162 anni del calcio che (non) conta

In un’epoca nella quale sono spesso le cifre social a determinare il successo, 20mila follower e nemmeno una spunta blu sarebbero un modo impietoso di raccontare gli sforzi di chi da anni si batte per riportare il calcio a casa propria.

George Orwell visitò Sheffield per pochi giorni nel 1936, allo scopo di vedere da vicino le condizioni del Nord industriale dell’Inghilterra, materiale per la sua ultima fatica letteraria. Il suo giudizio, altrettanto impietoso, rimase impresso sulle pagine di The Road To Wigan Pier: «Persino Wigan è splendida rispetto a Sheffield. Penso che Sheffield possa giustamente rivendicare il titolo di città più brutta del mondo».
Nessuno deve aver parlato a Orwell in quell’occasione della casa del calcio, e anche se qualcuno l’avesse fatto è probabile che lo scrittore non vedesse l’ora di lasciare quel cielo coperto dalle ciminiere, un luogo nel quale «nei rari momenti nei quali smetti di respirare zolfo è perché hai iniziato a respirare gas». Ci sarebbe voluto altro tempo – troppo – per scoprire che Sheffield poteva in realtà rivendicare anche un altro titolo, avendo dato vita al primo club di calcio al mondo.

La fondazione dello Sheffield FC, avvenuta ufficialmente il 24 ottobre 1857, nasceva dall’esigenza di mantenersi allenati durante l’inverno del South Yorkshire e di trovare un’alternativa al cricket per gli stessi mesi freddi. Ai tempi della visita di Orwell, circa 80 anni dopo, la prima squadra di calcio aveva però già fatto il suo tempo, schiacciata dall’introduzione del professionismo e dalle squadre sempre più competitive contro cui nulla poterono i pionieri di quello stesso sport. Immaginatevi allora la fatica di rispolverare questa eredità negli anni Duemila, quando i soldi, il fascino e i campioni della Premier League avevano ormai sepolto quanto restava del primo club calcistico al mondo.

Quella di dare una casa allo Sheffield FC divenne fin da subito una priorità per Richard Tims, ambizioso imprenditore e chairman della società dagli albori del nuovo millennio. Fino a quel momento, per quasi 150 anni, il club si era spostato da un campo – in affitto – all’altro, senza poter rivendicare una propria dimora. Nella sua prima esperienza da spettatore, Tims ha spiegato in un’intervista di aver visto la squadra giocare «di fronte a una persona e un cane». Si capisce quindi perché, per prima cosa dopo aver assunto la guida del club, portò lo Sheffield FC al Coach&Horses Stadium, il primo stadio di proprietà nella storia della società. Con pub annesso, ovviamente.

Tims spiega che quando rilevò il club «ereditai quello che a livello locale, e attraverso alcuni aneddoti, veniva chiamato “il club più antico al mondo”, ma nessuno ne aveva esplorato il potenziale o aveva cercato maggiore riconoscimento». Con oltre un secolo di storia alle spalle, l’imprenditore fu costretto di fatto a ripartire da zero.

Per una squadra di calcio, figuriamoci per la più vecchia al mondo, uno stadio decisamente fuori città da 2089 spettatori e un posto nell’ottava divisione inglese, la Northern Premier League, potrebbero essere la riedizione contemporanea dell’inferno descritto da Orwell nella prima metà del secolo scorso. Il Coach&Horses sorge a Dronfield, nel Derbyshire, a una decina di minuti di treno da Sheffield a cui se ne sommano altri 15 di camminata lungo una statale a tratti alberata. Se non fosse un cartello a dare il «benvenuto nella casa del calcio», difficilmente un tifoso sarebbe spinto a fermarsi e visitare un campo dove poche centinaia di persone seguono la propria squadra tra un chiacchiericcio disinteressato e molti sorsi di birra, impassibili di fronte alla grandine che il cielo del South Yorkshire può regalare persino ad aprile. 

