La politica estera americana prima e dopo l’11 settembre 2001

Sono passati 20 anni dall’11 settembre e in molti stentano ancora a capire come un simile attentato si sia potuto verificare. Ci si chiede perché gli Stati Uniti siano stati il bersaglio di tale attacco e quali conseguenze a lungo termine si possono oggi riscontrare. 
Abbiamo chiesto al professor Paolo Wulzer, docente di storia delle relazioni internazionali presso l’Università L’Orientale di Napoli, di aiutarci ad analizzare l’11 settembre in prospettiva storica, provando a capire come è cambiata la politica estera americana.


Professor Wulzer, che cosa è successo l’11 settembre 2001?

Dal punto di vista storico l’attentato dell’11 settembre 2001 è il punto di incontro di due dinamiche. Una è l’islamizzazione dei processi politici in Medio Oriente, o in quello che è stato definito Grande Medio Oriente (dal Marocco al Pakistan), che ha visto la nascita in alcune aree di un Islam radicalizzato che si è organizzato in cellule terroristiche a partire dagli anni Settanta; l’altra è la militarizzazione della presenza statunitense in Medio Oriente.


Cosa hanno fatto gli Stati Uniti per essere l’obiettivo di un tale attentato?


La presenza militare degli Stati Uniti in Medio Oriente è aumenta a partire dalla Dottrina Carter, è proseguita con Bush padre, che è stato il responsabile della Guerra del Golfo, è ancora aumentata anche negli anni Novanta con il presidente Clinton, fino a trasformarsi nell’imperialismo neoconservatore di George W. Bush. L’11 settembre è il punto di incontro dunque di queste due dinamiche, una che riguarda il Grande Medio Oriente e una gli Stati Uniti.

È possibile riassumere le conseguenze dell’11 settembre 2001 provando a delineare la politica estera dei quattro presidenti, da Bush a Biden? Qual era l’obiettivo di questa strategia americana? Sono stati raggiunti gli obiettivi?


La cesura netta nella politica estera americana arriva nel 2006, verso la fine della presidenza Bush, dopo aver assistito alla manifestazione forse più evidente dell’imperialismo neoconservatore statunitense, che aveva immaginato di poter modificare le strutture politiche e sociali del Medio Oriente attraverso l’esportazione della democrazia. Gli Stati Uniti fino al 2006 volevano essere il leader egemone e ridisegnare l’intera regione per cancellare il terrorismo.

(fonte La Stampa)


Poi cosa è successo?
Con Obama è iniziato il rifiuto di questa politica estera. Obama ha iniziato a parlare di ritiro degli Stati Uniti e si è dovuto concentrare maggiormente sulla crisi economica. Anche con Trump gli Stati Uniti erano al centro dell’attenzione rispetto a quella lontana regione – ricordiamo il motto “America first”. Adesso anche con Biden, il quale ha continuato a ripetere nel suo ultimo discorso l’espressione “national interest”, sembra che si segua la linea dei due predecessori. 

Quanto hanno pesato gli interessi economici dietro alle attività di politica estera degli Stati Uniti dal 2001 al 2021?

La guerra in Afghanistan e quella in Iraq sono state fatte sicuramente anche per motivazioni economiche, come ad esempio il petrolio, ma soprattutto per l’Ideologia neocon e la volontà imperiale degli Stati Uniti di ricoprire il ruolo di potenza dominante in quella regione, ufficialmente per sradicare il terrorismo.
La dipendenza dal petrolio mediorientale è molto diminuita per gli Stati Uniti nel corso degli anni e questa è una motivazione che può in parte spiegare le politiche di disimpegno americano che si sono riscontrate dopo l’arrivo di Obama.


È possibile che gli Stati Uniti trarranno benefici dal ritiro in Afghanistan e che Russia e Cina avranno più problemi che vantaggi da questa mossa americana?

Cina e Russia potrebbero avere dei problemi a occupare lo spazio che gli Stati Uniti stanno continuando a lasciare anche con la politica estera di Biden. Per la Russia non sarebbe la prima volta, l’Afghanistan è sempre stato un paese difficile da gestire per Mosca, mentre per la Cina c’è la questione della minoranza uigura a pesare sulle relazioni con i talebani.

Articolo a cura di Alessandro Albanese Ginammi

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