Il capitalista selvaggio

Analizzate prima come animali glocali e poi come parassiti statali, oggi parleremo di un nuovo volto delle mafie globali, quello che ho voluto definire ‘capitalista selvaggio’. Grazie agli enormi capitali derivanti dai loro traffici illeciti e alla possibilità di annullare la concorrenza mediante comportamenti criminali più o meno violenti, le mafie si sono imposte all’interno dell’economia di mercato generando per decenni profitti stellari. Insieme alle grandi corporazioni internazionali infatti, sono proprio le organizzazioni mafiose ad aver guadagnato di più dall’applicazione globale del modello capitalista, diventandone le campionesse indiscusse.

[…] le organizzazioni criminali condividono con gli altri attori transnazionali, come le corporazioni e le multinazionali, il desiderio di massimizzare la propria libertà d’azione e minimizzare gli effetti dei controlli tanto nazionali quanto internazionali. Con questo fine, entrambi gli attori portano avanti affari che prontamente travalicano i confini nazionali applicando strategie volte alla minimizzazione dei rischi, alla massimizzazione dei profitti e alla creazione di nuove opportunità di mercato.

Questo paragone tra organizzazioni criminali e multinazionali fatto nel 1996 da Savona e Williams in The United Nations and Transnational Organized Crime, risulta assolutamente calzante con quella che è l’odierna realtà dei fatti. A capo delle proprie rispettive catene alimentari, entrambe dominano i propri sottoposti, ne sanciscono le necessità e gli interessi, possono contare su rapporti politici altolocati, delocalizzano la produzione per abbassare i costi e setacciano il pianeta alla ricerca di nuove sacche di profitto.

Ecco, proprio l’insaziabile brama di continui guadagni costituisce l’anello di congiunzione tra queste due grandi protagoniste della nostra epoca. Ricerca spasmodica del profitto e arricchimento sproporzionato. Queste le parole d’ordine di mafie e multinazionali che imperterrite sacrificano sopra altari dorati le fasce sociali più deboli, i poveri, gli sfruttati, ma anche l’ambiente e le sempre più scarse risorse planetarie. Sorelle separate alla nascita, si sono ritrovate fianco a fianco nell’alveo dell’economia globalizzata, entrambe con la stella polare dell’arricchimento a guidarle e, talvolta, a spingerle a collaborare.

In questo senso, il Giappone ha rappresentato – e in parte rappresenta ancora oggi – un triste esempio di cooperazione tra membri della criminalità organizzata e importanti aziende nazionali. È il caso delle cosiddette sokaiya, letteralmente ‘coloro che vendono le assemblee generali’, gruppi di criminali nella stragrande maggioranza dei casi appartenenti alla Yakuza che erano soliti offrire un servizio tanto semplice quanto essenziale per le ricche compagnie giapponesi: garantivano infatti il tranquillo svolgimento delle assemblee generali degli azionisti, senza che alcuna voce fuori dal coro si potesse levare, rendendo negli anni tali appuntamenti una pura formalità. In cambio, venivano corrisposte loro ingenti somme di denaro per un giro di affari che negli anni Ottanta si aggirava intorno agli 800 milioni di dollari. Dopo esserne stata sancita l’illegalità nel 1982, le sokaiya sono sì diminuite nel volume ma non sono mai sparite del tutto.

Un membro della Yakuza con i suoi tradizionali tatuaggi distintivi. Foto: https://www.panarmenian.net

Il Giappone, ahinoi, non costituisce un’eccezione. I legami che intercorrono tra ambienti criminali e imprenditoria deviata, soprattutto dopo l’avvento della globalizzazione e di riforme in campo economico a favore di una sempre maggiore libertà dei mercati, si sono quantomai infittiti e variano a seconda del contesto in cui prendono forma. Tendenzialmente, però, è possibile individuare tre sentieri topici che le mafie globali percorrono nell’insidiare le economie nazionali e internazionali.

Innanzitutto, come ci ha dimostrato il modello giapponese, la criminalità organizzata può decidere di individuare dei possibili partner all’interno delle sfere economiche di un paese, e legarvisi in un rapporto di vicendevole scambio di interessi. È questo il caso di realtà caratterizzate da un’economia piuttosto robusta e ramificata, dove i membri delle organizzazioni criminali sfruttano i servizi finanziari che i grandi agenti di borsa sono in grado di offrirgli, in un’ottica di riciclaggio di enormi quantità di proventi illeciti. La globalizzazione, con il suo effetto di apertura delle frontiere, ha infatti plasmato un mondo dai nuovi confini non solo geografici ma anche economici e finanziari, impossibili da controllare adeguatamente e per questo habitat per eccellenza della bestia mafiosa.

