Me ne frego. La corrente contraria dell’Imperatrice Aleksandra Romanova

La società prova ogni giorno ad inculcarci un’idea di giusto e sbagliato racchiusa in un avvolgente abbraccio. Ecco invece che alcune personalità illuminate e coraggiose, decidono di innovare, essere contro corrente, farsi guidare dall’istinto. E, con esiti più o meno positivi, fare la Storia. Ma quanto costa davvero, vivere, essere sotto il riflettore del mondo, regnare, creare ed essere se stessi, facendo quello che gli altri non si aspettano? Guardando alla vita di Aleksandra Romanova, Imperatrice contro corrente, proviamo a rispondere.

Alice Vittoria Elena Luisa Beatrice d’Assia e di Renania, sposa Nicola II, granduca ereditario figlio di Alessandro III Romanov nel 1894 e diventa Imperatrice consorte di tutte le Russie nel 1896, prendendo il nome di Aleksandra Fëdorovna Romanova. Si converte persino alla religione Ortodossa, Alix, come la chiamava la nonna, la Regina Vittoria di Inghilterra. Ma questa della religione, sarà l’ultima cosa che concederà alla tradizione.

Aleksandra, sposa ribelle

Aleksandra conservò il suo abito da sposa, fatto considerato di cattivo auspicio.
La zarina Aleksandra Fëdorovna Romanova (Alice D’Assia), George Grantham Bain Collection/Wikimedia Commons

Resisteva stoica sotto l’enorme peso del vestito, Aleksandra il giorno delle sue nozze con l’erede dell’Impero. Dal di fuori tutto era come doveva essere: il diadema di inestimabile valore, il broccato bianco che riluceva sotto la luce delle candele, gli innamorati, perfetti. Avevano sfidato tutto e tutti per essere lì insieme a consacrare la loro unione, fortemente osteggiata fin dal fidanzamento, avvenuto solo qualche mese prima. Non solo i Russi non si preoccupavano per niente di nascondere le loro credenze antigermaniche, ma persino la nonna materna di Aleksandra, la Regina Vittoria, l’avrebbe vista molto più volentieri con i piedi ben piantati sul suolo inglese. Eppure no, loro quel giorno vincevano, tenendosi la mano, mentre inauguravano un amore che sarebbe finito solo con la loro morte.

Aleksandra pensava e viveva a modo suo, e non ne fece mistero neanche al matrimonio: la tradizione voleva che le spose della famiglia Romanov donassero i loro abiti nuziali alla Chiesa, ma lei no, il suo decise di tenerlo. Un fatto che fece molto mormorare e che fu giudicato di pessimo auspicio.

L’Imperatrice è contro corrente

Aleksandra decise di fare a modo suo anche tra le mura domestiche. Schiva e timida, subito dopo il matrimonio lei e Nicola decisero di vivere una luna di miele eterna, rifugiandosi nel Palazzo di Alessandro, ben distanti dal Palazzo d’Inverno e soprattutto da San Pietroburgo. Gli sposi volevano vivere nascosti dal mondo e così portare avanti le loro vite. Nel 1895 nacque Olga, la prima delle quattro figlie di Aleksandra. L’erede maschio si faceva attendere, ma la zarina decise di ignorare le dicerie che si diffondevano sul suo conto.

Si occupava intanto di rimodernare il Palazzo di Alessandro, scegliendo ancora una volta di andare controcorrente. Aggiunse infatti tocchi modernissimi per l’epoca, e totalmente fuori dal contesto conservatore aristocratico: la rese una dimora in pieno stile Art Nouveau. La corte gridò allo scandalo, ma la zarina non vi badò: era troppo impegnata a coccolare il suo tanto atteso erede maschio, arrivato finalmente nelle loro vite, il 12 Agosto 1904.

Aleksandra era ossessionata dalla salute di Aleksej, che decise di curare insieme a Rasputin
Il piccolo Aleksei nel giardino italiano del Palazzo di Livadia in Crimea. 1913, Wikimedia Commons/Ягельский А.К.

Regole rivoluzionarie

Aleksandra non perse la voglia di fare le cose secondo il suo personale criterio, e nel Palazzo di Alessandro instaurò un regime di regole che si erano viste raramente nelle altre corti d’Europa. Eliminò quasi del tutto la servitù e decise che i suoi figli andavano responsabilizzati, anche se il piccolo Aleksej era spesso esonerato dalle faccende, fragile come era.

Le ragazze dovevano mantenere il perfetto ordine in casa e non fare rumore, per non disturbare Aleksandra. Inoltre dovevano pulire le loro stanze e rifare i letti, piegare il bucato e vestirsi da sole. Come narra Pierre Gilliard, tutore di Aleksej:

Durante le passeggiate quotidiane tutti i membri della famiglia, esclusa l’Imperatrice, erano impegnati in esercizi fisici: pulivano i sentieri del parco dalla neve, tritavano il ghiaccio per le cantine, tagliavano rami secchi o vecchi alberi, accantonando la legna da ardere per il futuro inverno. Con l’arrivo del brutto tempo l’intera famiglia si dedicò a costruire una cucina da giardino […].”

