Che bella l’Italia e le sue spiagge di asfalto!

Salvatore Settis racconta il degrado civile e ambientale 

Quante volte durante lunghe e noiose giornate di studio o lavoro ci capita di guardare fuori dalla finestra sospirando e immaginando di poter fare una passeggiata in montagna. O quante volte ancora ci capita, a fine luglio, di contare i giorni e le ore sul calendario in attesa della partenza per la località di mare desiderata oppure per una meta esotica. Desideriamo così tanto concederci un meritato relax in mezzo alla natura eppure a volte ci dimentichiamo della sua reale importanza dando per scontato un “bel panorama”, quando, tra qualche anno, potrebbe non esistere più. 

Salvatore Settis, a ragion veduta, descrive il territorio italiano come riserva di caccia e scrive:

Vedremo villette a schiera dove ieri c’erano dune, spiagge e pinete […] Vedremo boschi, prati e campagne arretrare ogni giorno davanti all’invasione di mesti condomini, […] ‘palazzi’ senz’anima, vedremo gru levarsi minacciose per ogni dove.

Salvatore settis

Questa descrizione di un paesaggio completamente sconvolto non viene suggerita unicamente dall’indole indignata di un archeologo e storico dell’arte difronte al profanante dilagare di fabbricati e cemento; è suggerita primariamente dai numeri. 

Qualche dato 

Riferendosi ai dati Istat raccolti tra il 1999 e il 2005, l’autore riporta numeri impressionanti: ad esempio la superficie agricola utilizzata in Italia avrebbe visto ridurre la sua estensione di 3 milioni e 663 mila ettari, con la cementificazione di 161 ettari di terreno al giorno e questo per fare spazio, tra le altre cose, a 309 379 unità residenziali entro il 2006. Effettivamente il testo di riferimento appare un po’ datato, pubblicato la prima volta nel 2010 e, per esempio, ancora ignora il Rapporto presentato nel 2012 dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con nome: “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione”, così come il coevo disegno di legge “valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo”, e quelli degli anni successivi.

Ma cosa significa parlare di consumo di suolo? Ne avevamo già parlato in un resoconto sulla situazione globale. “Suolo consumato”, ossia coperto artificialmente, significa terreno perso per sempre, terreno morto.  

La situazione negli anni non ha dato cenni di recupero, tant’è che nel 2013, l’Europa e le Nazioni Unite hanno richiamato «alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio e al riconoscimento del valore del capitale naturale». Tra gli obiettivi: azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050 (Parlamento Europeo e Consiglio, 2013) e mantenere numericamente stabile il degrado del territorio entro il 2030 (UN, 2015). Nonostante i buoni propositi, i dati relativi all’annualità 2018-2019, emessi l’anno scorso, rivelano un quadro differente, con un consumo di suolo di 57 km2 a una velocità pari a circa 14 ettari al giorno. Ettari che vengono sacrificati all’esigenza nazionale di urbanizzazione e crescita industriale. I dati insomma sono lontani dagli obiettivi di sostenibilità previsti per il 2030 e vengono confermati dal Rapporto SOER 2020 che tuttavia spera in un “cambio di rotta”.

Così, insieme ad altri fattori ambientali, l’uomo concorre al c.d. degrado del suolo, cioè la riduzione o perdita di produttività biologica o economica.

Degrado ambientale o degrado civile?

Degrado del suolo è soprattutto indice di degrado civile. Così lo chiama Settis, riferendosi alla totale negligenza delle politiche succedutesi fino al 2010 e che, ignorando la pertinenza del paesaggio alla tutela da parte dello Stato, ha favorito progetti urbanistici e “chiuso un occhio” difronte ad abusi edilizi, concessi previa oblazione; mentre nel 2017 una mancata espressione entro i termini del parere del Soprintendente riguardo interventi paesaggistici veniva considerato “silenzio assenso” con conseguente rilascio di autorizzazione paesaggistica. Ma forse Settis osa un po’ di più parlando di degrado civile e cerca di coinvolgerci tutti. 

