The Sticker Song

Chi presta attenzione alle strade e alle automobili in Israele avrà notato che sono bombardate da adesivi che sembrano gridare qualcosa all’osservatore.
Negli angoli di qualsiasi città, sopra i manifesti o sui paraurti delle macchine c’è una varietà di stickers che definiscono l’identità politica, sociale o religiosa di chi li appiccica promuovendo svariate cause: dall’autodeterminazione dei palestinesi, all’espulsione degli arabi o all’avvento imminente del Messia.
Slogan di un certo impatto, in una terra da decenni al centro dell’attenzione e che ora vive un momento particolarmente delicato.

In Israele sono trascorse due settimane dalle quarte elezioni politiche in due anni e nonostante i tentativi di creare una coalizione non c’è alcun segno di passi avanti rispetto al profondo stallo istituzionale degli ultimi tempi. Si parla già di una quinta tornata elettorale nei prossimi mesi.

Ciascuna elezione dell’ultimo ventennio, si è dimostrata praticamente un plebiscito sulla persona di Bibi Netanyahu. Dal 2016 è indagato per abuso di ufficio, corruzione e frode e i processi inizieranno proprio in questi giorni ma la sua traiettoria politica non accenna a declinare. Il primo partito, come al solito, è stato il suo Likud, a cui sono stati assegnati 30 seggi sui 120 totali. Il premier uscente, però, non è in grado di creare una coalizione capace di raggiungere la soglia necessaria dei 61 seggi, nonostante il manifesto dominio della destra, più o meno estrema, all’interno dello scenario politico israeliano.

Il sistema è multipartitico e la Knesset, il parlamento con sede a Gerusalemme, è composto da 120 seggi che vengono distribuiti a quei partiti che superano la soglia del 3,25%. Un sistema elettorale puramente proporzionale, la cui soglia di sbarramento bassa permette alle molteplici sfaccettature etniche, politiche e religiose una propria rappresentanza politica.

Degli oltre 6 milioni di palestinesi che vivono in un territorio controllato parzialmente o totalmente dal governo israeliano solo il 25 percento di loro può esercitare l’elettorato attivo, ovvero il diritto a eleggere i propri rappresentanti.
È tempo di stagione elettorale anche per tutti gli altri palestinesi che torneranno alle urne quest’estate per le elezioni dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) per la prima volta dal 2006.

Le varie turbolenze della Terra Santa sono rispecchiate dagli adesivi che si appiccicano nelle strade delle città. Vari slogan sono stati raccolti in un testo cantato dal celebre gruppo rap Hadag Nahash. In un articolo del 2004 sul New York Times, il famoso scrittore David Grossman è riuscito a dimostrare abilmente la complessità e le varietà delle sfaccettature della società israeliana che emergono dagli adesivi:

Quando ho messo insieme la lista di questi adesivi, mi sono reso conto che è come una concentrazione di “Israelità” che contiene la brutalità e la necessità di uscire da questa situazione. Più la popolazione rimane nel vicolo cieco di questa situazione, più diventano frustrati, realizzando di essere incapaci di influenzarla. Poche persone a sinistra o a destra sono soddisfatte. E più sono frustrati, più sono estremisti, più adesivi per paraurti appiccicano sulla propria macchina. A volte ti fermi dietro un’auto che sembra una chiassosa manifestazione.

Quindici anni dopo, la band ha deciso di rinfrescare la canzone, raccogliendo alcuni musicisti, tra cui Danny Sanderson, Omri Glickman di Hatikva 6, Dikla, Tomer Yosef e David Grossman stesso, e hanno registrato nuovamente una nuova versione di “Shirat HaSticker“. Di seguito, un’interpretazione di ogni singolo verso:

«Dor Shalem Doresh Shalom» – Un’intera generazione richiede la pace: con questo slogan inizia il brano. Questo sticker era il logo del movimento “Dor Shalom” – generazione di pace all’epoca del processo di pace di Oslo. Le prime due parole sono scritte esattamente come le ultime due con l’aggiunta di due lettere (shin e vav) che lo rendono uno scioglilingua. 

«Tnu Zahal Lenazeach» – Lasciate vincere l’esercito: al primo slogan pacifista segue uno di carattere militarista e nazionalista. Questo sticker uscì nel periodo della seconda Intifada del settembre 2000, quando molti attivisti di destra, impazienti, sollecitavano l’opinione pubblica per un inasprimento del trattamento nei confronti dei Palestinesi.

«Am Chazak Osè Shalom» – Uno stato forte fa la pace: un altro slogan in favore del processo di pace e delle concessioni territoriali ai Palestinesi. Il concetto è che fra due contendenti, è il più forte che può dettare le regole per la realizzazione della pace.

«Tnu Zahal LeChaseach» – Lasciate che l’esercito li decimi.

«Ein Shalom Im Aravim» – Non c’è pace con gli arabi: il significato di questo sticker è inequivocabile, una pace con gli arabi è impossibile, e secondo l’autore, il perseguimento di uno stato per i palestinesi è futile.

