Misure di profilassi durante la Grande Guerra.

L’esperienza bellica del primo conflitto mondiale costituì una prova importantissima per la sanità militare nei confronti delle malattie epidemiche. L’adozione di misure di profilassi portò al contenimento di epidemie, diminuendo drasticamente i caduti per malattie rispetto alle guerre precedenti. Dalla lenta mobilitazione si riuscì a creare un sistema efficiente attraverso correttivi nel corso del conflitto fino a realizzare delle pratiche che consentirono al Regio Esercito di contrastare la cosiddetta “influenza spagnola”.

L’ORGANIZZAZIONE MILITARE PROFILATTICA

Allo scoppio del Primo conflitto mondiale l’organizzazione sanitaria militare prevedeva la distinzione tra organi direttivi ed esecutivi.

ORGANI DIRETTIVI

Un ufficiale generale medico era dislocato presso l’Intendenza Generale. Ogni armata aveva una direzione di sanità che aveva il controllo sul Direttore Sanitario di Corpo d’Armata che dipendeva dall’Intendente d’armata.

ORGANI ESECUTIVI

Gli organi esecutivi partivano dalla Divisione. Tra i primi doveri del capo ufficio di sanità della divisione vi era quello di riconoscere le condizioni igieniche dei luoghi di accantonamento e d’attendamento delle truppe, nonché la salubrità delle acque potabili. Inoltre, quello di verificare il rispetto delle norme igieniche da parte dei medici dipendenti.

L’unità sanitaria di base era la sezione di sanità per divisioni di fanteria.

Le sezioni di sanità fungevano da organi di smistamento. Esse avevano il compito di indirizzare nelle zone contumaciali gli ammalati e accertarne l’immunità al termine del periodo di osservazione. 

Ad inizio guerra non erano ancora previste delle unità fisse adibite al controllo igienico-sanitario. I direttori di sanità d’armata o di corpo d’armata potevano formare delle squadre “igienico-sanitarie”. Queste unità erano dirette da ufficiali medici sia per il risanamento del campo di battaglia, sia per combattere epidemie isolate. 

COMPITI PRINCIPALI

Il servizio profilattico, secondo quanto prescritto dal regolamento per il servizio di guerra, doveva curare principalmente i luoghi degli accantonamenti, la tenuta delle acque potabili e la sistemazione delle latrine. La posizione dei servizi igienici doveva essere lontana dagli accampamenti e dalle cucine, non comunicanti con le sorgenti o corsi d’acqua in prossimità. 

La scelta dei luoghi per gli accantonamenti doveva avvenire alla presenza di un ufficiale medico che ne avrebbe diretto le fasi di sanificazione.

Un altro aspetto importante di profilassi e prevenzione della diffusione di malattie infettive era il risanamento del campo di battaglia attraverso l’inumazione dei cadaveri in campi lontani da dove erano caduti. In particolare, i sanitari avrebbero tenuto conto della composizione del terreno per evitare che i liquami dei corpi potessero inquinare falde acquifere nelle vicinanze. 

PROFILASSI E PRINCIPALI MALATTIE INFETTIVE

I pericoli principali per le truppe al fronte, dal punto di vista epidemiologico, erano numerosi:

tifo colera, vaiolo, morbillo, tifo, paratifo, malaria a cui venivano associate anche dissenteria e malaria.

A queste si aggiungevano anche le malattie celtiche che l’Intendenza Generale cercò sempre di arginare attraverso provvedimenti mirati.

La prevenzione e il controllo passava anche per il continuo monitoraggio della catena dei contagi. Infatti, veniva prescritto l’esame batteriologico a tutti coloro i quali erano venuti a contatto con infermi. Nelle retrovie le autorità predisposero dei gabinetti batteriologici che avrebbero monitorato i casi infetti e quelli presunti. Durante la fase di controllo i militari affetti da malattia contagiosa andavano in zone contumaciali isolate per evitare la diffusione della malattia.

Gabinetto batteriologico
I VACCINI

Il Regio Esercito già dal febbraio 1915 aveva reso obbligatorio il vaccino antitifo. La responsabilità dei vaccini era a carico del direttore di sanità. Nel corso del conflitto fu fondamentale anche il vaccino contro il colera.

Gli ufficiali medici dei corpi e reparti dovevano tenere una sessione illustrativa sui vantaggi delle vaccinazioni, mettendo in risalto le perdite delle altre campagne di guerra per motivi legati alle malattie infettive.

A tal proposito, le autorità militari portavano come esempio l’efficacia dei vaccini nei confronti dei volontari al vaccino durante la campagna di Libia del 1911.

Per le reclute si sarebbe aspettato circa due mesi prima di inoculare il vaccino contro il tifo e sempre a distanza di un mese da quello antivaioloso.

