L’acqua la bagna, il vento l’asciuga

La colonna sonora che risuona nella nostra testa ogniqualvolta pensiamo alla Sicilia è senza dubbio quella magnifica composizione di Nino Rota che accompagna una delle pellicole più famose al mondo: “Il padrino” di Francis Ford Coppola.

L’associazione mafia-mandolino probabilmente comincia proprio a partire dall’uscita del primo film della trilogia, nel 1972. I più esperti peraltro vi potrebbero dire che è napoletana la lavorazione più famosa del mandolino. Nell’immaginario collettivo si tende ad annullare il contesto siciliano per riempirlo di una anonima azione umana fatta di violenza, vendetta e drammi familiari a cui fa da contorno, in secondo piano, la bellezza di un territorio culturalmente e morfologicamente vario e meraviglioso.

Sarà per la sua conformazione di isola in mezzo al Mediterraneo, già di per sé un fattore di separazione rispetto alla realtà circostante, sarà per un aspetto legato a un certo tipo di approccio da parte degli autori siciliani a partire dall’Unità d’Italia in poi, il sentimento tipico che accompagna la Sicilia è quello della rassegnazione e l’accettazione passiva, priva di emozione: “l’acqua la bagna, il vento l’asciuga” per usare un proverbio tipico dell’isola.
Un’indifferenza e una passività nei confronti della realtà che forse si esplicano nella maniera più evidente nell’amara constatazione del Gattopardo di Tomasi da Lampedusa: “Deve cambiare tutto perché nulla cambi”.

La famosissima scena tratta dal film di Luchino Visconti del 1963

Tutto ciò ha condotto a un continuo e incessante riproporsi di stereotipi e luoghi comuni che da sempre accompagnano l’isola, alimentando e rinvigorendo la totale indifferenza nei confronti della realtà da parte di un popolo e di un territorio che erano stati al centro della grande rivoluzione culturale di metà del XIII secolo.

Giovanni Verga, siciliano doc, forse più di tutti esprime questo sentimento di rinuncia già a partire dalla volontà di non intervenire nella sua narrazione, con l’unico intento di illustrare una realtà statica e immutabile, che tende quasi alla mitizzazione per via dell’incessante riproposizione di comportamenti e scene sempre uguali. Una delle sue novelle più famose è Cavalleria Rusticana: il giovane Turiddu torna al suo paese dopo aver prestato servizio militare e cerca Lola, la quale, prima della sua partenza, gli aveva promesso il suo amore. Ella non ha però mantenuto la parola data e si è sposata con compare Alfio. Per attirare l’attenzione della giovane, Turiddu seduce Santa, la quale finisce per cedere alle sue lusinghe. L’intento del protagonista viene raggiunto e Lola tradisce Alfio con il suo primo amore. Scoperto l’inganno, Santa rivela ad Alfio tutto quanto e la novella si conclude con il duello tra il marito di Lola e Turiddu, il quale viene ucciso nel giorno di Pasqua.

Pietro Mascagni (al centro) con Guido Menosci e Giovanni Targioni Tozzetti. Immagine tratta da semprelibera.altervista.org

La Cavalleria Rusticana è probabilmente più conosciuta al grande pubblico per quella che è la meravigliosa opera di Pietro Mascagni che, dieci anni dopo dalla sua uscita come novella, ripropone la trama in musica, grazie al libretto di Giovanni Targioni Tozzetti e Guido Menosci. Uno splendido rifacimento che peraltro gli costerà molto caro: il compositore livornese dovrà pagare i diritti d’autore a Giovanni Verga ogniqualvolta l’opera verrà messa in scena. Lo scrittore siciliano si assicurerà così una comoda esistenza grazie all’enorme successo riscosso dall’opera che, alla morte di Mascagni, nel 1945, sarà stata riprodotta più di quattordicimila volte solo in Italia.

Il vantaggio di Mascagni è quello di essere un osservatore esterno, un toscano, che non è invischiato nella rassegnazione e nell’indifferenza riproposte attraverso le costanti dei testi verghiani, ma ha il compito di magnificare un’opera.
L’intento del compositore è opposto a quello di Verga: a unità nazionale avvenuta, si ha l’esigenza di “fare gli italiani”, per usare le parole di d’Azeglio, coronare il sogno risorgimentale e creare una propria identità culturale che possa tenere insieme le grandi diversità di un Paese che fino a pochi anni prima era considerato niente meno che un’espressione geografica.

Il capolavoro di Mascagni non ha interesse a differenziare, a separare o etichettare. Nell’opera si coglie ad esempio un diverso ruolo della donna: Lola, Santa e Nunzia, madre di Turiddu sono le promotrici dell’azione, laddove nel racconto di Verga i personaggi femminili tendevano a subire in maniera rassegnata l’evolversi degli eventi.
Ma ancora più evidente è l’interesse per il contesto e il paesaggio, che si esplica in quello che è uno dei brani più famosi e più belli di tutta l’opera italiana: l’intermezzo sinfonico.

L’intermezzo sinfonico della Cavalleria Rusticana

Una composizione quasi completamente basata su un gioco di archi, una condensazione lirica e di grandissima emozione. Una sonorità che tende all’infinito, un breve lasso di tempo che ci concede di volare con l’immaginazione e ammirare la stordente bellezza del paesaggio siciliano nel mattino della santa Pasqua; non c’è interesse nella vicenda umana; essa semmai è in contrasto e fa da sfondo a un territorio magnifico e incontaminato. Alla fredda indifferenza e rassegnazione della letteratura, l’opera di Mascagni risponde con un brano di grande emozione e trasporto.

Un pathos che si trova peraltro proprio nell’ultima scena del terzo e ultimo capitolo della saga de “Il Padrino”, ad accompagnare lo straziante urlo di dolore di Michael Corleone e il flashback di tutti i suoi più grandi amori: Apollonia, la prima moglie, Katie, la sua compagna di sempre e la figlia Mary che le è appena morta tra le braccia; la fine del brano coincide con la morte di Michael, che si accascia a terra tra le mura della sua residenza in Sicilia.
Perché in fondo, quando si elimina il superfluo rimane solo una musica meravigliosa, un accompagnamento angelico che poi è l’essenza di quella meravigliosa isola che giace in mezzo al Mediterraneo. Una terra che è molto di più di mafia e mandolino.

L’ultima scena del Padrino III con in sottofondo l’intermezzo sinfonico di “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni

Ho 27 anni, una laurea triennale in storia e sto finendo il mio percorso accademico all’Università degli Studi di Milano, dove studio relazioni internazionali. La musica ha sempre fatto parte della mia vita: suono il pianoforte dall’età di 8 anni e strimpello la chitarra da quando ne avevo 14, età in cui tutti ci sentiamo delle rock star. Amo viaggiare, al punto da aver fatto l'Erasmus in Turchia e in Repubblica Ceca.  Sono pigro e adoro perdere tempo per poi essere assalito dai sensi di colpa. Scrivere di musica è per me una bella sfida e un'occasione di mettermi alla prova.

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