Lo sport durante il Coronavirus: l’uomo prima della performance

Nel giugno 2018, dopo aver accarezzato il sogno di guidare la Giana Erminio alla prima promozione in Serie B, Valerio Foglio rimase svincolato. Accettò quindi di fare due passi indietro, lasciando la Lega Pro per andare a giocare in Eccellenza, pur di tornare a vestire la maglia della squadra della sua città, il Legnano.
La scelta si rivelò giusta: al termine del campionato 2018-19 il Legnano venne ripescato per la Serie D. Lo slancio è poi proseguito anche nella stagione successiva, quella attuale, dove la squadra è restata col fiato sul collo della capolista Pro Sesto. Dopo lo scontro diretto dello scorso 16 febbraio, perso 3-2 dal Legnano, il calcio e il mondo intero si sono fermati per il Coronavirus.

Insieme alla vita quotidiana, la pandemia ha congelato anche gli obiettivi personali e professionali delle persone, sportivi compresi. «A 35 anni, tornare tra i professionisti con la squadra della mia città era un sogno che questo maledetto virus potrebbe avermi tolto», racconta Foglio. Anche se in questo contesto la salute «viene prima di tutto» e lo sport «passa in secondo piano», il calciatore ammette che «quando ci penso, mi dico che potrebbero essere i miei ultimi mesi o anni di calcio». Foglio pronuncia queste parole pochi giorni prima che il presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli definisca «inapplicabile» il protocollo della FIGC per pianificare una ripresa dei giochi. Nell’assemblea fissata per il 4 maggio sembra scontata la conferma della sospensione definitiva del campionato di Serie C, si dice con retrocessioni congelate. Il giocatore del Legnano e la Serie D dovranno attendere per capire cosa ne sarà di chi covava il sogno della promozione.

Mentre diversi sport hanno annunciato la fine prematura della stagione, il calcio attende di conoscere il suo destino (Pixabay)

Ma se il lato organizzativo dello sport, messo profondamente in crisi dall’emergenza sanitaria è stato fin dai primi istanti, e continua ad essere, tema di discussione delle istituzioni, ben poco si è parlato degli effetti di rinvii, sospensioni temporanee o cancellazioni sugli atleti stessi, protagonisti principali di questo mondo. Forse l’equivoco più grande è stato tracciare una linea tra la gente comune e gli sportivi, decidendo che questi ultimi appartengano necessariamente a un altro universo.
In realtà lo stesso Foglio chiarisce che, voglia di tornare a giocare a parte, la preoccupazione principale di chi come lui milita in Serie D è «portare a casa dei soldi». Una logica che in molti casi può valere fino alla Serie B, per il calcio, e per la maggior parte degli altri sport nei quali gli atleti percepiscono stipendi “terrestri”, magari vivendo lontano da casa e dai propri affetti, con un affitto da sostenere.

A queste difficoltà comuni si sommano poi i problemi specifici dati dalle rispettive professioni. Alessandro Bargnani è uno psicologo dello sport del CISSPAT (Centro Italiano Studio Sviluppo Psicoterapia a Breve Termine), che lavora abitualmente con centinaia di atleti italiani. Tra questi, mi racconta, ci sono giocatori di rugby, basket o pallavolo, «sport che hanno già sospeso tutto: difficilmente queste persone troveranno un altro lavoro in estate». C’è poi chi da mesi o anni si preparava per le Olimpiadi di Tokyo, rinviate al 2021: «Alcuni olimpionici l’hanno presa bene, considerando il tempo in più per allenarsi; altri invece pensando all’età mi hanno detto non sono in grado di fare un altro anno».

Ho sacrificato interamente la mia vita privata in questi ultimi quattro anni. Ho messo da parte qualsiasi pensiero di…

Pubblicato da Gianmarco Tamberi su Martedì 24 marzo 2020

Far convivere questi pensieri con la necessità di continuare ad allenarsi, magari per farsi trovare pronti alla ripartenza (ma quando?), può essere estremamente complesso. Per questo Bargnani e alcuni colleghi, tra cui Davide Ghilardi, hanno spinto per l’apertura di uno sportello psicologico dedicato al mondo dello sport: qui gli atleti, ma anche gli allenatori, possono videochiamare dei professionisti, regolarmente iscritti all’albo degli psicologi e con segreto professionale, per parlare di come il covid-19 abbia cambiato la loro vita.
In questo contesto, secondo Bargnani il sentimento che più facilmente può emergere negli atleti è «la frustrazione, che può trasformarsi in ansia e poi angoscia». Sensazioni che potrebbero accentuarsi quando «la stagione stava andando particolarmente bene e ci può essere “l’effetto Pigmalione”: a seconda dei casi, uno potrebbe pensare “era il mio anno”, “non riuscirò più a entrare in un gruppo così vincente” oppure “proprio ora che ero tornato dall’infortunio”». Si tratta di scenari concreti, di cui in pochi si preoccupano ma che è facile trovare in qualsiasi competizione. Il senso di impotenza lasciato da queste riflessioni va poi «a scaricarsi dal punto di vista psichico generando angoscia, si va a perdere la motivazione e così saltano elementi importanti come la routine – continua Bargnani – Motivazione e attenzione fanno parte della stessa medaglia. Se ho la mia routine è più facile che mi alleni bene, mi senta in forma, raggiunga l’obiettivo e spinga di più».