Il paesaggio in cui viviamo e che allieta le nostre gite domenicali è frutto di millenni di trasformazioni che hanno coinvolto gli abitatori dell’Italia intera, dalle origini ad oggi. Questo paesaggio è stato sfondo della presa di coscienza di una nazione e scenografia alle numerose culture che si sono succedute nei secoli portando all’Italia che siamo oggi. Siamo, perché ognuno è reso partecipe e responsabile dell’immenso bene che ci è dato avere. Come scrive Settis, è vanto di numerosi politici apprezzare la presenza sostanziosa di cultura e arte nel nostro paese (divenute ormai più oggetto di mera speculazione che non di orgoglio), ma come sottolinea lo storico dell’arte, il paesaggio è come un “immenso museo” a cielo aperto, è quindi parte del nostro patrimonio culturale, inscindibile dall’arte, la cucina, la musica e tanto altro e non a caso ancora nel 1939 si parlava di “bellezze naturali”. E l’Art. 2, comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio recita appunto: «il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici», mentre l’Art. 1 ricorda il compito della Repubblica italiana di valorizzare tale patrimonio per preservare la memoria della comunità nazionale. Memoria è anche identità e «perdere questa identità sarebbe rinunciare a una parte importante di noi stessi». 

Il cambiamento comincia con noi

Salvatore Settis va sicuramente oltre tali argomentazioni, ma il suo messaggio di fondo è unico e diretto. Ci sentiamo troppo spesso di dire che “gli altri sono meglio di noi” trascurando quello che per secoli è stato il c.d. “modello italiano”. Siamo il primo Stato europeo ad aver agito in materia di tutela e valorizzazione dei beni storici e paesaggistici, mentre, ad esempio, l’Inghilterra ha dovuto aspettare il 1986 (con il Town and Country Planning Act) prima di vedere tutelati dalla distruzione i propri beni architettonici. In Italia incongruenze e deresponsabilizzazione concorrono a creare uno Stato di tutti e di nessuno, per cui l’ennesimo progetto residenziale o industriale sembra non minare all’integrità morale di alcuno. Ciò nonostante, il territorio siamo noi, questo suggerisce Settis in uno slancio fortemente nazionalista, e giorno dopo giorno accettiamo il degrado ambientale di un territorio che non solo ci caratterizza intimamente, ma che rappresenta la nostra storia insieme a ciò che si legge sui libri. In altre parole, è come se giorno dopo giorno un’importante opera d’arte degli Uffizi venisse data al macero, difronte alla mancata preoccupazione di tutti. Eppure, tra Premi Paesaggio, investimenti ESG in crescita e il Decreto Clima del 14 ottobre 2019 forse si prospettano dei miglioramenti in funzione del ripristino di aree verdi e una maggiore attenzione per il nostro patrimonio territoriale. Chi vorrebbe trascorrere un’estate al mare su spiagge di asfalto? Il cambiamento ha inizio con la consapevolezza.

Bibliografia

  • S. Settis, Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, Piccola Biblioteca Einaudi, 2007, Torino
  • S. Settis, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi, 2019, Torino

Altre risorse

  • Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici edizione 2020, 31 luglio 2020
  • Codice dei beni culturali e paesaggistici
  • Testo del decreto legge 14 ottobre 2019, n. 111, in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 241 del 14 ottobre 2019 coordinato con la legge di conversione 12 dicembre 2019, n. 141
  • I. Falconi, Ecco qual è (davvero) lo stato dell’ambiente in Italia e in Europa, in greenreport.it, 5 giugno 2020

Archeologa. La mia prima scoperta archeologica: Sele, piccolo cane nero, trovata inaspettatamente tra le rovine di Paestum. Leggere e scrivere sono un modo per indagare la realtà, ritagliando un momento intimo e di riflessione. Amo la natura e mi piace viverla durante una lunga passeggiata in montagna.

la tua finestra sul mondo

Iscriviti alla newsletter:

    SEGUICI: