Un tentativo di far chiarezza sul caso NBA-Cina

Articolo scritto da Justin Quinn il 21 ottobre 2019 per Double Clutch

E’ possibile leggere l’articolo originale al link

L’articolo è stato tradotto da Luca Losa per Around the Game, qui è possibile leggere la traduzione originale

Quello che in questo momento sta affrontando l’NBA è potenzialmente il più grande ostacolo alla propria espansione dai tempi della American Basketball Association negli anni Settanta. Con piani e strategie di promuovere e far crescere il basket in tutto il mondo si aprono nuove opportunità, e in questo contesto si va inevitabilmente incontro a problemi di natura geopolitica. Le profonde radici della Lega negli Stati Uniti e in Europa hanno trovato terreno fertile per espandersi in altri paesi con un simile background storico e culturale. Almeno fino a poco tempo fa. Le contraddizioni che ora la Lega si trova ad affrontare hanno generato però uno scossone nelle scorse settimane.

Recentemente, Russia e Cina hanno dispiegato le proprie ali sulla scena mondiale aprendosi al capitalismo. E con esso è arrivata anche l’NBA. La creazione del piano “One Belt, One Road” (“Nuova Via della Seta”, come è conosciuta in Italia, ndr), è considerata una più o meno moderna versione cinese del Piano Marshall. Per quelli di voi che non si sono mai troppo interessati di storia, il Piano Marshall è stato il mezzo con cui gli Stati Uniti sono assurti al ruolo di principale potenza mondiale, offrendo agli alleati europei materie prime, know-how e soprattutto prestiti a basso interesse per la ricostruzione post-bellica, incrementando così l’influenza del soft power a stelle e strisce in tutto il mondo.

Tornando ai giorni nostri, la Cina sta facendo più o meno la stessa cosa.
Mentre le eventuali eredità dell’espansione del soft power americano – ovvero le istituzioni nate con gli accordi di Bretton Woods, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale – promuovono ormai solo programmi di austerity per finanziare progetti nei paesi meno sviluppati, la Cina ha colto l’opportunità di porsi come alternativa, in modo da far crescere il proprio soft power, sovvenzionando e costruendo infrastrutture in tutto il globo in cambio di un accesso preferenziale alle materie prime di cui tanto ha bisogno per mantenere a galla la sua economia e la nascente classe media.

Cosa c’entra tutto questo con l’NBA?

L’NBA cominciò a guardare alla Cina alla fine degli anni ’80, quando le riforme interne cambiavano il modo in cui la Cina stessa si raffrontava con l’occidente. Anche allora, mentre il paese cominciava ad aprirsi al mercato capitalistico e alle idee occidentali, sorgevano le prime preoccupazioni riguardanti un possibile clash di natura culturale. La speranza della Lega era che un’apertura verso mercati enormi e potenzialmente redditizi, come quello cinese, si rivelasse una mossa più saggia che voltarvi le spalle. Allo stesso tempo, però questa scelta provocò una serie di problematiche che col tempo avrebbero presentato il conto.

In primo luogo, a livello politico. Mentre i tweet a sostegno degli attivisti di Hong Kong, che hanno scatenato tutta questa discussione, sono considerabili all’ordine del giorno agli occhi di noi occidentali, in Cina sono stati l’occasione propizia per mandare un messaggio inequivocabile alla Lega. “La Cina è ormai una potenza della scena mondiale, e non vuole sentirsi dire come dovrebbe gestire gli affari interni di territori nei quali le potenze straniere si sono sempre sentite in dovere di predicare come la società dovesse funzionare”.

Quella cinese è una delle culture più antiche del mondo, con un proprio corpus di filosofia, scienza, idee politiche ed etica che considera le verità che noi occidentali riteniamo universali in alcuni casi come mali sociali.Per loro hanno molta più importanza valori come unità e stabilità, rispetto alla libertà di espressione, fino al punto che sentono il bisogno di “rieducare” coloro che rappresentano una minaccia significativa per quell’ordine, anche qualora siano cittadini cinesi o territori sottoposti alla sua influenza.