In attesa di una cornice più consona, le tracce che riassumono oltre un secolo e mezzo di storia sono accatastate in uno stanzino sopraelevato dal quale lo speaker annuncia formazioni, gol e sostituzioni. Gagliardetti, maglie storiche di prestigiosi club e lettere ufficiali della Fifa sono buttati lì come prima di un trasloco, e rappresentano tutto ciò che Richard Tims è riuscito a raccogliere da quando è diventato proprietario dello Sheffield FC.

Il lavoro del nuovo chairman è partito dai documenti richiesti alla Football Association, necessari per confermare che lo Sheffield FC fosse di fatto il primo sodalizio creato con la sola intenzione di giocare a calcio. Negli anni, con gli sforzi di promuovere il brand, sono arrivati riconoscimenti di vario tipo, ma tutti di altissimo valore simbolico: l’Order of Merit della Fifa, la sfida con l’Inter per celebrare i 150 anni di esistenza e la visita di Pelé. Ma l’episodio che più di tutti fece realizzare a Tims di aver intrapreso la direzione giusta – oltre che nobile – fu l’incontro con l’allora presidente del Barcellona Joan Laporta, che «era più entusiasta del nostro incontro di quanto lo fossi io e interessato a sapere di più sulle origini del gioco». Quel gioco che, proprio in quegli anni, la sua stessa squadra stava portando a nuovi picchi.

I 20mila follower di un profilo Twitter creato 10 anni fa e un sito interattivo che spiega nel dettaglio la storia del club e vende cimeli e merchandising sono invece successi di marketing, necessari per diffondere quel messaggio che secondo Tims dovrebbe interessare ogni tifoso di calcio nel mondo. Questo dopotutto è il vero obiettivo dello Sheffield; non parlategli di scalate verso la Premier League e altre simili amenità, perché la risposta sarà talmente semplice da essere spiazzante. «Essere un club amatoriale è importante per noi, è ciò che ci differenzia dai club professionistici. Lo Sheffield FC è stato fondato per l’amore del gioco, non per avere ritorni economici: rimanere il più possibile fedeli a questi principi è importante per noi».

Dal punto di vista sportivo, a Tims non dispiacerebbe ottenere una o due promozioni ma, di nuovo, la sua priorità è quella di regalare allo Sheffield FC una casa definitiva e un po’ meno fuori città. Il campo abbandonato di Olive Grove, a poca distanza da Bramall Lane, dove gioca lo Sheffield United in Premier League, è quello sul quale Nathaniel Preswick e William Prest fecero rotolare i primi palloni dopo aver fondato il club più antico al mondo. In questo luogo Tims si immagina di fare sorgere un nuovo stadio, con qualche posto a sedere in più ma soprattutto un centro visitatori che includa un museo, per ospitare tutti quei pezzi di storia ammassati in uno stanzino a Dronfield e per dare ai tifosi l’opportunità di «rendere omaggio al posto che ha ospitato la nascita di questo gioco».

Tims non ha rinunciato agli investimenti di altri imprenditori su questo progetto, ma i valori messi sul piatto dal suo club sono integrità, comunità e rispetto. Quella con lo spettacolo che prende vita ogni domenica negli stadi di tutto il mondo mondo potrebbe sembrare una sfida impari, ma allo Sheffield FC per iniziare basterebbe finire sulla mappa del calcio dei tifosi per fare loro capire «cosa si stanno perdendo: è un’esperienza completamente diversa e le società delle divisioni minori devono diffondere questo messaggio», ha spiegato Richard Tims. La casa del calcio vuole segnare per i tifosi l’inizio di un viaggio verso le origini più pure di questo sport, lo stesso che proprio il chairman cominciò circa vent’anni fa e che, guardando dove lo ha portato, probabilmente era troppo bello per non essere condiviso.

Le lingue come chiavi per aprire nuovi mondi, il giornalismo come mezzo per raccontarli. Milanese di nascita con un po' di Brasile nel sangue, credo che nulla di tutto ciò che accade su un campo riguardi solamente lo sport: la mia missione è scoprirlo, comprenderlo e portarlo ai lettori. Nel mio mondo ideale vorrei sentire Gianni Brera raccontare di Messi e Cristiano Ronaldo.

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