay. L’ambientazione è la Londra vittoriana, ma è palese la critica feroce alla società tedesca del tempo, un affresco di criminali e prostitute dipinti in modo da risultare indistinguibili dalla “buona” borghesia capitalista. Nella Kanonensong (Canzone dei cannoni), il bandito Mack the Knife e il capo della polizia Jackie “Tiger” Brown, amici di vecchia data, rievocano i bei tempi andati delle guerre coloniali, in cui potevano fare di ogni razza, nera o bianca, una “Beefsteak Tartar“.

Bonus track: la canzone con cui si apre l’Opera da tre soldi, Die Moritat von Mackie Messer, è diventata uno dei più celebri standard Jazz, cavallo di battaglia di cantanti come Ella Fitzgerald, Frank Sinatra e Louis Armstrong. Qui proponiamo la versione del sassofonista Sonny Rollins, dall’album Saxophone Colossus del 1956.

I preparativi: (Leadbelly – Mr. Hitler)

La parentesi di Weimar si è chiusa. La Germania torna, per la terza volta, a chiamarsi Reich. A guidarla è il Führer, Adolf Hitler, che intende ripristinare la purezza della razza ariana e dotare il paese del suo spazio vitale a spese dei popoli inferiori. Ebrei, slavi, negri, tutto ciò che non rispecchia lo spirito teutonico è un nemico mortale da disintegrare. Prima che venga messa in funzione la macchina dello sterminio, viene bandita ogni forma di influenza delle razze inferiori sulla vita pubblica. Tra le forme più atroci di Entartete Kunst (arte degenerata) c’è il jazz, mortale connubio di cultura giudaica e negroide.

A quei tempi, il blues faceva fatica a diffondersi fuori dalle comunità nere negli stessi Stati Uniti. Questa musica ruvida e a tratti oscura sarebbe diventata nota al grande pubblico bianco solo nel dopoguerra, grazie al Rock e al Folk revival. La guerra e la storia non sono tra i temi caratteristici del genere, ma è evidente che i bluesmen non abbiano mai nutrito grandi simpatie verso i nazisti (tedeschi prima, dell’Illinois dopo), come si evince da Mr. Hitler di Leadbelly.

Bonus track: Leadbelly ha inciso e reinterpretato una quantità impressionante di canti popolari e work song, che sarebbero state poi prese a modello da miriadi di artisti, dai Led Zeppelin ai Nirvana, dai Creedence Clearwater Revival a Tom Waits. La più celebre delle sue cover è probabilmente Black Betty, hit dei Ram Jam e di Tom Jones.

La guerra-lampo: (Lale Anderson – Lili Marleen)

1° settembre 1939. Con l’invasione della Polonia, hanno inizio le ostilità. La strategia messa in atto dai tedeschi prende il nome di Blitzkrieg, guerra-lampo, data la rapidità con cui Hitler intende conquistare l’Europa. In soli due anni, la bandiera con la svastica viene issata in un’area che si estende da Parigi fino alle porte di Mosca.

Tra le canzoni-simbolo dell’epoca, c’è un poemetto scritto ai tempi della prima guerra mondiale, inciso da Lale Andersen alla fine degli anni Trenta: Das Mädchen unter der Laterne, poi nota in tutto il mondo come Lili Marleen. Trasmessa dalle radio tedesche per intrattenere i soldati, venne inizialmente osteggiata dal ministro della propaganda Joseph Goebbels. Ma l’insistenza dei suoi estimatori, su tutti il comandante degli Africa Korps Erwin Rommel, fece sì che venisse diffusa quotidianamente. Curiosamente, Lili Marleen fu molto apprezzata anche dai soldati angloamericani, che la conobbero nella versione cantata da Marlene Dietrich.

Bonus track: di Lili Marleen è stata fatta anche un’improbabile versione disco music, cantata da Amanda Lear. Nulla a che vedere comunque con la parodia di Hitler che canta Born to be alive.

Calma e tieni duro (Vera Lynn – We’ll Meet Again)

«Non ho altro da offrire che sangue, fatica, lacrime e sudore». Queste le parole che Winston Churchill utilizza per inaugurare il suo mandato di Primo ministro britannico. E la promessa è presto mantenuta: gli ultimi mesi del 1940 vedono Londra bombardata dalle potenze dell’Asse. I civili si rifugiano nella metropolitana, mentre l’aviazione si adopera a respingere le incursioni tedesche. Nel frattempo, numerosi sono gli inviti a non perdersi d’animo in questo momento difficile.

