Tokyo tutto l’anno

Abituati ad un mondo rapido e carico di esperienze, alla possibilità di raggiungere più o meno agevolmente i luoghi più lontani, il 2020 è arrivato come una distorsione che ci costringe a rallentare, frenare la corsa. In un momento storico in cui non è consigliabile viaggiare, possiamo provare a farlo con l’aiuto dei libri.

Con Tokyo tutto l’anno ci si trova di fronte ad un libro del tutto particolare: non è completamente inquadrabile nel genere ‘guida turistica’, non è un romanzo di narrativa né un libro illustrato (anche se impreziosito dalle tavole di Igor Tuveri – in arte Igort – uno dei più importanti fumettisti italiani), e tuttavia riesce a proporre il meglio di ognuna di queste classificazioni.

Tokyo tutto l’anno, Laura Imai Messina, Einaudi, 2020

Come suggerisce il titolo, il libro racconta un anno a Tokyo ed è suddiviso in dodici sezioni, una per ogni mese del calendario. L’anno è un arco di tempo ideale e costruisce un’articolazione che richiama lo stesso principio espresso quasi alla fine del libro, per cui «nel pensiero giapponese definire l’inizio e la fine di ogni cosa aiuta ad affrancarsi dalla confusione emotiva, a dare forma a quanto è liquido e sfugge a una struttura». L’autrice Laura Imai Messina condensa qui i suoi quindici anni di vita nella metropoli, affrontando una serie sconfinata di argomenti, dalle vie più caratteristiche di ogni quartiere, alle festività e celebrazioni che si susseguono a cadenza regolare, ai cibi tradizionali, alle emozioni personali di cui tutto è intriso. Una straordinaria ricchezza, che soltanto grazie ad una struttura ben organizzata può essere raccontata in un solo volume.

Grande importanza hanno le parole: nella descrizione dei nomi di ogni mese vengono esplicitati i vari kanji, gli ideogrammi giapponesi che associati tra loro compongono i diversi significati. Simboli che esprimono concetti a volte davvero immaginifici, come il kanji di “bellezza”, intrinsecamente legato a quello di fiore, la rappresentazione della delicatezza e soprattutto della caducità. Qualcosa è bello perché fragile, prezioso, perché un momento dopo potrebbe scomparire. A questo pensiero si lega inevitabilmente un’estrema coscienza del presente, concetto chiave nella cultura giapponese.

«Ogni mese in giapponese ha due nomi, uno che segue un ordine numerale (1月, 2月 etc.) e un altro, più antico, che si appiglia alla saggezza della tradizione e chiama fiori, frutti, l’aspetto del cielo oppure concetti (satsuki 皐月 maggio è ‘il mese delle azalee’, minazuki 水無月 giugno ‘il mese senz’acqua’, fuzugi 文月 luglio è ‘il mese della letteratura’, kannazuki 神無月 ottobre è “il mese senza dei” etc.).»

I diversi kanji dei mesi dell’anno che fanno capo ad ogni capitolo

La descrizione dei luoghi avviene in maniera davvero originale, sembra quasi di fare una lunga passeggiata in cui incontriamo una gran quantità di cose che attirano il nostro interesse. Camminiamo per Takeshita-dōri, che l’autrice paragona all’ingresso della casa del Bianconiglio; è la via dove ci si può immergere nella sottocultura dei post-millennial giapponesi, delle gothic lolita, del visual kei e della moda yamanba, dove si possono scattare fotografie colorate a queste persone dagli stili paradossali e chiassosi. Altre volte la descrizione dei luoghi è guidata, in maniera mai pedissequa, come da qualcuno che conosce bene la città e che ci vuole mostrare quanto di più bello ha da offrire. E’ così che facciamo conoscenza con il Meguro Gajoen, un lussuosissimo albergo storico di Tokyo i cui interni visitabili, inseriti dal 1935 nel patrimonio culturale della città, contribuiscono a vivificare l’immaginario di chi associa il Sol Levante alle raffinate opere grafiche dei mangaka, tanto più se si pensa che questo luogo è servito come modello per la rappresentazione dei luoghi della Città Incantata, il capolavoro di animazione che valse l’Oscar a Hayao Miyazaki nel 2003.