I grandi mercati asiatici, europei e americani rappresentano quindi il nuovo territorio d’azione privilegiato dalla criminalità organizzata transnazionale, che indisturbata sfrutta le opportunità offertele da regimi repressivi blandi e da funzionari troppo spesso inclini a chiudere un occhio davanti alla giusta somma. In Europa, nazioni come la Germania, la Svizzera, il Regno Unito e l’Austria fanno da decenni le fortune dei criminali del Vecchio Continente, ritardando l’applicazione di un sistema di controllo ferreo in materia di antiriciclaggio e di trasparenza bancaria. Proprio le banche austriache, ad esempio, possono tristemente vantare di aver pagato nel 2017 la cifra irrisoria di 21 mila euro per multe dovute alla violazione di norme antiriciclaggio. Una somma imbarazzante, che rende l’evasione una pratica sorprendentemente conveniente non solo per le grandi organizzazioni criminali globali, ma anche per le stesse banche che dovrebbero sanzionarla.

Foto: https://independentaustralia.net/

Le altre due vie che le mafie del nostro mondo intraprendono in nome del dio denaro corrono invece parallele e rappresentano due facce della stessa medaglia, quella dell’infiltrazione criminale nell’economia globale. Da una parte abbiamo la tradizionale presenza mafiosa nell’ambito dei mercati illegali, perfezionatasi nel corso delle ultime due decadi grazie all’importazione della razionalità e dell’efficienza della gestione capitalistica dal mondo dell’imprenditoria; dall’altra troviamo una forma altrettanto pericolosa di penetrazione criminale dei tessuti economici, ovvero quella che vede le mafie come imprenditrici violente dei mercati legali, con criminali sempre più simili a manager, alla guida di aziende lecitamente presenti nei registri di impresa.

Questa bidimensionalità della presenza mafiosa nell’economia dovrebbe far riflettere, e non poco. Siamo infatti dinnanzi ad un’entità che nel condurre i propri traffici illeciti si comporta come il primo dei capitalisti, e che in nome del profitto è in grado di applicare i metodi e le strategie più congeniali al raggiungimento dei propri scopi. La medesima entità tuttavia affonda ugualmente le proprie radici anche nei mercati legali, infettandoli non solo da un punto di vista materiale reinvestendo gli enormi proventi che ricava dalle attività illecite, ma anche e soprattutto a livello immateriale, importando pratiche tipiche dell’agire mafioso come l’intimidazione, la corruzione, lo sfruttamento di una manodopera totalmente asservita e leale, il favoreggiamento da parte di esponenti della politica.

La serie tv McMafia, basata sull’omonimo libro di Misha Glenny, presenta con estrema puntualità e crudezza il rapporto ambivalente tra mafie e imprenditoria: un mondo fatto di criminali imprenditori e imprenditori criminali.

Tutto questo azzera la competizione, eleva l’imprenditore mafioso al grado di primo predatore e gli permette così di soddisfare tanto nei mercati legali, quanto in quelli illegali, la sua massima aspirazione: diventare la figura monopolizzante all’interno del proprio habitat, sul quale esercita un controllo politico, sociale ed economico totale, e dal quale riceve profitti e protezione.

Quanto appena esposto deve spingerci ad aprire gli occhi su quello che è uno dei terreni più importanti nella lotta alle mafie nell’era della globalizzazione, ovvero i mercati mondiali. Il reiterare, da parte degli stati così come delle agenzie di controllo, comportamenti passivi o addirittura di connivenza nei confronti dei grandi gruppi criminali sta inquinando le falde acquifere della finanza e dell’economia globali, al punto che in poco tempo sarà impossibile tentare un’opera di depurazione o bonifica. Le mafie di tutto il mondo agiscono quotidianamente col fine di accaparrarsi quanto più riescono dai traffici leciti e illeciti, modificando la stessa matrice economica che vanno ad intaccare e sovrapponendo ad essa il proprio modello distorto e malsano di economia.

Non possiamo pertanto fare finta di nulla. Se nel secolo scorso si è dibattuto a lungo circa la presenza o meno dello Stato nelle dinamiche del mercato, oggi il focus deve essere spostato sul prevenire, limitare e possibilmente eliminare l’influenza della longa manus mafiosa sui traffici mondiali. Non possiamo lasciare che economia globale ed economia mafiosa diventino sinonimi: è una sfida che non possiamo permetterci di perdere, poiché le conseguenze di un simile avvenimento si rivelerebbero insostenibili per la società del futuro.

Tomas Strada (1992), è l'orso digitale che gestisce la nostra comunicazione. Campione mondiale di video di gattini, black humour e lauree professionalmente non spendibili, racconta la criminalità organizzata sulle pagine digitali di The Pitch. Tra un reel e un articolo, è sinceramente convinto che The Pitch migliorerà il mondo. Ma credeva anche che i 30 anni non sarebbero mai arrivati. E invece.

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