Anche se profondamente problematico, va notato che gran parte della “sceneggiata” su ciò che sta succedendo in Cina per quanto riguarda l’oppressione delle proteste pro-democrazia e l’internamento di persone ai margini della società in campi di prigionia rappresenta qualcosa contro cui gli Stati Uniti si professano di combattere. Molte delle stesse voci sia a destra sia a sinistra che si preoccupano di dire la loro su questa questione da una prospettiva “sportiva” spesso assumono posizioni simili a quelle del governo cinese.

Quando LeBron James ha commesso recentemente l’errore di intervenire (ironicamente, in modi non dissimili da quelli del GM dei Rockets, Daryl Morey), ha avuto l’effetto di apparire come interessato esclusivamente alle proprie tasche. Ma sicuramente ha anche centrato un punto. Tutti noi ci troviamo in una sorta di terra nullius, o meglio, in acque sconosciute, quando si parla di come la Cina si afferma come un vero stato sovrano che cerca di proiettare al mondo un’immagine di buona governance che si adatti alla propria cultura e alla propria storia in modi che molti di noi trovano problematici.

Ma noi non ci aspettiamo che tutti i giocatori, GM o altri dipendenti debbano necessariamente intervenire su simili questioni negli Stati Uniti, anche se quando lo fanno tendiamo a radunarci intorno a loro. Mentre giocatori e non dovrebbero probabilmente essere guardati con sospetto quando sembrano sostenere preoccupazioni economiche personali a spese della miseria altrui, non dovremmo neanche aspettarci che l’attivismo sia la preoccupazione di default di gente che lotta per fare il proprio lavoro e per sostenere questioni più immanenti. E né dovremmo dire agli altri quali dovrebbero essere queste questioni.

Allo stesso tempo, il fatto che le restrizioni sulla libertà di parola volute dalla Cina stiano superando i loro confini domestici è qualcosa di veramente preoccupante. Argomento che non andrebbe liquidato con superficialità. E le persone e/o organizzazioni che si oppongono al modo in cui la Cina tratta i propri cittadini non dovrebbero essere dissuase dal parlare a sostegno del dissenso interno alla politica cinese, quando si traduce in proteste su larga scala o perdita di libertà, cultura o vite umane.

Ma dobbiamo anche fare attenzione a non proiettare il nostro disappunto per la politica interna su altri paesi, e rispettare il modo in cui gli individui – e le leghe private – gestiscono tutte queste questioni caso per caso. Con la quantità enorme di investimenti in ballo nel mercato cinese come pietra angolare dei piani di espansione globale della Lega, questi argomenti rimarranno ancora per i prossimi anni terreni estremamente pericolosi.

L’NBA ha tre delle sue sette accademie internazionali di sviluppo in Cina (una non molto distante da uno dei campi di “rieducazione” in cui il governo confina i dissidenti); nel paese del Dragon si giocano diverse partite durante la Preseason; il pubblico è più numeroso di quello americano, come dimostrano i contratti pubblicitari tra singoli giocatori e aziende cinesi. Molti atleti americani, inoltre, iniziano o terminano la loro carriera nella Chinese Basketball Association.

Un altro punto da considerare è che mettere pressioni sulla Lega perché punisca individui troppo schietti e espliciti probabilmente potrebbe attirare ancora di più l’attenzione su alcune di queste situazioni spiacevoli e avere un impatto negativo sulla reputazione mondiale della Cina, andando così a danneggiare le opere di soft power in corso.

Le potenziali perdite economiche o la riduzione della presenza in loco dell’NBA non sono piccoli problemi per entrambe le parti in causa: la Lega si troverebbe di fronte a una riduzione del cap (con perdite di entrate che danneggerebbero il valore delle squadre e i futuri salari).

Se siete venuti qui in cerca di soluzioni a questo problema, non le troverete. Ma quello che troverete è un invito a una riflessione più attenta e misurata, che tenga conto e cerchi di dare un senso a queste visioni contrastanti del mondo. Visioni con le quali si spera di poter trovare il modo di andare avanti senza che ci siano ripercussioni economiche e conflitti.

E, più importante di ogni altra cosa, visioni che ci permettano di plasmare il nostro futuro senza che sia richiesto di mettere in gabbia chi la pensa differentemente.

© Double Clutch

© Around the Game

Around the Game è una piattaforma digitale nata nel 2017 e fondata da Andrea Lamperti e Ferdinando Dagostino. Grazie alla collaborazione con alcune testate americane, si è affermata come punto di contatto tra gli appassionati italiani e il mondo NBA.

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