Le Granduchesse impararono a cucinare e a cucirsi i vestiti da sole in un mondo circondato da un parco enorme, che via via le escludeva dal mondo e le lasciava a fantasticare su quello che succedeva fuori. Il metodo educativo della zarina lasciava perplessa la corte, che non aveva mai visto nulla di simile. Aleksandra era consapevole dello sfavore che la perseguitava, ma non vi dava troppo peso, convinta forse, che l’immenso Parco di Alessandro avrebbe tenuto le malelingue fuori dalle sue stanze.

Aleksandra educò e sue figlie secondo le sue regole, contrariamente agli usi delle altre corti d'Europa
Le Granduchesse Maria, Olga, Anastasia e Tatiana a bordo dello Yatch imperiale Standart, 1912. Unknown author/Wikimedia Commons

Cieca fiducia

Un grandissimo amore, forse il più grande amore di Aleksandra fu il suo unico figlio maschio, lo zarevic Aleksej. La fragilità e il cagionevole stato di salute del bambino, popolavano la mente di Aleksandra giorno e notte, ossessionandola. Dietro tutto questo, non solo la paura di perdere l’unico erede della dinastia dei Romanov, ma il fortissimo senso di colpa dato dal fatto che la zarina aveva trasmesso al piccolo l’emofilia. Aleksej doveva vivere costantemente controllato, non poteva urtare nulla, un qualsiasi trauma poteva essergli fatale. Una bella sfida per un bambino.

Ma Aleksandra e Nicola erano terrorizzati anche dal rischio che qualcuno lo scoprisse: l’erede non poteva certo essere simbolo di fragilità e anzi costituiva l’unica speranza per la famiglia reale. Così venne nascosto: nella tradizione russa i piccoli reali non venivano mostrati al mondo prima dei cinque anni. Iniziava la vita di Aleksej, tra sotterfugi e pericoli costanti, nascosti a volte in oggetti e situazioni insospettabili.

Nuova luce

Aleksandra non sapeva più a chi rivolgersi per alleviare le pene del figlio, i medici non avevano rimedi. Inoltre con il passare del tempo anche la popolazione avrebbe cominiciato a sospettare qualcosa. Ma ecco forse, uno spiraglio di speranza: il santone Grigorij Efimovič Rasputin. Presentatole da una conoscente aristocratica, Rasputin incarnava ciò che a prima vista poteva renderlo spiacevole e il suo aspetto turbò molto la zarina. Ezio Mauro lo descriveva così per Repubblica: “[…] Rasputin aveva 36 anni, la barba arruffata, i capelli lunghi, sporchi e scuri, pantaloni e stivali da contadino, giubba di tela legata con un cordone.” Per puro caso il santone intervenne con successo in occasione di un forte attacco di Aleksej. Aleksandra non seppe darsi spiegazioni, se non che quello strano individuo avesse davvero poteri salvifici.

Rasputin fu molto vicino ai Romanov, nonostante l'opinione contraria della corte.
L’Imperatrice Aleksandra con i suoi figli e Rasputin, 1908, GARF, State Archive of the Russian Federation/Wikimedia Commons

Convinzione

Nicola II provò prima a convincere la moglie a tenere lontano Rasputin, poi tentò con metodi più duri. Tuttavia non seppe opporsi al fatto che da quando il santone era apparso nelle loro vite, il piccolo zarevic pareva stare meglio.

In pochi anni Rasputin passò dall’aver guarito l’erede al trono al dare giudizi sulle faccende di Stato per uno smarrito Nicola II, decidendo quali fossero le frequentazioni che la zarina doveva mantenere e quali invece dovesse allontanare. Aveva una risposta per tutto, e strinse in un laccio sempre più stretto la fede di una devotissima Aleksandra: la zarina si allontanó dagli amici più cari, che criticavano il santone e lo volevano lontano o ancora meglio, morto. L’Imperatrice li ignorava, facendo silenzio su quelle voci, e chiudendosi nel suo dorato equilibrio apparente, sempre più immersa nelle sue emicranie e nel suo ostinato modo di vedere la vita.

Rasputin fu l’ultima scheggia, l’ultimo tassello al mosaico di indipendenza e testardaggine di Alix, un ultimo chiodo sulla bara dei Romanov. Morì, il santone, non con poco sforzo dei suoi assassini, prima avvelenato e poi colpito da più proiettili in una sera di inverno. Scomodo a molti, fu l’ultimo gradino prima di arrivare alla famiglia imperiale.

Il chiodo

Aleksandra, accompagnata come sempre dal marito, e seguita dai figli, iniziò a scivolare su un sentiero sempre più irto, in cui non abbiamo chiaro quanto abbiano influito le sue scelte contro corrente. Può essere che la Regina Vittoria avesse ragione. Forse se solo non avesse tenuto il suo abito da sposa. O forse se non avesse allontanato la servitù. O magari se lei e Nicola non si fossero isolati nella loro prigione dorata, lontano dalla corte e dagli impegni di Stato per vivere il loro personalissimo sogno. Chissà.

Ecco quanto costó ad Aleksandra Romanova, voler andare nel senso opposto, voler essere se stessa fino alla fine. Immortalata per sempre nella storia più tragica, ella resta all’inizio del vero cambiamento per la Russia di oggi. Lì dove tutto inizia e finisce nel sangue.

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