Tra questi, il più famoso è il messaggio di speranza di We’ll meet again, cantato da Vera Lynn. Non so dove / non so quando / ma so che ci rivedremo / in un giorno di sole. È questo assoluto e incrollabile ottimismo che porterà Stanley Kubrick a utilizzare il brano come sarcastico commento all’apocalisse nucleare, nel finale del Dottor Stranamore.

Bonus track: Does anyone remember Vera Lynn? / Remember how she said that / We would meet again / Some sunny day? Con questi versi Roger Waters dei Pink Floyd cita esplicitamente la canzone nell’album The Wall.

Il Pacifico (Spike Jones – You’re a Sap mr. Jap)

Gli Stati Uniti non prendono subito parte ai combattimenti, ma l’attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbor nelle Hawaii nel dicembre del ’41 non lascia più spazio a esitazioni. Un nuovo fronte si apre nell’oceano che separa il Far West dall’Estremo Oriente, elevando la guerra a una scala davvero mondiale.

La mobilitazione è totale, ogni industria e ogni lavoratore viene chiamata a fare la propria parte per sconfiggere il nemico. Persino il mondo dei fumetti e dei cartoni animati: è in questo periodo che nascono personaggi come Capitan America, mentre Disney, Warner Bros., MGM e compagnia bella producono numerosi filmati di propaganda. La qualità è in alcuni casi discutibile, e molte sarenno le censure negli anni a venire, ma grazie a internet è oggi possibile rivedere Daffy Duck dare scoppole ai nazisti o Braccio di Ferro affondare una nave nipponica, come in You’re a Sap Mr. Jap del 1942. La versione qui proposta è cantata da Spike Jones, pioniere della musica demenziale e tra le principali fonti di ispirazione di Frank Zappa.

Bonus track: un’altra canzone di propaganda interpretata da Spike Jones è Der Fuehrer’s Face, tratta dal cartone omonimo in cui Paperino è un operaio nella Germania nazista.

La riscossa (Georgi Vinogradov – Katjuša)

Barbarossa è il nome dell’operazione con cui Hitler intende mettere in ginocchio l’Unione Sovietica. La conquista di Mosca fallisce, e le sorti tedesche si capovolgono definitivamente con la battaglia di Stalingrado: sette mesi di scontri casa per casa, con quasi un milione e mezzo di morti. Il colpo assestato alla Germania è pesantissimo, e da questo episodio cruciale i sovietici trarranno la spinta per avanzare fino al tetto del Reichstag.

Canzone diffusissima tra le truppe dell’Armata Rossa è Katjuša, scritta da Matvej Blanter e Michail Isakovskij. Argomento, come per Lili Marleen, è la classica ragazza che soffre per il suo amato che combatte lontano. Un po’ banale. Ma la canzone era talmente popolare tra i soldati russi che decisero di dare ai loro lanciarazzi il nomignolo di Katjuša. E a lei dedicarono pure una nuova versione del testo: la cosiddetta Katjuša del fronte. Non più «O canto, canto di ragazza / vola seguendo il sole luminoso / e al soldato sul fronte lontano / porta i saluti di Katjuša», ma «E tu vola, vola, come si suol dire / a mangiare a casa del diavolo! / E con tanti crucchi ridotti a scheletri / da Katjuša, salutaci l’inferno».

Bonus track: esatto, Katjuša è la versione originale di Fischia il vento. Il testo italiano è del partigiano Felice Cascione, nome di battaglia U Megu, che lo aveva provato in un primo momento sulle note del Va pensiero. Alla sua brigata operante nel ponente ligure, a lui intitolata dopo che morì in battaglia, si sarebbe arruolato di lì a poco anche un ventenne Italo Calvino.