«Al titnu Lahem Rovim» – Non date loro delle armi: ulteriore slogan nazionalista che richiama un episodio del 1996 in cui un primordiale Bibi Netanyahu decise di aprire al turismo un tunnel nella città vecchia adiacente al Muro del Pianto e alla Spianata delle Moschee. Questo provocò proteste di masse che diventarono presto veri e propri riots in cui per la prima volta i poliziotti palestinesi rivolsero le proprie armi ai soldati israeliani. Gli scontri violenti riportarono in soli tre giorni, 16 vittime israeliane e 60 palestinesi.

«Kravì ze Hachì, Achì» – Essere un combattente è il Top, fratello: un altro gioco di parole tra Hachì che significa “il più, il migliore, il top” e Achì che vuole dire fratello. Nella militarizzata società israeliana, questo sticker di impronta sionista ci racconta il diffuso consenso nel considerare l’unità dei combattenti dell’esercito come il più ammirabile.

«Ghius Leculam» – Arruolamento per tutti: il fatto che centinaia di migliaia di ebrei ultra-ortodossi siano esentati totalmente dalla leva militare ha creato frizioni nel paese sin dalla sua origine. Questo adesivo esprime questo punto di vista esortando l’arruolamento per tutti (per tutti gli ebrei, ovviamente…)

«Ptor Leculam» – “Esenzione per tutti”, il suo controcanto obiettore di coscienza.

«Ein Shum Yush BaOlam» – Non c’è nessuna disperazione nel mondo: questo è uno dei vari versi della canzone prettamente ottimistici.

«Yesha Zeh Can» – Giudea/Samaria/Gaza sono qua: Yesha è un acronimo per Giudea, Samaria e Gaza, le aree occupate dell’esercito israeliano sin dal 1967. Il background ideologico di questo messaggio è espansionista e colonialista. Questo sticker richiama l’appartenenza e il controllo sui territori palestinesi: la West Bank (o Cisgiordania) e la Striscia di Gaza.

«Na Nah Nahma Nahman Mehuman»: Questo slogan è quasi onnipresente in tutte le città del paese. È una formula cabalistica basata sulle quattro lettere ebraiche del nome Nachman, in riferimento al fondatore del movimento Breslov, Rebbe Nachman di Breslov.

«No fear, Mashiach BaIr» – Niente paura, il Messia è in città: mescolando inglese ed ebraico viene proclamato l’imminente arrivo del Messia.

«Ein aravim, ein piguim» – Senza arabi non ci sono attacchi terroristici: questo sticker suggerisce che gli arabi sono l’unica ed esclusiva fonte di attacchi terroristici.

«Bagatz M’saken Yehudim» – La Corte Suprema mette in pericolo gli ebrei: nel 1990 la Corte Suprema israeliana discusse varie tutele di carattere halachico che erano garantite dallo Stato nei confronti della popolazione ortodossa. Nel 1999 più di 500.000 manifestarono per protestare a questi cambiamenti, introducendo questo slogan.

«Ha’am Im HaGolan» – La Nazione è col Golan: questo sticker supporta la continuazione della presenza israeliana nel Golan, altopiano strategico conquistato nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 e annesso unilateralmente nel 1980. Solamente il presidente statunitense Donald Trump ha riconosciuto la sovranità di Israele sulle Alture, due anni fa.

«Ha’am Im HaTransfer» – La nazione è col trasferimento: questo slogan estremista incita al trasferimento (o deportazione) della popolazione araba in altri paesi arabi, come la Giordania. Nell’estrema destra israeliana c’è chi pensa a quest’idea come ultima soluzione del conflitto israelo-palestinese. 

«Test b’Yarka» – Smog Test in Yarka: il villaggio druso di Yarka ospita il più famoso test di smog per qualsiasi vettura del paese, famoso per i suoi standard piuttosto bassi. Questo sticker è solo una pubblicità del posto ma molte macchine inquinanti e pericolose lo appiccicano in termini ironici.

«Chaver, Ata Chaser» – Amico, ci manchi: questo slogan è dedicato a Yizhak Rabin, assassinato durante una manifestazione pacifista da Yigal Amir, terrorista dell’estrema destra israeliana. Pochi giorni dopo la sua morte, Bill Clinton pronunciò queste parole che fecero il giro del mondo: “Shalom Chaver”. Quest’adesivo è tutt’ora molto diffuso.

«Hakadosh Baruch Hu, Anachnu Bocharim B’cha» – Santo e benedetto egli sia, noi abbiamo scelto te: questo sticker, di chiaro stampo religioso, gioca con la parola «Bocher”, scegliere/eleggere.

«Bchirà Yeshirà ze Rà» – Le elezioni dirette sono un male: nel 1992, la Knesset cambiò la legge elettorale introducendo l’elezione diretta del primo ministro, questo metodo viene ancora contestato.

«HaKadosh Baruch Hu, Anachnu Kanaim Lechà» – Santo e benedetto egli sia, siamo fanatici di te.

«Yamutu Hakana’im» – Muoiano i gelosi.

«Kama Roa, Efshar Livloa» – Quanto male si può ingoiare?: Questo sticker, di origine animalista/ambientalista costituisce il ritornello, ripetuto, del brano. Estraendosi dal significato originale, il gruppo musicale sceglie questo slogan per le diverse connotazioni che può assumere all’interno della canzone. 