Inoltre, ogni armata integrava le disposizioni profilattiche, ma soprattutto di igiene personale. In questo contesto, i prigionieri venivano considerati dei vettori di malattie e per questo venivano sottoposti a controllo e isolamento.

Divennero fondamentali gli spostamenti in treno e il flusso di operai militarizzati i quali dovevano sottostare alle norme dei militari.

Per gli spostamenti da e per il Paese vennero predisposte delle vetture dedicate al trasporto di malati infetti isolati dal resto del convoglio. Ogni treno aveva un medico responsabile per il controllo delle malattie infettive. Qualora i sanitari avessero riscontrato casi, questi avrebbero isolato gli infetti e consegnati alle autorità sanitarie locale alla prima stazione utile. Ogni convoglio esponeva dei cartelli volti a sintetizzare le buone norme igieniche.

Gli operai dovevano lavarsi di frequente le mani. Questa attività prevedeva il lavaggio prima dei pasti e a fine giornata; la disinfezione degli arnesi e della suola delle scarpe attraverso il calpestio di stuoie imbevute di disinfettante poste ai piedi dei lavabi.

RICOVERO DEGLI INFETTI

Nell’organizzazione delle strutture sanitarie atte a ospitare infermi, malati e feriti venne previsto l’impianto di reparti o ospedali speciali per ricoverare chi era stato infetto da malattie contagiose allo scopo di evitare la diffusione tra le truppe. Ad inizio conflitto, gli ospedali da campo dipendevano dal direttore di sanità dell’armata, il quale assegnava la struttura al corpo d’armata o alla divisione, secondo le esigenze contingenti.   

Le strutture per la degenza di malati contagiosi dovevano essere isolate da quelle dei normali degenti e contrassegnate da una bandiera di colore giallo oltre ai segni di neutralità. Questi locali erano interdetti ai miliari di truppa, vi potevano entrare solo le squadre di disinfettori per l’assicurazione della sterilizzazione degli ambienti. Al termine dell’esigenza, questi ambienti venivano distrutti. I disinfettori bruciavano tutti gli effetti e i materiali utilizzati, qualora non sanificati.

Convalescenti colera http://www.14-18.it/album/mcrr_h_1/fotografia/0018?search=37a6259cc0c1dae299a7866489dff0bd&searchPos=2
LA RISPOSTA ALLE PRIME EPIDEMIE

I primi casi epidemici importanti si verificarono nel luglio 1915 con l’esplosione di un focolaio di colera. Questo evento allarmò l’Intendenza Generale che implementò i vaccini anticolera. Anzi, chiese nuove dosi, mettendo, inoltre, in atto delle misure di contenimento, portando gli infetti nelle zone contumaciali.

COMMISSIONE ISPETTIVA DI PROFILASSI

Quando scoppiavano casi infettivi, le autorità militari coinvolgevano immediatamente anche l’autorità civile che riceveva, in uno scambio di informazioni generali, i dati relativi ai casi verificatesi nella zona di guerra: tutto ciò per preservare il Paese dal contagio.

Per queste ragioni venne istituita una Commissione Ispettiva di Profilassi con il compito di preservare il Paese dalla diffusione di malattie. Dalla sua istituzione a fine conflitto, migliorarono le condizioni igieniche delle truppe, sia attraverso provvedimenti igienici a livello reggimentale che attraverso l’intensificazione della prassi vaccinale.

I PROVVEDIMENTI PRINCIPALI

L’interesse del Comando Supremo di evitare l’esplosione di epidemie nel Paese prevedeva la necessità di coordinazione tra le autorità civili e militari, in particolare i prefetti erano tenuti a richiamare l’attenzione di tutti i sanitari nella provincia di appartenenza all’osservanza delle disposizioni.

Il comando di appartenenza assegnava ad ogni miliare che si recava in licenza un cartellino che avrebbe dovuto consegnare al distretto o presidio dei Carabinieri attestante l’arrivo in quel territorio. L’ufficiale sanitario consegnava il tesserino al militare con il timbro di arrivo, dalla data riportata partiva così un periodo contumaciale di cinque giorni, al termine dei quali il militare poteva recarsi in licenza e far visita ai familiari. Il mancato rispetto delle norme di profilassi comportava l’irrogazione di sanzioni.

L’attenzione della commissione era capillare e si confaceva all’intento del Comandante Supremo riguardo all’azione ispettiva. La condivisione dello stato epidemiologico a tutte le armate risultava essere importante anche dal punto di vista operativo, consentendo così ai comandi di conoscere dove erano presenti dei focolai e prendere le misure ritenute più opportune. Lo scambio informativo attraverso la diffusione dei collettini quotidiani. Per rispondere a esigenze operative, la stessa commissione raccomandava che in zone infette fossero impiegate unità già vaccinate, al fine di limitare i rischi. A supporto di quelle predisposizioni, l’Intendenza Generale aumentò le squadre di bonifica.