Lo sbarco (Glenn MillerIn the Mood)

Dopo due anni di pianificazione e di preparativi, il 6 giugno 1944 avviene lo sbarco degli Alleati sulle coste della Normandia, che apre un nuovo fronte sul continente e segna l’inizio della fine per Hitler e il Reich. Proprio gli errori di valutazione del Führer sono tra le cause del successo dell’operazione angloamericana, che lascia comunque decine di migliaia di corpi sui campi di battaglia e sulle spiagge.

Arruolato nell’Aviazione americana, a “comando” della Army Air Force Band, troviamo una vera superstar dell’epoca: Glenn Miller, tra i più celebri esponenti dello Swing. Dopo aver cercato insistentemente di unirsi alle Forze Armate, ricevette il grado di capitano prima e di maggiore poi per la sua instancabile attività di intrattenitore dei commilitoni. Attività che gli sarebbe purtroppo costata la vita: l’aereo che doveva portare Miller a Parigi, il 15 dicembre 1944, scomparve nel nulla mentre sorvolava la Manica, probabilmente abbattuto per errore da fuoco amico.

Bonus track: in un certo senso, anche i musicisti rimasti oltreoceano presero parte allo sforzo bellico. Nei primi anni quaranta si ebbe una produzione industriale di brani a tema “cosa fare in caso di blackout”, “attacchi aerei” e “spie naziste”. Un esempio ce lo fornisce un altro king of the Swing: Duke Ellington, con A Slip of the Lip (Can Sink a Ship).

La fine (Dick Gaughan – The 51st Highland Division’s Farewell to Sicily)

La liberazione d’Italia, la caduta di Mussolini e Hitler, la resa del Giappone. La guerra è finita, vittoria! Ma festeggiare non è semplice. Troppo l’orrore ancora impresso negli occhi: i campi di sterminio, la bomba atomica, milioni di vittime civili e una generazione che, pur potendo gioire di essere sopravvissuta, si porterà addosso traumi indelebili.

Poche canzoni sanno descrivere un momento così contrastante meglio di The 51st Highland Division’s Farewell to Sicily. L’autore, lo scozzese Hamish Henderson, capitanava la cinquantunesima divisione di fanteria dell’esercito britannico, e la scrisse mentre organizzava il ritorno dei suoi uomini in patria dopo la liberazione della Sicilia. Un cielo strano e grigio sopra Messina, un nostalgico addio all’isola, con le sue spiagge, le valli e le ragazze, ma allo stesso tempo l’impazienza di tornare, stremati, a casa. Sembra che Henderson abbia avuto l’ispirazione per il testo udendo delle cornamuse intonare Farewell to the Creeks mentre si trovava nei pressi di Linguaglossa. Una scena a cui sarebbe stato bello assistere.

Bonus track: Bob Dylan ha affermato di essersi ispirato a questa canzone per The Times They Are A-Changin’.

Postfazione: l’Europa “libera” (Anton Karas – The Third Man Theme)

Finalmente, la pace. L’Europa è in ginocchio e le città sono ridotte a cumuli di macerie. Stati Uniti e Unione Sovietica, le potenze non più alleate, dividono il continente in due aree di influenza dando inizio alla Guerra fredda. Le due Germanie, il Piano Marshall, il boom economico… qui si chiude il nostro racconto e ha inizio la storia dell’integrazione europea.

«La città è divisa in quattro zone, ciascuna occupata da un alleato: quella americana, quella britannica, quella russa e quella francese». Così inizia Il terzo uomo (1949) di Carol Reed, ambientato nella cornice di una Vienna sotto il controllo alleato e dominata dal mercato nero. Qui l’americano Holly Martins indaga sulla strana morte dell’amico Harry Lime, interpretato da un sontuoso Orson Welles. Un capolavoro del noir da cui emerge chiaramente come la liberazione, e la transizione dalla guerra al miracolo economico, siano stati processi tutt’altro che semplici. Ciliegina sulla torta, la colonna sonora di Anton Karas, virtuoso del zither incontrato per caso da Reed in una taverna di Vienna durante le riprese del film.

Bonus track: con la colonna sonora del Terzo uomo, Karas divenne una celebrità in tutto il mondo, al punto che ricevette udienza da papa Pio XII e suonò davanti ai Reali d’Inghilterra. Nel 1964 avrebbe poi accompagnato Rita Pavone in Viva la pappa col pomodoro, su musica di Nino Rota. Sic transit gloria mundi.

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