«Aba Terachem» – Padre, abbi pietà.

«Korim Li Nachman Ve Ani Mega-megamgem» – Il mio nome è Nachman e sono ba-balbuziente: con questo sticker si intende schernire la formula cabalistica mostrata prima: Na Nah Nahma Nahma Mehuman.

«Baruch Hashem, Ani Noshem» – Grazie a Dio respiro.

«Medinat Alachà, Alchà a Medinà» – Stato di religione, lo Stato se ne è andato: slogan antireligioso che utilizza un gioco di parole rimico per dissentire dal mescolamento tra Stato e Chiesa, o meglio, tra Knesset e Beit Knesset (parlamento e sinagoga).

«Mi Shenolad Irviach» – Chi è nato, ha segnato: altra frase orecchiabile di carattere umoristico e ottimistico.

«Yechi Melech aMashiach» – Lunga vita al Messia.

«Yesh li Bitachon BaShalom Shel Sharon» – Ho fiducia nella pace di Sharon: l’adesivo datato 2004 appoggiava il tentativo di accordo di pace che vide protagonisti Ariel Sharon, Mahmoud Abbas e George W. Bush.

«Hebron, MeAz uleTamid» – Hebron, sempre e comunque: 120,000 palestinesi abitano attorno a una comunità di 500 ebrei scortata da migliaia di militari. È uno dei luoghi più controversi di tutta l’area e questo adesivo auspica l’eternità della presenza ebraica nella città.

«Umi Shelo Nolad Ifsid» – E chi non è mai nato, ha perso: questa frase non è mai stata appiccicata in giro, è stata inventata richiamando lo sticker “Chi è nato, ha segnato”.

«Hebron Avot» – Hebron dei patriarchi: La grotta di Mahpelà è una struttura sotterranea considerata come luogo sacro dagli ebrei ma venerata anche da cristiani e musulmani in quanto è considerata il sepolcro di Abramo, Isacco e Giacobbe, e per questo viene chiamata anche “Tomba dei Patriarchi”. 

«Shalom, Transfer» – Addio, Transfer: questo sticker denuncia l’idea del trasferimento forzato degli arabi dal paese.

«Kahane Zadak» – Kahane aveva ragione. Ecco uno dei volti dei teorici del “transfer”, ossia la pulizia etnica del paese: Meir Kahane, rabbino e politico, fondamentalista e suprematista morto nel 1990, viene ricordato con affetto da questo sticker.

«CNN lies» – La CNN mente: questo slogan intende contestare l’esposizione della cronaca del conflitto israelo-palestinese da parte della celebre emittente televisiva.

«Zarich Manig Hazak» – Abbiamo bisogno di un leader forte.

«Sachtein al a Shalom, Todah al aBitachon»: Complimenti per la pace e grazie per la sicurezza: questa frase ironica è rivolta a Bibi Netanyahu.

«Ein lanu Ieladim Lamilchamot M’yutarot» – Non abbiamo figli da sacrificare per futili guerre: per la sinistra israeliana molte guerre e operazioni militari sono considerate inutili ed eccessive.

«Hasmol Ozer LeAravim» – La sinistra aiuta gli arabi: d’altra parte, per la destra israeliana, la posizione meno interventista della sinistra viene accusata di “collaborazionismo”

«Bibi Tov laYeudim» – Bibi è un bene per gli ebrei: sticker della campagna elettorale del Likud del 1996.

«Poshei Oslo L’Din» – Criminali di Oslo, al tribunale!: gli accordi di Oslo avviati nel 1993 culminarono con l’attentato al premier Rabin e definitivamente con lo scoppio dell’Intifada. Questo slogan, comunemente visto sotto forma di graffito sugli edifici delle città, accusa gli architetti di questi tentativi di pace.

«Anachnu Ka’an, Em Sham» – Noi siamo qua e loro sono là: Questo slogan sottolinea la necessità di separare la popolazione israeliana da quella palestinese per la nascita di due stati per due popoli.

«Achim lo Mafkirim» – I fratelli non si abbandonano.

“Akirat Yeshuvim Mefaleget Et Ha’am” – “Lo sradicamento delle colonie divide la nazione”

“Mavet laBogdim” – “Morte ai traditori”: questo sticker, che risale al periodo in cui Rabin era ancora vivo, si riferiva proprio a lui e a coloro che appoggiavano il processo di pace.

“Tnu Lachayot Lichyot” – “Lasciate vivere gli animali

“Maavet laArachim” – “Morte ai valori”: questo slogan suona come “Maavet laAravim”, ossia “morte agli arabi” che purtroppo è uno slogan molto diffuso in tutto il paese. Quest’altra frase intende opporsi allo slogan che dimostra una chiara mancanza di valori.

“Hakol Biglalchà Haver” – “è tutta colpa tua, amico”: il brano termina così, richiamando lo sticker su Yizhak Rabin.

Logista per Emergency nella missione in Calabria in risposta all'emergenza COVID. A un quarto di secolo ho vissuto in tre continenti diversi. Internazionale di Milano.

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