LA NASCITA DELLE SEZIONI DI DISINFEZIONE

Lo scoppio di focolai di colera tra le truppe delle armate 2a e 3a, in diverse ondate, portò all’adozione di provvedimenti per la tutela della zona del fronte e delle retrovie. In particolare l’esperienza del colera sull’Isonzo aveva dimostrato la necessità di assicurare in via “sistematica e permanente la difesa dell’Esercito contro le malattie infettive e per riflesso, quindi anche la tutela della salute del Paese.” Per queste ragioni, nella primavera del 1916, venne proposta la costituzione di Sezioni di Disinfezione1.  

Ciascuna sezione venne assegnata alla direzione di armata e di corpo d’armata per un totale di venti, 14 per i corpi d’armata mobilitati, 5 per le intendenze delle armate e una per il corpo speciale in Albania.

Stufa Giannolli per la disinfezione
LA SANITA’ CIVILE

Il timore di uno scoppio di epidemie nel Paese era già presente tra le autorità italiane durante il periodo della neutralità. Infatti, il confine prossimo con i Francia e Austria-Ungheria era troppo labile per evitare lo sviluppo di eventuali epidemie dovute al continuo movimento transfrontaliero, soprattutto nel periodo bellico con gli alleati.

La tutela della sanità pubblica era demandata al Ministro dell’Interno che si avvaleva di prefetti, sottoprefetti e sindaci.

La sanità pubblica era inquadrata come Direzione Generale del Ministero dell’Interno. La struttura che si presentò allo scoppio del conflitto era piramidale.

Al vertice si trovava la Direzione Generale della Sanità Pubblica a cui era affiancato un Consiglio Superiore di Sanità. Da questi vertici dipendevano i consigli e i medici provinciali. I comuni potevano unirsi in consorzio in maniera d assicurare maggior assistenza possibile ai poveri ( LEGGE 22 dicembre 1888, n. 5849) attraverso i medici condotti che però saranno sempre scarsi rispetto alle reali necessità. In ogni comune era nominato un ufficiale sanitario comunale che teneva informato sulla situazione il medico provinciale. All’entrata in guerra dell’Italia venne attuata una coordinazione tra autorità civili e militari per evitare che possibili epidemie potessero dilagare nel Paese.

CONCLUSIONI

Quando scoppiò quella che venne definita influenza spagnola, le strutture sanitarie profilattiche del Regio Esercito si erano consolidate. Seppur con problemi legati all’approvvigionamento dei vaccini e dei materiali di disinfezione, l’Intendenza Generale aveva immunizzato gran parte del personale militare contro tifo e colera e teneva sotto controllo gli eventuali focolai. Le procedure e le attenzioni pratiche, quali il distanziamento e il richiamo continuo all’igiene, adottate durante l’esplosione dei casi di colera e tifo, si rivelarono utili contro la ” spagnola”. Benchè all’inizio non si riconobbe, i medici militari adottarono delle misure drastiche che consentirono alle truppe operanti di continuare il conflitto; sono pochi i casi riportati nella relazione ufficiale in cui i comandanti dovettero rinunciare all’azione a causa dell’influenza.

NOTE
  1. Il comando era composto da 1 tenente medico, 2 ufficiali subalterni M.T. possibilmente del genio, 1 sottufficiale di contabilità, 1 sottufficiale del genio M.T., 1 caporal maggiore o un caporale di contabilità, 1 farmacista e 2 meccanici; il personale di disinfezione comprendeva 2 studenti in medicina (dei primi anni), 4 caporal maggiori o sergenti del genio M.T., 6 caporali di sanità, 6 caporali genio M.T. (metà muratori, metà falegnami), 40 soldati (24 di sanità, il resto sterratori, muratori, qualche meccanico o stagnaro); la squadra T.A.M. era composta da 1 caporal maggiore, 16 conducenti, 10 muli da soma (2 di riserva), 4 muli da tiro; mezzi di trasporto composti da 2 autocarri e 2 carrette a due ruote. Dalle sezioni di disinfezione potevano essere distaccate due squadre, ognuna composta da: 1 ufficiale subalterno, 1 studente in medicina, 1 caporal maggiore o sergente M.T., 2 caporali di sanità, 2 caporali del genio M.T., 12 disinfettatori, 1 autocarro o una carretta oppure 4 muli da soma.

Emanuele Di Muro. Si diletta a correre maratone attraverso i sentieri della storia.Il suo anno di nascita ha irrimediabilmente condizionato la sua propensione a elaborare strampalate previsioni geopolitiche.#Runninginhistory

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