Routine” è una delle parole chiave più frequenti nella conversazione con Bargnani e Ghilardi. L’improvvisa mancanza di un obiettivo certo può infatti tradursi nella perdita delle cosiddette “best practice”, necessarie a far funzionare “la macchina”: parliamo di allenamenti, alimentazione, riposo, le uniche cose che un atleta può veramente controllare in una situazione simile, ma che ora rappresentano tasselli da riordinare nuovamente in virtù di abitudini stravolte dalla pandemia.
Pensiamo ad esempio a chi, dal frequentare ogni giorno un centro sportivo attrezzato si ritrova confinato in un appartamento di dimensioni normali, magari con dei figli piccoli e senza un giardino, come nel caso di Foglio. Difficoltà pratiche da unire, ancora una volta, a quelle mentali, come racconta Tommaso Bellazzini, centrocampista della Giana Erminio che al momento della sospensione era in lotta per ottenere la salvezza in Serie C: «Avere motivazioni quotidiane che ti permettano di fare un allenamento serio e rigoroso senza sapere se tutto quello che stai facendo avrà un senso è la cosa più difficile».
Chi eventualmente tornerà in campo dovrà inoltre essere in grado di riprendere in mano obiettivi personali e di squadra. Al momento dell’intervista, quando la fine della stagione di Serie C non era ancora un’ipotesi così concreta, Bellazzini spiegava che su questo fronte «la spina è totalmente staccata per tutti. La verità è che l’unico obiettivo che uno può tenere vivo è quello di mantenersi in uno stato di forma che permetta di ripresentarsi senza rischio di infortuni e di sopportare una preparazione che sarebbe da rifare. L’obiettivo campionato, inteso come obiettivo di squadra, è veramente lontano».

Quelle menzionate da Bellazzini possono considerarsi, tutto sommato, difficoltà universali. Se i contratti spesso e volentieri milionari della Serie A sono probabilmente garanzia di una maggiore serenità, neanche i livelli più alti sono al riparo da quelle problematiche psicologiche che si presentano quando non si è capaci di «rimanere collegati», altra espressione cara a Bargnani e Ghilardi. Restare collegati a ciò che si può controllare (da qui l’approccio definito “focus on what you can control”) è un passaggio cruciale per poter vedere, anche in un momento simile, un’opportunità di crescita.

Oltre alle abitudini di cui si è già parlato, gli psicologi sottolineano l’importanza di rimanere collegati alla propria passione, approfittando del periodo in attività per chiedersi e ricordare «perché si gioca a tennis, rugby, calcio o pallavolo». La risposta, in molti casi, coincide con l’amore per lo sport. Riscoprendo queste motivazioni dentro sé stessi gli atleti possono quindi dedicarsi alla parte mentale, che secondo Ghilardi «è l’unica veramente allenabile in questo momento» e sulla quale raramente si può lavorare in una normale stagione caratterizzata da un calendario fitto.
Proprio perché, spiega Bargnani, «il corpo è una macchina e se la tieni ferma scende di livello», rafforzare la mente, ottenere una maggiore consapevolezza e conservare le best practice possono diventare fattori decisivi nel garantire, in caso di ripresa, una ripartenza più accelerata. In altre parole, al rientro sarà difficile vedere atleti che sono stati in grado di incrementare la propria prestazione, ma il gap più evidente sarà «tra chi ha perso meno e chi ha perso tanto». Ghilardi non ha dubbi nell’affermare che «coloro che sono riusciti a prendere da questo momento l’opportunità di crescere, grazie all’allenamento mentale e nuovi stimoli, saranno sicuramente facilitati».

Questo processo virtuoso può in larga parte innescarsi come conseguenza della maturità di un atleta, ma Bargnani, insieme al collega Andrea Appietro, ha stilato delle linee guida utili proprio ad accompagnare gli sportivi in un percorso non sempre semplice. Il documento, tradotto dalla versione inglese promossa dall’Association for Applied Sport Psychology (AASP), propone agli atleti cinque punti per «affrontare l’emergenza un giorno alla volta» e «creare una diversa normalità nella vita di tutti i giorni», si legge.

Il primo suggerimento della breve guida recita “parlane”, in particolare con l’allenatore, la cui funzione guida diventa ancor più importante nella situazione attuale. Gli psicologi spiegano che tra le variabili fondamentali menzionate da 100 atleti olimpici andati a medaglia rientrava quasi sempre questa figura, che ora è chiamata a uno sforzo empatico che faccia sentire agli atleti la propria presenza attraverso l’unica via percorribile, gli strumenti digitali. «Abbiamo notato negli atleti che sentirsi considerati e amati dal proprio allenatore crea un potenziamento nell’impegno e negli obiettivi grandissimo», afferma Ghilardi. D’altronde, secondo Bargnani è già stato dimostrato come, se applicata ad esempio agli infortuni, questo tipo di attenzione data dall’allenatore «sia in grado di diminuire di molto i tempi di recupero di un atleta».

Per riassumere in un hashtag, come si tende a fare oggi, il concetto che più di tutti oggi viene trascurato quando si parla di sport, gli psicologi hanno scelto #humanbeingbeforeperformance. Per ricordare che prima di ogni piccola o grande impresa sportiva che ci ha fatto e farà emozionare ci sono, innanzitutto, degli esseri umani.

Le lingue come chiavi per aprire nuovi mondi, il giornalismo come mezzo per raccontarli. Milanese di nascita con un po' di Brasile nel sangue, credo che nulla di tutto ciò che accade su un campo riguardi solamente lo sport: la mia missione è scoprirlo, comprenderlo e portarlo ai lettori. Nel mio mondo ideale vorrei sentire Gianni Brera raccontare di Messi e Cristiano Ronaldo.

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