Interni del Meguro Gajoen

O ancora nel caso della passeggiata al quartiere di Ginza, dove si incontra la libreria Morioka Shoten & Co, celebre per il suo estremo minimalismo, che ogni settimana ospita al suo interno un unico volume a cui è dedicato tutto lo spazio e tutta l’attenzione. Nello stesso quartiere si può visitare, se non addirittura pernottarvi, la Historical Nakagin Capsule Tower, uno dei pochi esempi di architettura metabolista progettato dall’architetto giapponese Kishō Kurokawa nel 1972. L’edificio è costituito da 140 capsule identiche d’acciaio di 10 m², pensate come unità abitative complete, una sperimentazione di “vita compatta” alla base dei moderni capsule hotel giapponesi.

Facciata della Historical Nakagin Capsule Tower

Questo libro è intriso inoltre di affascinanti e precisi rituali, matsuri, credenze e celebrazioni, che si susseguono a cadenza regolare ogni mese, durante tutto l’anno, alcuni dei quali vissuti personalmente dall’autrice assieme alla sua famiglia e quindi raccontati in maniera intima e attenta. Oltre al famosissimo hanami durante il periodo di fioritura dei ciliegi, il suggestivo momiji gari, il corrispettivo autunnale, in cui si ammira la trasformazione delle foglie.

Il “Festival dell’Oscurità”, inserito nella lista dei beni intangibili del folklore giapponese dal governo di Tokyo, la festa dei daruma che si tiene in gennaio presso il santuario di Jincdai-ji, dove si bruciano queste famose bambole di cartapesta che racchiudono i desideri di migliaia di persone nei loro occhi inchiostrati di nero, il Santuario di Izumo Taisha, dove si pensa che durante il mese di ottobre (il mese senza déi) si rechino tutte le numerosissime divinità del pantheon shintoista, abbandonando il resto dei templi e dei luoghi naturali a loro dedicati.

Il tutto descritto con meraviglia e cura, talvolta rendendoci protagonisti di queste antichissime tradizioni culturali. Come nel caso del “sumō del pianto”: un costume vecchio di quattrocento anni che trae le sue origini da una leggenda per cui il pianto di un bambino allontanò i demoni e per cui tutt’ora si convocano presso santuari i bambini delle famiglie giapponesi, i quali vengono vestiti con abiti tradizionali e indotti dall’arbitro e dai lottatori di sumō, con scoppi sonori e boccacce, a ricreare quello stesso pianto che, nella leggenda, purificò dal maligno.

https://www.instagram.com/tv/CFT40M8Fn6M/?utm_source=ig_web_copy_link).

Ci sono tantissimi modi di leggere questo volume, come spiega la stessa autrice in un video di presentazione sul suo profilo instagram IGtv.

Si può partire dal mese in corso o dal mese di inizio anno. Non è una narrazione lineare, non è un libro che pretende di essere letto tutto insieme dall’inizio alla fine: si può mettere in stand by e poi tornare a leggerlo senza perdere il filo, semplicemente quando si ha voglia di continuare a camminare per le strade di Tokyo. Il lettore può entrare in gioco in qualsiasi momento, ricercare. È un viaggio, un’esperienza, che non necessita di essere reale, ma adatta a chi è affascinato da una cultura ‘altra’, misteriosa e talvolta inaccessibile, distante dai costumi e dall’immaginario occidentale. E per riuscire a incontrare con profitto una cultura così diversa, a volte bisogna anche accettare di non capire.

Laura Imai Messina Italiana di nascita, dopo la laurea si è trasferita a Tokyo dove ha proseguito gli studi e conseguito un dottorato in Culture Comparate. Attualmente è docente di lingua italiana in una delle università più prestigiose della capitale giapponese. Oltre a Tokyo tutto l’anno edito da Einaudi, è autrice di diversi romanzi tra cui Quel che affidiamo al vento, Piemme 2020, caso editoriale in Italia e in corso di traduzione in oltre venti paesi.

Una laurea in lettere a Urbino, una in storia dell'arte a Roma. Appassionata da sempre di libri, alle elementari si fingeva malata per stare in casa a leggere. Fiduciosa futura insegnante precaria.

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