Speranza per una sanità migliore?

Sono molti gli elettori di sinistra ad aver gioito per le prime dichiarazioni, rilasciate al Corriere della Sera e alla Stampa, dal neo-ministro della Salute Roberto Speranza.

Roberto Speranza il giorno del giuramento come ministro. Fonte: Filippo MONTEFORTE / AFP

Il 40enne, eletto alla Camera nel 2018 con Liberi e Uguali, si è più volte richiamato all’articolo 32 della Costituzione, ribadendo il diritto alla salute dell’individuo nell’interesse della collettività, difendendo l’universalità del sistema sanitario nazionale (Ssn) e promuovendo un maxi piano di assunzioni. Le sue prime dichiarazioni richiamano il disegno di legge a sua prima firma, presentato alla Camera nella prima seduta dell’attuale legislatura, il 23 marzo 2018. Si intravede l’influenza dell’ambiziosa “Quota 10” promossa da Bersani, che si proponeva di destinare 10 miliardi alla Sanità nel triennio 2018-2020.

Fonte: www.dilei.it

Il percorso tracciato da Speranza è dettagliato e prevede <<la riduzione della quota di interessi passivi deducibili ai fini Ires e Irap per le banche che dall’attuale 100% passerebbe all’82%, mentre dal 96 all’92% si ridurrebbe quella di assicurazioni e fondi di investimenti mentre verrebbe fissata all’82% quella delle SIM (Società di Intermediazione Mobiliare)>>.

In poche parole, a stanziare i nuovi fondi per la sanità – che passerebbero dagli attuali 114,5 miliardi ai 118 del 2020 – dovrebbero essere banche, assicurazioni e fondi di investimento. Per quanto attraente possa apparire questo programma, non è stato in alcun modo evidenziato come le banche possano reagire a queste affermazioni e se su questi temi vi sia sintonia con il ministero dell’Economia – in vista dell’imminente legge di Bilancio, da approvare in entrambi i rami del Parlamento entro il prossimo 31 dicembre.

Dal progetto “Quota 10” dipende soprattutto il piano di assunzioni che, nelle intenzioni di Speranza, dovrebbe risolvere molti dei problemi di cui il Ssn (Servizio Sanitario Nazionale) dovrà presto occuparsi. Si pensi alla corsa al pensionamento dei medici ospedalieri che, in particolare con Quota 100, rischia di paralizzare molte realtà territoriali; l’imbuto formativo che colpisce i neolaureati in Medicina che non riescono ad accedere al mondo del lavoro per l’esiguo numero di borse di studio di specialità; l’assunzione “a gettone” di personale medico a partita Iva, assunto a prestazione dall’ospedale con costi superiori a quelli di uno specialista assunto a tempo indeterminato; per non parlare delle assunzioni interinali di infermieri e personale ospedaliero attraverso agenzie, spesso con sede all’estero.

Fonte: www.nebrodinews.it

Sulle modalità con cui Speranza intende affrontare questa crisi ancora non vi è stata indicazione, nonostante le numerose promesse da campagna elettorale (da ultima quella alla Festa di LeU a Padova), se non l’idea di proseguire nell’azione dell’ex ministro Giulia Grillo che aveva avviato una parziale abrogazione dei vincoli di assunzione.

In ultimo, vi è l’eliminazione del cosiddetto “superticket”, un’imposta dai 10 ai 30 euro da pagare al momento della prenotazione di visite ed esami diagnostici specialistici, in aggiunta al ticket ordinario. Ticket e superticket nascono con presupposti e obiettivi molto diversi. Il primo (con massimale di 36 euro) era nato alla fine degli anni ‘80 con l’intenzione di favorire la compartecipazione del cittadino alla spesa pubblica, per renderlo maggiormente consapevole del costo della sanità in un sistema, come quello italiano, che garantisce la gratuità della maggior parte delle prestazioni. Il superticket, proposto nel 2007, è entrato in vigore nel 2011 in piena crisi finanziaria per coprire i buchi del sistema sanitario.

A oggi il superticket è presente in diverse modalità sul territorio nazionale, alla luce della riforma costituzionale del 2001 che in materia di sanità stabilisce una legislazione concorrente tra Stato e regioni. Non è mai stato applicato in Valle d’Aosta, Sardegna, Basilicata e nelle provincie di Trento e Bolzano, mentre in Lombardia è stato ridotto dal massimale di 30 euro a 15, con un’esenzione per le famiglie in difficoltà o con minori o disabili a carico (proposta che entrerà in vigore il 1° ottobre 2019). L’introito annuale del superticket è valutato in circa 600 milioni dal gruppo LeU e la perdita data dalla sua abolizione verrebbe coperta con l’inserimento dell’abrogazione della deduzione forfettaria dei canoni di locazione delle dimore storiche (ovvero l’affitto o la vendita di immobili di proprietà di fondazioni come la Ca’ Granda del Policlinico di Milano). Calcolabile in circa 545 milioni, e da altri 60 milioni appositamente stanziati dalla legge di Bilancio 2018. Ma anche in questo caso Speranza non si è ancora espresso sulle intenzioni dei soggetti interessati e dello stesso Ministero dell’Economia.

Del resto, l’acquisizione di competenza legislativa in materia di Sanità da parte delle regioni ha portato ad ampliare il gap tra regioni “virtuose” (come Lombardia e Lazio) che, attraverso la convenzione tra ospedali privati e ministero della Salute, riescono a ottenere grandi introiti e regioni meno virtuose (come la Puglia) che da anni presentano conti in rosse. Ad oggi, in molte zone del paese non sono ancora garantiti i Lea, livelli essenziali di assistenza che dovrebbero essere assicurati ad ogni cittadino. Gli ospedali privati attraverso convenzioni con lo Stato e l’Università si assicurano migliori servizi e personale, a scapito di quelli pubblici che si trovano sempre più impoveriti e con minori risorse. La stessa abolizione del superticket, per quanto percepito positivamente dalla cittadinanza, rischia di essere uno specchio per le allodole che nasconde il vero problema che il Ssn si trova ad affrontare: la difesa dell’universalità del servizio.

Chiaramente i divari regionali, che necessitano di una revisione costituzionale e di un accordo tra le regioni – ultimamente sempre più attente al tema dell’autonomia – non potranno essere colmati dal solo ministero della Salute. La questione di come racimolare i 10 miliardi promessi, quella sì rimane in capo al nuovo ministro, viste le incessanti promesse ribadite negli ultimi giorni. Promesse che speriamo il neo-ministro, possa riuscire a mantenere, al contrario di molti dei suoi predecessori.

Martina Beltrami, classe 1993, sono laureata in Medicina ma ho preso la strada universitaria alla larga iniziando da Scienze Politiche. Leggo come forma di resistenza e sogno di far quadrare insieme tutte le mie passioni. Magari rinasco Bulgakov.

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